In Oculis Gestare: Peppe Gargiulo

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Peppe Gargiulo e Mario Scippa

Arco. Bellezza. Dei. Freccia. Parola. Reliquia. Carne. Anima. Sette.
Basterebbero queste parole a descrivere la bella mostra dell’artista  Peppe Gargiulo che ho visitato ieri sera alla galleria Apotheca a Pozzuoli.
Basterebbero solo queste parole, perché ci sono alcune opere d’arte che meriterebbero solo un religioso ed ossequioso silenzio.                                        Tra queste, le opere di Peppe Gargiulo.
Ritualità. L’artista vive l’arte religiosamente, consacrando ogni suo gesto ed ogni sua singola parola, tesa sempre alla creazione di una forma dal grandissimo contenuto simbolico.
Le sue opere ri-creano un rapporto empatico con il fruitore e diventano un fondamentale medium tra la ritualità della creazione e quella della fruizione.
Fermandosi davanti ad una sua opera si è pervasi da qualcosa che somiglia alla sacralità e che fa pensare al momento mistico ed alchemico di quando la materia, da inerte, viene trasformata, prima dalla sua mente e poi dalle sue mani, in un simbolo vivente.
Ogni sua opera mi fa vivere la stessa identica sensazione di  una singola Parola scritta in un qualsiasi libro sacro.
Ogni sua opera è un simbolo che evoca antichi ed eterni linguaggi che solo chi vive nell’arte e con l’arte, da un lato, e chi vive la terra e nella terra, dall’altro, possono riuscire a decifrare.
Sono i linguaggi simbolici che parlano di bellezza, intesa come energia naturale, che invade l’universo intero.
Il simbolo da Gargiulo è usato come materia visibile e sensorialmente vivibile.
Un  numero, il sette.
Il numero sacro per eccellenza, la creazione, l’universo.
Sette sono i tronchi appuntiti con le punte rivolte verso l’alto. La natura usata come arma per accecare lo sguardo del gigante con un solo occhio, lo sguardo del mito. Sono sette identici elementi naturali usati dall’autore, sette tronchi appuntiti.
L’albero. La rappresentazione simbolica della più chiara manifestazione naturale di quella potente energia dalla forza salvifica, che vincendo la forza di gravità, partendo dal centro della terra, si espande verso tutti i punti dell’universo attraversando ogni cosa durante il suo tragitto, animata e non: la bellezza. Vissuta dall’artista come una forza ambigua.
Sette tronchi appuntiti, con la punta rivolta verso l’alto, contrapposti e contrappunti di sette frecce di ferro con la punta rivolta verso il basso.
Il bianco, il candore del bianco è sempre sporcato, mai puro bianco.
È sempre attraversato dalla ruggine del ferro, dal fuoco che lo ha partorito.
La bellezza, ci ricorda l’artista, è in quel contatto, tra la forza ascendente e quella discendente, le frecce di ferro che indicano il sotto, che indicano la caduta libera, la forza di gravità, la pesantezza che ingoia tutto ciò che esiste, che è esistito e che esisterà, in un sol punto al centro della materia Terra.
La bellezza è in quella sospensione del tempo, nel punto più critico della iperbole che disegna il telo bianco sporco di lino nella sua caduta libera nel vuoto, nell’attimo che è sollevato, sembra dal vento, ma invece no, da quella energia ascendente contrapposta alla pesantezza della grande lastra di ferro ruggine.
La bellezza, Peppe Gargiulo, la ri-trova, la ri-crea, la ri-vive, la ri-propone in quel punto, in quel cerchio senza alcun confine, là dove si ferma il tempo, là, dove si vive in eterno. Forse.
Mario Scippa