Blade Runner: dopo trent’anni diventa realtà

Roy Batty, il Replicante, interpretato da  Rutger  Hauer, nell’immortale Blade Runner (‘82) di Ridley Scott, non è morto, come detto nel film: invece, è ancora vivente.
Dove? E che importa saperlo? In una regione dell’Iperuranio Subspaziale dei nostri sogni, nella landa lontana e misteriosa di Fantàsia, pulsante e viva, vibrante come la materia che circonda il nostro cuore…Dove quel film è una realtà che si svolge  all’infinito: ripetendosi e arrestandosi ; poi riprendendosi e di nuovo continuando: come la vita vera …
Roy Batty, dicevo, con la sua spaventosa forza fisica, la sua infinita capacità di resistenza alle fatiche e al dolore, la sua attenta sensibilità, e anche i suoi fantastici capelli ossigenati, è preoccupato.
Eh, si: ha sentito delle storie strane: che in un futuro non tanto lontano è possibile davvero costruire un essere come lui. Una creatura artificiale che però,non solo abbia le sue fattezze esteriori umane regolari, ma, anche, abbia caratteristiche psicofisiche simili a quelle umani, solo costruite con materiali diversi da quelli naturali. Le arterie, o i neuroni del cervello, ad esempio, solo rifatti in laboratorio, con la stessa riuscita, funzione e caratteristiche.
Questo grazie al miracolo delle cellule staminali, che tratte dagli esseri umani, poste in adeguati traghettatori, anche virali, possono “riscrivere” le sequenze dei vari DNA, trasformandole . Come direbbe il genetista Carlo Alberto Redi: «La biologia sintetica, combinando sistemi di geni scoperti in forme di vita diverse, può realizzare organismi produttori di materiali nuovi», compresi quelli umani.
Roy, se volesse, potrebbe approfondirsi: ma non gli interessa. È sempre stato convinto, e non si faceva illusioni del contrario, che era solo questione di tempo:gli umani sarebbero arrivati fino a lui, a ciò che egli rappresenta: una fantasia che diventa realtà. Come avrebbe detto Platone, che a  lui piaceva: «Il pensabile è già pensato … »
In verità, questi robot transegenetici, come i Vampiri, altri loro colleghi, sono pure in grado di farsi culture abissali: leggono, memorizzano, connettono, perché non hanno niente di meglio da fare. E, comunque, a lui interessa un altro aspetto del problema: perciò va a trovare un altro simil-umano, in realtà transgenico come lui, divenuto nel tempo amico suo: David, il personaggio interpretato da Haley Joel Osment, in A I Intelligenza artificiale (2001) di Steven Spielberg.
Era il robot-ragazzino, programmato per esprimere sentimenti filiali, poi buttato via perché ai suoi “genitori” era tornato il figlio vero. E lui, progettato per questa funzione, era rimasto solo, in attesa per secoli della mamma sotto il mare, vicino alla statua della Fata Turchina, di un Luna Park inabissatosi col resto dell’umanità, cui aveva espresso il desiderio di poterla rivedere.
A Roy, David faceva molta pena: quella solitudine era di un’angoscia lancinante: lui non l’avrebbe sopportata. Anzi, tra i tanti Replicanti presenti lì in quel territorio, ereditati dai  tanti film e libri, era l’unico che l’aveva realmente colpito e a cui si sentiva più vicino, proprio per questa sofferenza.
Così, David gli fa: «Lo sai che oggi sarà possibile poter riavere con te tua madre, grazie a tecniche che hanno inventato gli umani?».
David era sempre fermo e imbambolato sott’acqua: sempre in attesa; rispondeva  a fatica, e anzi, parlava quasi solo a lui, perché per lungo tempo gli era stato vicino, anch’egli in silenzio: insomma, si comprendevano.
«Cioè, sarà possibile far ritornare viva  Monica ?»  Questo era il nome della donna che, nel film, l’aveva “assunto” per sostituire il  figlio. «Si, forse non domani, ma insomma …» .
David resta immobile e in silenzio per un po’, come rimuginando sulle parole del Replicante: la cosa gli giungeva nuova: a differenza di Roy era poco per nulla informato. Anzi, a dire il vero, non gliene fregava niente di ciò che facevano gli uomini, dei quali sostanzialmente diffidava.
In realtà già una volta, come  detto nel film, era stato risvegliato da Alieni che avevano visitato il pianeta Terra, ormai disabitato, dopo che l’intera umanità  si era estinta da tempo, e l’aveva potuta vedere, come in un ologramma vivente, per poco tempo, quello che bastava a comunicarle con tenerezza il suo affetto; per poi tornare nell’oblio delle profondità dell’Oceano.
«Roy, non lo so …».«Cosa? Se ti andrebbe di rivederla? Ma se tu non fai che pensare a lei dopo tanti tanti anni …». « È vero: non faccio che pensarci: ma è un pensiero fonte di gioia. Perché è l’amore che io sentivo per lei; che forse lei ricambiava, perché le ricordavo il figlio…Ma non m’importa: ero felice per il solo fatto di poterla amare come mamma…Se dovesse riapparire, solo lei, senza il figlio, che sofferenza sarebbe la sua? Te l’immagini?
E il mio amore sarebbe solo egoismo; oppure sarebbe per una vuota figura: una marionetta priva di memorie…E dove sarebbe l’amore che deve circolare per potere essere vero e profondo? Come potrei essere felice se lei si sentisse sola e infelice…? No, preferisco custodire nel mio cuore quel pensiero eterno di felicità e amore …»
Cade il silenzio tra i due. Roy riflette sulle parole del piccolo Replicante, un Mecha (così erano chiamati nel film), pieno di buon senso e di compassione: in lui riconosce un suo fratello minore.
Allora, si domanda con la stessa incertezza di sempre, per potere essere pieni di umanità serve a qualcosa  essere umani?                                                                (Fonte foto: web)

Francesco “Ciccio” Capozzi