E la terra tremò

Stanotte ho sognato quei momenti, poi quando mi sono svegliato ho saputo che nel Sannio c’è stato il terremoto.
Era il 23 Novembre del 1980.
La terra tremò.
Ero giovane, avevo 19 anni. Pieno di sogni, di idee, di vita.
Eravamo un gruppo di amici. Ci vedevamo quasi ogni sera a piazza Cavour a Napoli, per poi spostarci tutti insieme a piazza Sannazzaro, nei pressi di Mergellina, dove ci incontravamo con altri gruppi di ragazzi di altre parti della città.
Tra di noi, ma forse era solo il profumo della giovinezza, si respirava felicità. Risate, pianti, birre, amori, amicizie. Parlavamo di tutto a volte senza dire niente. Tra le mani una birra, una chitarra e, qualche volta, anche una canna.
Quando arrivavamo a piazza Sannazzaro era un rito la birra spillata da Luigi per poi spostarci al centro della piazza, sull’aiuola rotonda con al centro la fontana con la sirena. Chi si sdraiava sull’erba, chi seduto sul bordo della fontana. Intorno circolava il traffico di auto e il tram. Il tram, quando passava tremava tutto sotto di noi e dentro di noi quel rumore delle rotaie ci attraversava.
Quella sera di ormai tanti anni fa, quella sera del 23 Novembre, faceva caldo. Era come una serata primaverile. Decidemmo di andare a Capodimonte, al bosco.
Arrivammo in gruppo, andammo sul lato della reggia dove ci sono le vasche. Comprammo delle birre, c’era Massimo con la chitarra, Gennaro con i suoi piccoli tamburi, io con l’armonica, Liana, Nello, Luigi. Tutti, c’eravamo tutti.
All’epoca avevo una auto, la mia prima auto, un’850 blu che mi diede mio padre. Arrivammo in cinque in macchina. Erano già tutti intorno ad una delle due fontane, allegri, spensierati, erano intorno alle 18.30. Ci sedemmo pure noi. Un sorso di birra fredda che portammo noi con la macchina da giù. Qualche saluto, Massimo iniziò a suonare e Gennaro lo accompagnava. Io mi sedetti sul bordo della fontana. C’era il silenzio, il rumore caotico della città era lontano. Il cielo ancora azzurro terso in fondo tendeva all’arancio con sfumature di giallo per il tramonto.
All’improvviso un boato, e un rumore che mi rimarrà per sempre impresso nella memoria. Qualcuno si confuse, pensando di essere intorno alla fontana di Piazza Sannazzaro, disse: «Sento le vibrazioni del tram, ma non lo vedo passare, ma dov’è?»
Quelle vibrazioni aumentavano sempre di più e con loro quel rumore che sembrava partire dal centro della terra sprigionandosi verso l’esterno, verso tutti i punti del cielo, attraversandoci e facendoci sentire tutti insieme parte della natura, piccoli e indifesi elementi della natura.
Le palme si piegavano come spinte dal vento. Il vento. Un improvviso vento, come se fosse caldo ci fece alzare tutti e in preda a uno spavento, senza sapere cosa fare e dove andare, ci tenemmo per mano tutti quanti insieme vivendo quell’infinito tempo che poi dopo seppi durò novanta secondi.
Non capimmo cos’era successo, nessuno di noi aveva mai vissuto un vero terremoto. Solo lei, Liana.
Liana, incominciò a cantare. Eravamo in preda al panico, qualcuno urlò, poi si calmò e cantò.
Cantando, tenendoci per mano ci dirigemmo verso l’uscita. Nei miei pensieri vedevo un’immagine veramente catastrofica, immaginavo la città completamente distrutta. Più ci avvicinavamo all’ingresso più aumentava la folla che entrava nel bosco per scappare dalle abitazioni. Donne con bambini in braccio piangenti, un uomo con la schiuma da barba ancora in faccia e in mutande.
Un’anziana signora, molto anziana seduta per terra che si teneva la testa tra le mani e invocava il Signore piangendo. Aumentava sempre di più il numero di persone che spaventate si rifugiavano nel bosco di Capodimonte lasciando le proprie abitazioni.
Il mio pensiero corse subito verso la mia famiglia, mia madre, mio padre, le mie sorelle, mio fratello. Da due anni mio padre aveva acquistato una casa nel quartiere di Pianura, era ancora un quartiere con caratteristiche di campagna e la nostra casa era proprio al centro di una coltivazione di vite, la famosa uva da cui si ricavava l’asprino bianco di Pianura, era, perché oggi la stessa casa è in un vicolo senza luce dopo la speculazione edilizia che si è avuto in quel luogo dopo quel giorno.
Non c’erano i telefonini all’epoca e l’unico telefono pubblico a gettoni che c’era era senza linea.
Decisi di mettermi subito in auto per arrivare a Pianura.
Scesi via Capodimonte. Davanti ai miei occhi una immagine sconvolgete. Dalla facciata delle basilica dell’Incoronata, lungo la strada, era caduta la statua della Madonna. Lo slargo antistante la chiesa era completamente vuoto, davanti la chiesa la statua della madonna e sette suore e un prete intorno.
Mi fermai con la macchina, era una immagine sconvolgente, quasi surreale.
Continuai, lentamente per via Santa Teresa degli Scalzi entrando nella città. Man mano che entravo sulla strada principale si stava riversando tutta la popolazione, tutta la gente che scappava dalle proprie case. Era il caos. Non riuscivo a pensare a niente, sentivo un brivido sopra le spalle che mi paralizzava le braccia e non facevo che tremare, ma non era freddo, era paura.
Nel traffico sentii dire che a Fuorigrotta era caduto un palazzo. Subito pensai ai miei, Pianura era vicino al quartiere di Fuorigrotta.
Quando ci passai mi accorsi che era la facciata dello sferisterio che era venuta giù.
La salita che portava a Pianura era intasata dal traffico, ci misi più di un’ora a percorrerla. Arrivai nella traversa. C’era tanta gente nella campagna di fronte casa mia. Non vedevo i miei, d’improvviso mi sento chiamare: «Mario, Mario!» Era mia madre che, piangendo, correva verso di me. Ci abbracciammo. Durante la notte passata nel furgone rosso di mio padre, davanti alla nostra casa, sapemmo della grande tragedia che si era consumata quella sera in Irpinia.
Era il 23 Novembre del 1980 quando la terrà tremò.
Mario Scippa