Dopo ventidue anni si pagano ancora le "Notti magiche"!

 

"Ciao" la mascotte dei mondiali di Italia '90 (foto: web)

Un avvenimento unico nel suo genere e in tutti i sensi. L’emblema della mala gestione, della speculazione, dello spreco, degli interessi personali e dell’inadeguatezza. Erano da poco conclusi i mondiali messicani del 1986 quando l’Italia iniziò a prepararsi per l’evento del secolo. Per convincere la commissione FIFA si parlò d’innovazione, tecnologia e futurismo, stadi all’avanguardia e infrastrutture dedicate. Organizzare un mondiale era la cosa migliore che potesse succedere in questo paese, ma non per l’evento sportivo  in se, bensì per la pioggia di denari da spendere e spandere con inqualificabile vergogna!
Quanto sono costate quelle notti magiche di Totò Schillaci e Roberto Baggio? Dall’inchiesta del quotidiano “il Giornale” si evince che nel bilancio di previsione del 2011 una voce parlava di mutui accesi con legge 65 del 1987 da 55 milioni di euro per la ricostruzione degli stadi italiani. Ventidue anni dopo quel mondiale, passato alla storia per essere stato il primo deciso più fuori dal campo che in campo, pesa come un macigno sulle spalle dei contribuenti. Il costo dello scempio totale è pari a 1.2487 di lire per un incremento dei costi dell’84% rispetto a quanto preventivato e tutto per rovinare quel poco di buono che era rimasto.
L’Italia voleva quel mondiale e forse si è capito il perché, ma per raggiungerlo bisognava fare presto. Quattro anni prima i mondiali si disputarono in Messico, ma inizialmente doveva essere la Colombia il paese ospitante, poi una serie infinita di problemi, il governo che vacillava e i fondi che non bastavano portarono la FIFA a rivedere i piani e trasferire l’evento nel centro America. L’Italia iniziò il suo progetto con la ricostruzione degli stadi, la creazione d’infrastrutture legate ai trasporti e al turismo, ad un fiume di miliardi impetuoso finiti direttamente in un pozzo senza fondo.
Ventidue anni dopo si pagano ancora quegli scempi ed è bene ricordare nel dettaglio di cosa si tratta per non sfociare nel qualunquismo
Gli stadi. La stragrande maggioranza di quei fondi era destinata al rinnovamento degli stadi. Secondo l’Italia, il futurismo passava per le coperture degli spalti dalle intemperie meteorologiche. Lo stadio San Paolo di Napoli, primo esempio dello scempio: prima di Italia ’90, l’impianto di Fuorigrotta dell’architetto Carlo Cocchia era un opera stilistica intrinseca alle strutture circostanti. Un impianto sportivo che avvolgeva adeguatamente le storiche strutture di Piazzale Tecchio. Poteva contenere fino a 80.000 spettatori, ma nel giorno del primo Scudetto del Napoli ce ne furono ben 100.000, poi il disastro, il mostro, la rovina. L’appalto del ferro a prezzo fisso era una miniera d’oro da sfruttare per guadagnarci un po’ su e ogni progetto doveva soffermarsi esclusivamente su questo punto. Il primo progetto fu preparato nel 1988 da Fabrizio Cocchia, figlio di Carlo, e consegnato all’architetto Giuseppe Squillante: 2 milioni di chili di ferro per realizzare una copertura esterna, meno invasiva, più elegante e soprattutto distaccata dalla struttura di base. Niente da fare. Fu approvato, invece, un altro progetto che prevedeva l’utilizzo di 8 milioni e mezzo di chili di ferro con la costruzione di un terzo anello, naturalmente con lo stesso materiale, per un aumento degli spettatori di 5.000. Eliminato il tabellone che inizialmente vigeva all’estremità dell’impianto. I guai arrivarono subito: nel 1987, quando i lavori avevano completato solo una parte dello stadio, le 129 famiglie di via Miraglia richiesero l’intervento del comune per dei veri e propri micro – terremoti scatenati dal saltellare dei tifosi. Alcuni palazzi portano ancora crepi nei muri, segni di un aborto architettonico. Tutto proveniva da lì, da quella ferraglia, che trasportava le vibrazioni nel terreno fino ai palazzi circostanti. Nel 2004 fu chiuso il terzo anello e parte del secondo limitando la capienza a 50.000 spettatori. Oltre questo aspetto, la copertura del San Paolo è stato anche un vero e proprio flop architettonico: costruita secondo criteri climatici nord-europei, la copertura alta con aperture laterali che non teneva in considerazione la direzione di caduta delle piogge mediterranee, ventose e quindi non perpendicolari ma trasversali. Imponente e dannosa anche per il terreno di gioco creando una grossa cappa di umidità che inevitabilmente ricade sulla crescita dei ciuffi d’erba a cui fu aggiunta della sabbia di fiumi nel terreno che amplifica ulteriormente la velocità di crescita. Oggi, per eliminare totalmente quell’ammasso antiestetico servono quasi 8 milioni di euro. All’esterno dello stadio, poi, fu posta una scultura, sempre rigorosamente in ferro, come simbolo dei mondiali. Struttura costata un botto e dismessa un anno dopo perché antiestetica e dannosa. Poco tempo fa, inoltre, sono stati abbattuti anche i due ponti pedonali in ferro di viale Kennedy mai utilizzati! Nel ventre del San Paolo fu rivisto il sistema fognario che ad ogni giornata di pioggia allagava gli spogliatoi (problema risolto solo nel 2003). Altri denari spesi per un parcheggio sotterraneo comprensivo di rampe per l’ingresso diretto allo stadio, parcheggio mai utilizzato e in totale stato di abbandono. Vogliamo arrivare all’assurdo? Basta poco! In occasione dei mondiali asiatici del 2002, un gruppo di architetti giapponesi arrivò in Italia per apprendere gli errori da non commettere ed ecco che, dopo un sopralluogo nello stadio di Napoli, esaltarono la struttura di base, esaltarono l’idea architettonica ma condannarono in pieno l’aborto compiuto nel ’90. Il San Paolo, però, non è l’unico scenario desolante, anzi, ancor più grottesca è la situazione dello stadio Sant’Elia di Cagliari ristrutturato nel 1989. Sei anni fa, il presidente della società sarda decise di costruire degli spalti in ferro sulla pista d’atletica poiché gli spalti furono dichiarati a rischio crollo. Uno stadio nello stadio. Il Delle Alpi di Torino, inoltre, fu ricostruito per 226 miliardi e fin da subito non funzionale per la mancanza di servizi annessi. Quello stadio fu abbattuto qualche anno fa per far posto allo Juventus Stadium (anche qui, però, c’è l’ignoto di come sia possibile trasformare un’area pubblica in “zona urbana di trasformazione”, praticamente un interesse privato). Lo stadio San Nicola di Bari, invece, fu dichiarato miglior impianto, o per meglio dire, la cattedrale nel deserto perché poco funzionale tanto da restare perennemente semivuoto. Tutto grazie anche alla scelta quasi obbligata di aggiungere la pista d’atletica a bordo campo pur di ottenere anche finanziamenti dal CONI, pista inutile data la scarsa dedizione nell’investire in altri sport che non sia il calcio e deleteria perché allontana i tifosi dal tempo rendendo pessima la visibilità. Meglio dare solo un accenno alle morte sul lavoro in vista dei mondiali: il 30 agosto 1989 cinque operai persero la vita per un crollo allo stadio Renzo Barbera di Palermo date anche, se non soprattutto, le scarse condizioni di sicurezza utilizzate. Tutto per correre e non perder tempo! Ecco la situazione arrivati al 2012: Delle Alpi di Torino, nuovo, abbattuto nel 2010; San Siro di Milano, ristrutturazione faraonica senza mai completare il terzo anello e reso a norma solo per gli abbonati; Bentegodi di Verona, ristrutturato e non a norma; San Nicola di Bari, la cattedrale nel deserto, non è a norma; Sant’Elia di Cagliari, ristrutturato e chiuso per inagibilità nel 2010 per rischio crollo; Olimpico di Roma, ristrutturazione colossale e visibilità pessima.
Le Infrastrutture. Se solo per gli stadi sono stati spesi 1.487 miliardi di lire, il costo totale per la manifestazione è arrivato a ben 6.868 miliardi di lire a dispetto dei 3.151 miliardi previsti. Una spesa esorbitante per cosa? Ecco gli scenari più inquietanti: a Napoli, oltre alla pseudo scultura rimossa un anno dopo l’istallazione e ai due ponti in ferro in via Kennedy, sono state ampliate alcuni tratti dei trasporti pubblici in zone già ampiamente coperte e costruite infrastrutture turistiche utilizzate due o tre volte, se andava bene, prima di essere chiuse. Uno degli esempi è l’Air Terminal di Roma Ostiense completata, mai utilizzata e costata 350 miliardi; la tratta ferroviaria di Farneto costata 15 miliardi e utilizzata solo quattro volte prima dell’abbandono; l’Hotel “Blue Residence” di San Giuliano Milanese, un albergo da sette piani tra le campagne lombarde lasciato in stato d’abbandono una volta compreso che i lavori non sarebbero terminati per l’inizio dei mondiali e demolito solo qualche tempo fa. Infine quelle infrastrutture che dovevano sorgere e che invece sono state finanziate per restare un progetto come nel caso del campo da calcio di Oblio e il campo da rugby a Cuma per un finanziamento totale da 2.5 miliardi di lire. Tante altre sono le “opere” effettuate e volute dal Comitato Organizzativo Locale guidato da Luca di Montezemolo finite ben presto nel debito pubblico per risultare inutili e dannosi.
Lo spettacolo. Chiudiamo nel ricordare ciò che offrì quel mondiale ai milioni di tifosi disgustati dallo sperpero di denaro. Quel mondiale fu il palcoscenico della sorpresa di Schillaci, del talento cristallino di Roberto Baggio, della delusione Vialli, dei vaffa tra Vicini e Carnevale, ma fu anche il mondiale del Brasile favorito con Dunga e Careca spazzato via agli ottavi, della sorprendente cavalcata del Camerun di Roger Milla, dell’eccentricità della Colombia di Higuita e, soprattutto, dell’Argentina di Maradona campione in carica. Come sottolineato in precedenza, questo è il mondiale deciso più fuori dal campo che in campo: in primo luogo l’intemperanza degli Hooligan inglesi che duramente contrastati in patria trovarono spesso campo libero in Italia grazie ad un sistema di sicurezza inadeguato per numeri delle forze dell’ordine, poi le vicende legate a Maradona e all’Argentina. Diego non era ben visto dai paini alti del calcio e soprattutto da Havelange, brasiliano e costretto a vedere la nemica Argentina prima vincere in Messico poi volare in Italia. Già dopo la vittoria al Delle Alpi con i verdeoro, l’Argentina fu spesso vittima di contestazione amplificata ancora di più nel giorno della semifinale. Come un segno del destino, Italia – Argentina sarà di scena al San Paolo di Napoli, nella tana del re, che stuzzica i suoi sudditi rimarcando come l’Italia si ricordi di Napoli solo quando gli fa comodo (ancora oggi la sostanza non cambia: se c’è la nazionale siamo tutti uniti, ma per il resto solo cori e dimostrazioni razziste) e buona parte del tifo partenopeo si schierò proprio al fianco di Maradona. L’Argentina eliminò l’Italia ai rigori e questo fu preso come affronto inaccettabile al livello del “tradimento” della città partenopea. La bandiera sudamericana fu strappata dall’asta il giorno prima della finale con la Germania, poi l’inciviltà più inaudita nel fischiare l’inno nazionale diventato clamorosamente meno vergognoso, l’omertà italiana è sempre protagonista, della reazione avuta da Maradona in mondo visione. La Germania vinse quel mondiale con un rigore di Brehme fischiato per un fallo inesistente di Sensini su Klinsmann. Il mondo s’interroga, Maradona piange e grida all’ingiustizia dichiarando “Ha vinto la mafia!” e la sensazione che tutto fu già deciso sarebbe confermata solo quattro anni più tardi, in America, con la squalifica di Maradona per Efedrina (una componente per gli spray nasali) dopo le prime due devastanti gare della seleçion con Grecia e Nigeria a tal punto da renderla nuovamente favorita dopo una qualificazione riacciuffata per i capelli allo spareggio contro l’Australia grazie proprio a Maradona pregato di tornare per salvare un business destinato al flop.
Ecco cosa ci resta di quel mondiale, un mucchio di debiti, uno spettacolo manipolato a tavolino, stadi inutili, fatiscenti e pericolosi con l’Europa che avanza e il “Bel Paese”…che resta a guardare!
 

Fabio D’Alpino