Massud, l’eroe

Ahmad Shah Massud

Ahmad Shah Massud percepì lo spostamento d’aria. La bomba era scoppiata. Avvertì l’invasione di una luce, e che l’atmosfera era rapidamente cambiata, sovvertita, nessuna cosa stava al suo posto, niente era rimasto intatto.
E anche il botto: un rumore secco che lo risucchiava dentro, assordante, che lo rintronò con la violenza di un tuono che era scoppiato attorno a lui, come in uno di quegli uragani di montagna,violenti, maligni, immediati e inattesi, che lui, con  suoi combattenti incontrava quando era costretto a spostarsi velocemente, anche nel cuore della notte, per sfuggire a qualche offensiva, che i nemici ritenevano “ a sorpresa”, ma di cui era sempre, immancabilmente, avvertito dagli innumerevoli amici che aveva lungo gli impervi percorsi che portavano al Rifugio, il suo Quartier Generale.
E mentre risalivano alla memoria gli ultimi istanti prima dell’esplosione, gli viene da sorridere: allora era vivo. Se riusciva a ricordare quegli istanti. Ma ora? Dov’era? Si accorse che era nell’infermeria e che c’era un andirivieni di gente preoccupata: quasi tutti in camice bianco e un moltiplicarsi di gente armata. Ancora una volta gli viene da sorridere e si disse: proprio ora che non servono più alla sua sicurezza, perché la cosa è avvenuta.
Si rese conto che mentre parlava con se stesso, nel silenzio profondo della sua mente, non sentiva nient’altro che le sue parole, il loro suono…Brutta storia se sono scollegato col mondo, si disse ancora, vuol dire che…, quasi non riusciva  a trovare le parole, ad essere chiaro con se stesso senza infingimenti, cosa che, invece, lo aveva caratterizzato, con tutti: ma soprattutto con se stesso, magari con un filo di ironia.
Il che spiazzava tutti i suoi, specie all’inizio, quando si sentivano al cospetto di Massud il Leone del Panshir , il Combattente dei Due Eserciti, che aveva sconfitto i potentissimi sovietici e i Talebani, che quasi si metteva a ridere quando faceva qualche battuta o dava qualche citazione dei suoi preferiti poeti persiani, lui che era Sunnita che citava un appartenente all’etnia parsi, gli odiati Sciiti.
E lo vedevano, finalmente, quest’eroe … Si trovavano di fronte un bell’uomo dallo sguardo magnetico, ma in fondo un ometto non tanto alto, semplice, che non spaventava nessuno, e che vestiva come tutti i suoi combattenti, senza ori né fronzoli, né gradi: oltre i colori e i tessuti, anche il copricapo erano quelli tradizionali.
Una volta parlò con una giornalista inglese, che si chiamava Jane Russell, come la famosa attrice; oltre ad essere particolarmente perspicace, era bella e generosa (Massud ricordava ancora le notti successive passate con lei…), gli disse perché dava quest’impressione: perché ascoltava gli altri prima di parlare: non dava l’impressione del solito militare che deve chiarire sempre e in ogni situazione “chi comanda”; non ne aveva bisogno.
Ascoltava in silenzio chiunque si rivolgeva a lui, attento e concentrato su questi; però, appena con uno sguardo chiedeva la parola, sembrava naturale che tutti tacessero per ascoltare.
Cominciava a parlare con quella sua voce bassa e potente, che andava diritta al cervello, era come se “tutto era stato risolto”: dava sicurezza e visione d’insieme, anche quando le condizioni erano o sembravano impossibili militarmente o politicamente. Ma si vedeva che aveva tenuto conto anche di molto che gli era stato detto dai suoi, comprese quelle larvate critiche al suo operato.
Non parlava a lungo: era chiaro, netto e conciso, e dava sempre le ragioni per cui faceva in quel modo e non in un altro. Ma subito dopo il silenzio attorno a lui continuava.
Le sue parole non erano solo state chiare, ma avevano la capacità di scendere in profondità: non solo al cervello ma anche al cuore, perché, anche se parlavano di strategie militari, esse erano animate, sempre, come in sottotraccia, dalle ragioni ultime per cui combattevano: preservare la sua gente, almeno in quella parte dell’Afghanistan (il Panshir), dove erano presenti e attivi, dalle angherie da parte di qualunque invasore, «… esterno o nostrano, e qualunque fosse la bandiera che sventolasse: la Rossa o quella dell’Islàm», così diceva con forza e semplicità.
Questo diceva la giornalista: al ricordo di quei giorni, sorride. Ma pensa che è questo debole per le interviste che l’ha fregato: quei due reporter-kamikaze hanno costruito un’identità molto forte, che ha retto ai controlli fatti dai suoi: si vede che Allah così ha voluto.
Nel buio della semincoscienza, in bilico tra notte fonda e alba parla con se stesso; prega: è lucido, perché pensa con la stessa energia di sempre, anche se sono sprazzi di pensiero, che si disperdono in un sentire come opaco e melmoso. Avverte di stare sul punto di andarsene.
E così, ce l’hanno fatta i Sauditi a toglierlo di mezzo: era lui l’unico ostacolo alla vittoria dei Talebani e di Bin Laden, che è una loro creatura.
E ce l’hanno fatta solo con l’appoggio dei Servizi americani: per quanto non siano degli sprovveduti, da soli i Sauditi o i loro alleati Pakistani, non sarebbero mai stati in grado di organizzare un attentato di questa portata contro di lui.
Ha ben chiaro che la sua liquidazione non è che l’inizio di altre e ben più grosse imprese che stanno tramando: e non è detto che avverranno in Afghanistan, per lui questa intuizione ha il sapore di una certezza; una di quelle che lo rendevano Massud il Capo.
Sul far del giorno, senza astio né rancore, col pensiero rivolto ad Allah Grande e Misericordioso, felice di una vita ben spesa per il suo popolo, Massud va via per sempre.
Era il 9 settembre 2001: due giorni dopo avviene l’attacco alle Torri Gemelle di New York e l’inizio di una nuova era di conflitti planetari.
Il 14 settembre, l’epilogo:  muore Massud.

Francesco “Ciccio” Capozzi