Il Conte Ugolino, canto trentesimoterzo dell’Inferno

In un mondo che non ci appartiene più accadevano misfatti che non hanno di eguali nella storia dell‘umanità. Forse per averne letta la vicenda fantasiosa nel momento cruciale  dei nostri studi non riusciamo a ricordare che il fastidio di aver dovuto imparare a memoria una vicenda narrata  in un italiano “volgare”, che spesso necessita di una interpretazione dura e pesante,malgrado tutto, nel fondo del nostro animo, ha lasciato una traccia indelebile e ne ricordiamo i versi più duri come simbolo di una crudeltà impossibile da pensare.
Dante, non solo la immagina ma ne ricostruisce i particolari con una precisione quasi scientifica.                                                                                                                                         L’orrore dell’ambiente, la scenografia del luogo, caricano già di per sé la vicenda di crudeltà  inimmaginabile, orrore su orrore: la visione di un padre che brancola  nella luce incerta o addirittura inesistente della torre maledetta alla ricerca dei figli fa raggelare il sangue, figli che già sono in preda al terrore per un sogno che somma ferocia a ferocia. Dante è, egli stesso con la fantasia, nella torre e quindi osserva e descrive ogni particolare della disumana vicenda: l’immensità dell’affetto dei figli per il padre con cui vorrebbero addirittura scambiare vita per vita, il silenzio paterno, che pur nella certezza di una fine più che crudele fa ribollire dentro il suo animo il dolore  per ciascuno dei suoi figliuoli per i quali nutre, oltretutto, la certezza dell’innocenza.                                                                                                                                     Non può far nulla per loro oltre l’osservarne ora dopo ora, giorno dopo giorno l’annullamento della persona nell’annientamento del fisico nei dolori atroci della fame.
Uno dopo l’altro scompaiono dalla scena umana  i giovani esseri e nella mente dell’uomo, cresce, inversamente proporzionale, il dolore, la rabbia fino a quel momento celata per nasconderla ai figli, in urla inumane cha fanno eco a se stessi entro  le mura orrende della torre perversa.
La fantasia dantesca giunge ad alimentare in noi un dilemma, il dilemma più atroce nella concezione del vivere umano:” Poscia più che il dolor, potè il digiuno”. Che cosa accadde dopo?                                                                                                                                       Non vogliamo  pensarci, non possiamo perché trasferirebbe in noi, nella nostra mente e nel nostro cuore  una tragedia che non dovrebbe esistere nel grande teatro del’umanità.
Non dovrebbe esistere nell’avanzamento della civiltà ed invece esiste, ha cambiato aspetto, ha  tralasciato il singolo ed abbraccia la collettività, si chiama sterminio, si chiama distruzione delle etnie e si avvolge in un macabro lenzuolo di morte: morte dei bambini, incenerimento dei grandi , stupro collettivo delle donne per assicurare un cambiamento alle generazioni future.
E noi ? “ Non ci resta che piangere “!

Prof. Sante Grillo