Racconto della città senza luce

Napoli sotterranea

Napoli è una colonia cumana.  In quel territorio c’è tutta Napoli, ci sono le sue vere origini.  I Campi Flegrei, un luogo fisico dove si materializzano davanti ai nostri occhi i simboli universali della vita espressi nei quattro elementi fondamentali: Acqua, Fuoco, Aria e Terra.
Prima tra tutte la forma dell’architettura tagliata nella roccia che ritroviamo nelle cavità, nella città di sotto. Pensate all’antro della Sibilla, quella sezione trapezoidale è stata il modello per tutte le cavità sotterranee di Napoli, da cui è stato ricavato la materia per costruire la città, e allo stesso tempo ricavare degli ambienti di una bellezza straordinaria.
Sono originario del quartiere Sanità, nei miei ricordi di bambino ci sono i cosiddetti “ricoveri”, enormi cavità sotto ogni palazzo del vicolo, spesso comunicanti tra loro. Ne sentivo parlare da bambino di questi luoghi, dove in tempo di guerra la popolazione si riparava dai bombardamenti. Da bambino ho ascoltato tanti racconti su questi luoghi, racconti di storie vissute o semplicemente inventate.
Nell’immaginario mio, di bambino incantato da quelle storie, quei luoghi erano luoghi magici, li vedevo nella mia mente quasi come se fossero enormi basiliche scavate nella collina, dove vivevano personaggi strani e si svolgevano chissà quali riti. Penso al “ricovero” sotto al mio palazzo del vico Lammatari, dove si scendeva a due livelli sotto, e sotto si diceva che scorreva un corso d’acqua ed era addirittura ormeggiata una barca, e si diceva che quel corso d’acqua arrivava fino a Santa Lucia, al mare, “for’ a Caracciolo”. Io immaginavo che la sotto vivesse un omino traghettatore, una sorta di Caronte tassista che non aveva mai visto la luce del sole.
Ricordo pure il cosiddetto “o’ cavone aret’o’ Mont’’e Cristallini”. Era una grandissima cavità scavata sotto la collina di Capodimonte, sul lato Nord-Est del quartiere Stella, dove da ragazzino mi inoltravo insieme ai miei amici.
Attraverso dei sentieri sotterranei potevamo raggiungere un cunicolo in salita quasi verticale che ci portava direttamente nel Bosco Di Capodimonte. Ricordo la luce che filtrava da quel cunicolo, da lontano sembrava un faro che proiettava il fascio sulla parete, e tutta la cavità era illuminata da quella luce riflessa. Ricordo che a ridosso della bocca di apertura di questo cavone, c’erano tante piccole aperture, tutte rifinite con infissi colorati e pareti piastrellate, con improbabili terrazzini che si affacciavano sullo slargo e ognuna con una propria scala che sembrava ricavata anch’essa nella montagna. Erano case, scavate direttamente sulla collina di tufo. In una di quelle case abitava un mio caro amico, Gerry o’ nirone (perché aveva la pelle di un colorito scuro), La sua casa era costituita da due piccoli ambienti, uno dentro l’altro, e l’unica apertura era quella da dove entravo, quel foro nella montagna con il terrazzino davanti. Ricordo una particolare sensazione che avvertivo ogni volta che l’andavo a trovare, una sensazione scaturita dall’odore della pietra: un odore acre, forte, riconoscibile tra tanti: era l’odore del tufo.
Crescendo sono andato a ricercare quei posti, e mi sono accorto che questi luoghi della materia, nati per una questione pratica (reperire materiale da costruzione) così come sono stati realizzati, nel corso dei secoli, per la loro forma, la luce, il taglio delle pareti, per quei grandi spazi che si potevano raggiungere solo da piccoli cunicoli e che si aprivano davanti agli occhi improvvisamente, avevano quel carattere che io immaginavo da sempre. Queste cavità, oltre ad essere degli spazi fisici di una bellezza straordinaria, sono anche carichi di una straordinaria energia, un particolare “genius loci” tali da far vivere a chi ci entra una dimensione magica, spirituale.
Invece, negli ultimi decenni questi luoghi sono stati abbandonati a se stessi, come luoghi di risulta, usati dai malavitosi, e penso a tutte quelle cavità del vallone dello Scudillo e delle Fontanelle, dove all’interno delle quali, per decenni, hanno fatto da padroni, svolgendo i loro loschi affari e nascondendo casse di sigarette, auto rubate, armi, ecc.
Poi, è venuta la consapevolezza da parte delle Amministrazioni della città che potevano essere considerati delle risorse; il più delle volte sono state politiche mosse da una malacultura vestita di nuovo, che con la scusa della rivalutazione e del riutilizzo per il bene della collettività. Il vero obiettivo è sembrato essere quello con fini speculativi, e, perciò, hanno sacrificato, oltraggiato e mortificato la bellezza di questi luoghi.
Non bisogna andare molto lontano da qui per avere un esempio di quello che sto dicendo, penso alle cavità di Pizzofalcone, l’ultimo vanto di Napoli, uno spazio straordinario e di alto potere evocativo, dove la sensazione che si provava entrando era la stessa che si prova entrando in una spettacolare cattedrale Gotica, oggi è un parcheggio a 5 stelle. La luce che filtrava all’interno era meravigliosa, in particolare al pomeriggio, quando un fascio cadeva prepotentemente dall’alto. In virtù della necessità e del riutilizzo si è completamente distrutta questa meraviglia per farla diventare un parcheggio, ma complici dei politici sono anche gli storici dell’arte, sovrintendenze e tutti gli organi competenti: nessuno di loro ha fatto niente affinché non si compisse questo scempio.
“[…]al giorno d’oggi, comunque, e in questo ha proprio ragione Margherita, sopratutto da queste parti, si sottovaluta troppo quanto possa contare l’aspetto culturale e quello del senso di appartenenza di un popolo ad un passato nobile, per condividere e realizzare grande idee e grandi progetti; programmi politici ambiziosi. Per sfuggire ad egoismi dilaganti e ad una incultura imperante tesa solo al raggiungimento di fini personali e di corto respiro[…]”
Questa frase (tratta da: Giallo Tufo di Francesco Escalona), la faccio mia perchè spiega esattamente quello che penso e non avrei trovato migliori parole per spiegare l’incultura imperante che regola i processi decisionali nella trasformazione dei territori, ed è una frase che  mi ha fatto venire in mente, subito, appena la leggevo, un’altra frase di un’intervista a Massimo Cacciari da Claudio Velardi, in Città Porosa. Era il 1992 ed è attualissima:
“La mia città, il mio paese non può essere massacrato da voi, camorristi o dissennati politici che siate! Il mio paese ha questa memoria, ha queste straordinarie potenzialità, ha questo destino, ha questo significato simbolico, e voi non potete e non dovete impadronirvene…. VADE RETRO SATANA, non potete massacrarmi Venezia, non potete massacrarmi Napoli!”.
La povertà culturale di chi ci governa, che sembra non voler capire la vera potenzialità di Napoli, alla pari della speculazione dei malviventi che per anni hanno usato le cave, è quella di considerare questi luoghi non tanto per le loro intrinseche potenzialità legate alla memoria, individuale e collettiva, da salvaguardare e custodire, ma come luoghi di risulta, vuoti da riempire.
Una povertà culturale che solo un vero accorpamento tra tutte le forze culturali, anche politicamente trasversali, potrebbe e dovrebbe combattere .
Questi luoghi del tufo sono i luoghi della  nostra materia.
La parola Materia ha come radice etimologica Mater, ovvero la stessa radice di Madre.
Profanare questi luoghi con progetti aberranti che li snaturano è come profanare i luoghi della Madre di ognuno di noi.

Mario Scippa