Solita routine quotidiana

NAPOLI – Periferia orientale. Siamo in pieno giorno, ed io sto viaggiando in macchina. Percorro strade attraversate dalla fama, quella dei film di denuncia, dove ti si porta dentro il “degrado metropolitano”. Assorto nei miei pensieri, guido meccanicamente, come un cavallo che dovunque si trovi riconosce la strada di casa.

Poi il risveglio. Una botta secca, seguita da altre tre in rapida successione.

«Petardi – mi dico senza prestarci troppa attenzione – in fondo, siamo ancora all’inizio dell’anno …».

Dentro di me, però, vengo preso da un’inspiegabile ansia.

E poi quel grigiore tutt’intorno.

Ed il silenzio, riempito soltanto dal rumore ovattato del mio motore.

Ripresa la piena consapevolezza di me stesso, comincio a guardare le facce delle persone che incrocio: passi lenti, come di chi cammina senza meta, e capo chino. Non un sorriso, non un’occhiata.

L’unico allegro è un ragazzo di colore, un extracomunitario, come li chiamiamo noi, che distribuisce fazzoletti di carta impacchettati sui parabrezza delle auto ferme al semaforo, con la sua giacca “azzurro Napoli”.

«Questi sono i napoletani. Quelli degli anni 2000 – mi è venuto da pensare – Sorridenti e gioiosi anche se immersi fino al collo nell’assoluta incertezza delle loro difficili vite. Com’eravamo noi fino a qualche decennio fa».

Si riprende il suo pacchetto quando scatta il verde, correndo come quando ce l’aveva messo, con lo stesso buonumore, che risalta sulla pelle scura almeno quanto il candore dei suoi denti.

Così proseguendo, arrivo in zone più centrali, o meno degradate se volete, che però mi appaiono impregnate dello stesso grigiore. Strade più pulite, persone vestite decentemente, passo affrettato. Ma la stessa mestizia, lo stesso capo chino.

A parte il colored che trovo ad un nuovo semaforo.

Sembra il gemello di quello incontrato poco prima. L’unico col sorriso smagliante stampato in viso e la medesima speranza scintillante negli occhi.

«Forse è lo stesso che si sposta fulmineamente da un semaforo all’altro», mi dico, senza però riuscire a sorridere della mia stupida battuta.

Vado avanti rimuginando questi pensieri fino a destinazione. Poi, sceso dall’auto, forse a causa della maggiore ossigenazione delle cellule cerebrali, la mia testa prende a viaggiare in tutt’altre direzioni.

Inizio persino a canticchiare Chist’è ‘o paese d’ ‘o sole … Buffo, no?

E poi il lavoro, gli impegni, la solita routine quotidiana, insomma.

È sera. Scorro le notizie sul web e leggo: «Giovane freddato a colpi d’arma da fuoco nella periferia orientale di Napoli».

Allora un brivido mi  percorre la schiena.

Anche questo fa ormai parte della nostra solita routine quotidiana? Dov’è finita Napoli? E dove stanno i napoletani?

In mano a chi stiamo lasciando (ma forse l’abbiamo già da tempo lasciata) la nostra città?

(Fonte foto: web)

Claudio Marsala