Scrivo perché non so parlare

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Il grande scrittore Italo Calvino

Quando ero ragazzino,  la prima volta che mi fidanzai, lo ricordo come se fosse adesso, la prima cosa che  dissi a quella ragazza fu: «Guarda che dovrai sopportare i miei silenzi, perché io non so parlare».
È vero, dissi proprio così. Proprio con queste parole.
È stato sempre un mio cruccio quello di parlare, allora preferisco dire quello che devo dire per iscritto.
Mi sento più sicuro, anche se poi molte volte mi pento tantissimo di quello che ho scritto.
Quando dici una cosa per scritto sembra dargli un valore diverso e se sbagli,  nel tempo che passa da quando l’hai scritta a quando quella cosa viene letta.
Se  hai cambiato idea, diventa complicato far capire a chi legge che hai scritto quella cosa perché in quel momento la stavi pensando e ci credevi.
Siccome non sai parlare, l’hai scritta,  ma poi ti sei riveduto, e, mentre lui sta leggendo, dopo che è passato del tempo da quando l’hai scritta, pensi il contrario!
Questo mio problema l’ho ritrovato, pari pari,  esposto in maniera brillante, e non poteva essere altrimenti,  in un racconto di Italo Calvino, esattamente in Vento in una Città, nella raccolta Prima che tu dica pronto.
Era la stessa identica mia condizione.
Era la storia di un giornalista che diceva di scrivere perché non sapeva parlare. A volte si  svegliava la mattina preso dai sensi di colpa di quello che aveva scritto, perché durante la notte aveva cambiato idea, ma non poteva far niente per tornare indietro perché il giornale era già stato stampato.
Allora,  se ne andava nei pulman a guardare gli occhi della gente mentre leggevano le sue parole.
Mentre leggevano gli voleva dire: «Aspetta, in quel punto non volevo dire questo, ma quest’altro», pentendosi e vergognandosi di quello che aveva scritto.
Ecco perché un grande scrittore è un grande: qualsiasi cosa pensi, vai a vedere e  lui l’ha gia pensata e scritta tanto tempo prima di te!
(fonte foto:web)

Mario Scippa