Schindler's List, la pellicola che cambiò il cinema

La locandina di "Schindler's List"

Un capolavoro che ha segnato la storia del cinema e, più in generale, il modo di osservare, capire, riconoscere e studiare uno dei momenti più bui dell’umanità. Schindler’s List non è un semplice lavoro cinematografico ben riuscito. Non è il semplice film campione d’incassi. E’ molto di più nel suo intrinseco gioco d’immagini, nella sua sinuosa forma ad incastro come se riuscisse a tirar fuori l’inconsapevole, quelle parti nascoste dello Shoah sotto gli occhi di tutti, eppure mai prese sul serio, accantonate nelle cataste di numeri e statistiche. Schindler’s List non è la drammatica fantasia di un regista fantasioso, come ad esempio “Bastardi Senza Gloria” di Quentin Tarantino, ma la rievocazione della realtà raccolta dal romanzo “La lista di Schindler” dello scrittore australiano Thomas Keneally che per primo ha raccontato i sacrifici di un uomo, di un nemico, di un nazista, per salvare gli ebrei, gli inferiori, i derisi.
La trama. Oscar Schindler era figlio di un imprenditore tedesco del Terzo Reich. Alto, possente, amato dalle donne, straordinario conversatore, oratore di Alcol e feste, ma con il fiuto di chi sa come fare fortuna. Dopo l’invasione della Polonia, Schindler decide di trasferirsi a Cracovia per iniziare una nuova attività produttiva sfruttando ciò che il momento storico metteva a disposizione. Non aveva soldi, non aveva nulla, solo una valigia e qualche foglio immacolato. Riuscì a crearsi amicizie importanti tra le SS grazie al suo “savoir faire” in una compravendita di favori che gli spianano la strada verso il mondo imprenditoriale, ma i fondi utili per l’attività arrivano direttamente dal ghetto ebraico in cambio di lavoro e prodotti vari utili al baratto. Inizia così l’ascesa di Oscar Schindler per la sua produzione di oggetti smaltati utili all’esercito tedesco impegnato sul fronte sovietico servendosi, anche per benefici economici, di manodopera ebrea piuttosto che polacca. Arrivano soldi e notorietà fino a quando il Reich non complica le cose ordinando lo sgombero del ghetto e il trasferimento nel campo di concentramento di Plaszow sotto il controllo di Amon Goeth uno dei più temibili e sanguinosi ufficiali delle SS. Schindler non demorde e grazie all’aiuto del proprio contabile Izak Stern, ebreo, cambia i connotati della propria fabbrica trasformandola da oggetti smaltati (foto) a munizioni e granate. Compra la vita, è il caso di dire, di ben 1500 deportati e sperpera ogni centesimo del proprio patrimonio personale per tenere in vita una fabbrica denominata scadente e a rischio chiusura solo per evitare la definitiva deportazione ad Auschwitz dei propri operai per la soluzione finale. La fine della guerra e la vittoria alleata costringe Schindler alla fuga dopo un ultimo momento toccante nel campo di concentramento di fronte ai suoi ebrei.
Il film. Prodotto nel 1993, ha consacrato definitivamente il regista Steven Spielberg nell’olimpo delle grandi regie con i premi Oscar per la miglior regia e per il miglior film. Stracciate le prime pellicole di Spielberg come “Lo squalo” ed “ET”, fino ad allora pietre miliari della sua carriera. Il film è stato girato totalmente in bianco e nero salvo alcuni frame piuttosto significativi: la scena iniziale, con l’accensione delle candele per lo “Shabat”, e l’ultima scena quando una carovana generazionale di ebrei salvati da Oscar Schindler rende omaggio alla tomba del proprio salvatore. In quest’ultima scena il valore comunicativo è impressionante: i protagonisti di quei drammatici momenti vengono accompagnati dalle figure di allora come angeli custodi a sottolineare la vita generata da una vita salvata. Toccante anche la figura dello stesso attore, Liam Neeson, che porta un fiore alla tomba di Schindler raccolto da una lontana inquadratura quasi come un personaggio mitologico. L’intero film, straziante per certi versi, è carico di significato e ogni scena non è mai casuale. Molto spazio viene raccolto dal “doppiogiochismo” di Schindler che, facendo parte del partito nazista, mostrava atteggiamenti diversi a seconda del contesto trasformando in pura ironia di disprezzo, agli occhi dei soldati, quei comportamenti docili e protettivi verso gli ebrei. Un gioco di luci, musiche e immagini rendono la pellicola unica nel suo genere, senza mai trascendere, esagerare o amplificare l’avvenimento. Tutto studiato nei minimi dettagli. Almeno il 40% delle riprese, soprattutto nel campo di concentramento, sono state effettuate con telecamere palmari per trasferire la confusione e il tumulto del momento anche allo spettatore diventandone partecipe emotivamente. Una pellicola che ha cambiato il modo di vedere il cinema e gli effetti che genera sullo spettatore. Non una storia d’amore incondizionata che continua contro tutto e tutti, ma l’umanità di una semplice persona che va aumentando proprio quando di umano, ormai, non è rimasto più nulla.
La bambina con il cappottino rosso. Molti sono rimasti impressionati, ed è proprio ciò che il regista voleva, dalla bambina con il cappottino rosso, unica macchia di colore del film. Schindler è l’unico a notarla ed è emblematica la scena riprodotta: nel grande caos, la bimba passa inosservata camminando tranquillamente per le vie del campo mentre i soldati raccoglievano i deportati. Un piccolo fantasma che entra in camera come parte integrante e non come protagonista. Ecco il punto centrale della pellicola: trasformare in secondario ciò che invece dovrebbe essere primario. Anche lo spettatore non sembra accorgersi della particolarità e se carpisce il passaggio si sofferma solo ed esclusivamente sulla cromatura del tessuto. Difficile notare l’andatura calma e disinibita della bambina nel caos generale, in pochissimi sono riusciti a tracciare il senso di quella sfumatura. invece, lì, c’è molto di quanto già precedentemente sottolineato. Certamente, il regista, non ha voluto tirare in ballo l’immagine di una persona in particolare per una ragione ben definita: durante lo smembramento del campo, anche la bambina viene riproposta con il suo cappottino senza vita ammucchiata fra gli altri cadaveri. Quella bambina è Roma Ligocka, ebrea – polacca effettivamente deportata ma ad oggi sopravvissuta grazie proprio a quel cappottino. Ligocka, nipote del regista Roman Polanski, raccontò a Spielberg la sua testimonianza attraverso una fotografia che la ritraeva proprio con quel cappottino. Dopo il film, Roma decise di scrivere in un romanzo autobiografico la sua storia intitolato “La bambina con il cappottino rosso”. Ma se quella scena non ritraeva la persona, qual’è il suo significato? Spielberg ha deciso di non rilasciare il proprio significato per indurre lo spettatore a cercarne uno. Effettivamente, quel cappottino, sembra mostrare i valori dell’umanità, la passione, l’amore esistente anche in quei momenti drammatici, ma quando Goth avvia le procedure di sgombero del campo la drammaticità e l’odio estirpano anche l’ultimo briciolo di umanità definito in quel cappottino.
Piccoli aggiustamenti. Anche in un capolavoro del genere è impossibile generare fatti reali in modo totale. Nel film, Oscar Schindler viene arrestato per aver baciato una donna ebrea al suo compleanno, ma in realtà Schindler fu arrestato per ben tre volte per vicende relative al mercato nero e mai per contatti fisici con ebrei. Una delle scene finali mostrano l’impiccagione di Amon Goth, effettivamente avvenuta nel 1946, ma la realtà è leggermente differente dal frame: al momento dell’impiccagione il boia fu costretto a dare la sentenza per ben tre volte poichè fu ripetutamente sbagliata la lunghezza della corda mentre, nel film, il tempo si prolunga per via dello sgabello definitivamente rotto dopo vari tentativi. Il film, inoltre, rievoca buona parte dei luoghi dove la storia ha consumato la sua drammatica, ma durane le riprese del campo e di alcuni luoghi limitrofi fu scelto il centro di Leopoli (Ucraina) in quanto meno oneroso di Cracovia
Curiosità e aneddoti. Molte sono le vicende del “dietro le quinte” che in pochi conoscono e ora cercheremo di renderli visibili poichè anche questo sottolinea la straordinaria conoscenza del regista e lo sviluppo della pellicola.
Partiamo dal titolo del film, sembra un titolo come gli altri, e invece racchiude vari significati:

  • in inglese “Schindler’s List” significa “La lista di Schindler”, mentre in lingua yiddish (lingua ebraica dell’Est Europa) i termini “Schindler’s list” si traducono in “Il trucco di Schindler”. In lingua tedesca “Liste” sta per “elenco”, mentre “List” per “astuzia”, “furbizia”. La traduzione Il trucco di Schlinder, potrebbe derivare anche dalla parola russa lisà (volpe).
  • Il budget per la realizzazione del film fu stimato attorno ai 25.000.000 di dollari riuscendo ad incassarne negli U.S.A. circa 96.065.768 e, globalmente, 321.300.000, risultando così il 9° maggior incasso U.S.A. e il 4° maggior incasso globale dell’anno 1993.
  • Parte degli incassi servirono a creare la “Survivors of the Shoah Visual History Foundation”, organizzazione no-profit per una collezione audio-video delle testimonianze di circa 52.000 sopravvissuti.
  • La produzione del film fu affidata a Steven Spielberg mentre la regia era destinata a Martin Scorsese, Billy Wilder e Roman Polanski che rifiutarono. Il primo credeva che un film del genere dovesse essere diretto da un ebreo e decise di dirigere “Cape Fear” al posto di Spielberg; il secondo dichiarò di non esserne in grado, nonostante avesse già abbozzato la produzione, in quanto molti parenti furono protagonisti nei campi di concentramento mentre Roman Polanski rifiutò per paura di renderlo troppo personale in quanto visse, ad 8 anni, nel ghetto di Cracovia tanto che il bambino di nome Adam nel film sembra rievocare proprio il regista polacco. Polanski diresse qualche anno più tardi un film sull’Olocausto intitolato “Il pianista”.
  • Prima di riprodurre gli scenari del campo in Ucraina, Spielberg tentò di girare nel vero campo di concentramento di Auschwitz, ma prima le critiche di vari ambienti ebraici rallentarono il tutto, poi la cinepresa si ruppe all’ingresso del campo per tornare a funzionare solo una volta fuori dal recinto. Spielberg lo interpretò come un segno e decise di cambiare località.
  • Per il ruolo di Oscar Schindler, il regista aveva richiamato prima Harrison Ford e in seguito Alain Ticke, ma entrambe rifiutarono. Kevin Costner e Mel Gibson si proposero per il ruolo, ma Spielberg rifiutò in quanto la notorietà dei due attori avrebbe potuto decentrare il film.
  • Durante le riprese Ben Kingsley, che interpreta Itzhak Stern, conservava una foto di Anna Frank nella tasca del cappotto. Alcuni anni più tardi Kingsley interpretò Otto Frank, padre di Anna, nel telefilm Anne Frank: ” The Whole Story”.
  • Tim Roth è stato considerato per il ruolo di Amon Goeth. La parte andò a Ralph Fiennes e fu costretto ad ingrassare 13 kg bevendo birra Guinness
  • Nel 2004 il film è stato scelto dalla Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti per essere inserito nel National Film Registry.
  • Steven Spielberg ha iniziato a lavorare sul film in Polonia, mentre Jurassic Park era in post-produzione. Ha lavorato a quel film via satellite con l’assistenza di George Lucas.
  • Spielberg sente particolarmente questo film. Infatti, decise di non è stato pagato. Ha rifiutato di accettare lo stipendio dicendo che sarebbero stati “soldi di sangue”. Inoltre ha sempre dichiarato di voler essere ricordato per questo film e per “E.T.” e, ciò nonostante, si rifiuta di firmare autografi su qualsiasi materiale relativo al film.
  • Per i costumi delle 20.000 comparse la costumista si rivolse alla popolazione. Molte persone povere della Polonia non vedevano l’ora di vendere i loro vestiti dell’epoca.
  • Stellan Skarsgård fu considerato per il ruolo di Oscar Schindler, ma fu scartato in un secondo momento. Lo svizzero Bruno Ganz, invece, rifiutò il ruolo e interpretò il Fuhrer nel 2004 per “La Caduta – Gli ultimi giorni di Hitler”
  • Schidler’s List è il più costoso film in bianco e nero mai realizzato fino ad oggi. Il record precedente è stato detenuto per oltre 30 anni da un altro film sulla Seconda Guerra Mondiale, “Il giorno più lungo””
  •  (1962).
  • A Juliette Binoche è stato offerto un ruolo, una donna che veniva violentata e poi uccisa, ma lo rifiutò.
  • Embeth Davidtz ha scelto di non incontrare Helen Hirsch, il personaggio che stava interpretando nel film, fino a dopo le riprese.
  • Quando il film doveva essere mostrato nelle Filippine i censori avevano deciso di tagliare alcune scene di nudo e violenza. Steven Spielberg disse che a quel punto avrebbe ritirato il film dal Paese. Il presidente delle Filippine annullò la censura e fu proiettato senza tagli.
  • Steven Spielberg inizialmente doveva fare il film in polacco e in tedesco con sottotitoli in inglese, ma ci ripensò perché sentiva che non sarebbe stato in grado di valutare accuratamente le prestazioni in lingue a lui sconosciute.
  • A Saul Bass fu chiesto di disegnare il poster (foto). La sua versione era un’immagine di filo spinato contenente i nomi delle persone che Schindler aveva salvato ma fu respinta.
  • Si dice che, durante le riprese, l’atmosfera era così triste e deprimente che Steven Spielberg chiese al suo amico Robin Williams se poteva girare alcuni sketch comici.
  • Dopo aver girato questo film Liam Neeson e Ralph Fiennes sono diventati molto amici.
  • Quando Steven Spielberg ha mostrato la prima a John Williams, il compositore era così commosso che dovette fare una passeggiata per alcuni minuti per riprendersi. Al suo ritorno Williams disse a Spielberg che il film avrebbe meritato un compositore migliore. Spielberg rispose: “Lo so, ma sono tutti morti.”
  • Steven Spielberg ha aspettato 10 anni prima di fare il film perché sentiva che non era pronto ad affrontare l’Olocausto, nel 1983, all’età di 37 anni. Egli stesso appare in un cameo: è un Ebreo che attraversa il campo alla fine del film.
  • Le riprese sono state completate in 72 giorni, 4 giorni prima del previsto. Sono state effettuate a Cracovia e dintorni.
  • Quando, durante la liquidazione del ghetto, il soldato nazista si siede al piano a suonare e i suoi commilitoni commentano: “- Was ist das? Ist Bach? – Bach? Nein, Mozart“, in realtà egli sta davvero suonando Bach, per la precisione il preludio della Suite Inglese numero 2 BWV 807

Fabio D’Alpino