Sapori di una volta

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Stamattina davanti al negozio si è fermato un ragazzo, su un motorino. Aveva legato, sul lato posteriore della sella, una cesta, per coperchio una coperta.
Si è fermato, scendendo dal motorino ha incominciato a suonare una campanella che aveva legata allo sterzo, urlando per attirare l’attenzione, diceva: «Magnateve ‘o pagnuttiello cavero, ‘o pagnuttiello ‘e Poppella!»
È bastata quella frase per farmi viaggiare nel tempo.
Sono uscito dal negozio, ho comprato subito ‘nu pagnuttiello, completo, con cicoli, salame, uova, prosciutto.
Mentre assaporavo quella delizia mi sono ricordato da ragazzino in via Arena Sanità, quando la domenica mattina insieme ai miei amici, andavamo da Poppella a comprare ‘o pagnuttiello.
Era il rito domenicale.
Il laboratorio si trovava sulla strada che porta alla chiesa di Santa Maria alla Sanità.
Aveva sempre una incredibile folla, Poppella. Era una grassa signora, con la faccia tonda e un naso piccolo all’insù, due grandi occhi che brillavano su due guance sempre rosse, indossava un cappellino e un grembiule bianco, e me la ricordo sempre nel gesto di asciugarsi le mani sul grembiule.
In quel piccolo laboratorio, il figlio Ernesto e gli altri erano sempre intenti ad impastare la pasta, una montagna di pasta bianca che assumeva sotto le loro mani forme sempre diverse, fino a quando non era stesa e tagliata a piccole pagnotte e imbottita di quel ben di Dio.
Le pagnotte venivano poi infornate e la fila fuori intanto aumentava, ognuno col suo numero in attesa del suo pagnottiello, quelle squisite pagnotte bianche venivano mangiate calde appena sfornate.
Poppella le distingueva in due o tre categorie: quella con la crocetta, quelle con la ‘ntaccata (un taglio), quelle lisce; ogni segno corrispondeva ad un tipo di ripieno e ovviamente ad un costo diverso.
La strada era inondata da quell’odore e la folla che si accalcava davanti al laboratorio ostruiva il libro scorrimento delle auto, e tutto il rione Sanità si bloccava in attesa che fossero sfornati i pagnottielli di Poppella.
Quel ragazzo aveva  l’orecchino, un jeans, un motorino nuovissimo, ad un certo punto tira fuori anche il suo telefonino per rispondere ad una telefonata, un ultimo modello di quelli enormi, che sembrano computer, con quel suo napoletano che sembrava essere stato scongelato e quella cesta di vimini coperta da un telo di lana bianca, dal quale usciva quel profumo inconfondibile, quella campanella di bronzo, quella sua voce che urlando cercava clienti,  mi ha fatto viaggiare per un attimo nel tempo.
(Foto: web)

Mario Scippa