Raffaella Vacca, un sorriso che danza

raffaella_vacca1Era una donna, avvolta da un tessuto sottile, nero. Dal quale si vedeva il chiarore della schiena, e le braccia, lunghe eleganti.
Aveva un velo, rosso, tra le mani. Era teso, lo muoveva facendolo volteggiare nell’aria come ali di una farfalla. Era una fiamma ardente che volteggiava al ritmo incalzante di una tammorra.  
Le sue forme erano proporzionate, decise. Il volto era quello di una bellezza antica: racchiudeva in sé tutti i tratti somatici di interi popoli vissuti in varie epoche storiche. Labbra, rosse. Sul volto si apriva uno splendido sorriso. Gioia.
Eleganti mani bianche, lunghe dita affusolate. Il suo muoversi era la danza, la pizzica.
Il ritmo incalzava, la tammorra si infiammava. Rosso era il volto del musicista che batteva sul tamburo,  ma la musica vera era dentro di lei.  Veniva da lontano, dalla sua terra, dall’antico passato più antico.
Ho già avuto modo, su queste pagine, di parlare di artisti partenopei che ripropongono suoni, canti e balli, legati al loro territorio di appartenenza. È sempre un vero piacere conoscere artisti giovani, eredi di una tradizione che non vogliono far sparire. Artisti che hanno una incredibile voglia di trasmettere agli altri la loro passione, la loro felicità, la loro gioia che provano quando assaporano l’eternità in un loro passo, in un loro movimento, in un urlo di dolore, di felicità, di amore, di sentimento puro che viene dal passato remoto della loro terra, tramandato dai loro avi.
È il caso di Raffaella Vacca. Ballerina, cresciuta tra i racconti e il suono della fisarmonica del nonno. A  soli nove anni già calcava palcoscenici importanti come il teatro Verdi di Firenze.
Non la conoscevo prima. Sere fa, ad una presentazione di un libro ho assistito ad una sua performance. L’ho vista saltare, danzare, girare, volare, sorridente e colorata come una farfalla. La sua  è una passione, ma anche un attento studio della danza tradizionale e popolare del Sud Italia.
Quando le chiedo il perché, così giovane,  ha scelto di ballare danze popolari, lei con uno splendido sorriso e con naturalezza mi dice che questo tipo di danza le ricorda le sue origini, che sono le stesse di un intero popolo, e aggiunge: «Amo la mia terra,  danzo la vita al ritmo dello spirito che rappresenta il popolo. Lo spirito di un passato che sento sempre vivo mentre ballo».
Per lei la danza è vita, è memoria, è sogno, è la rappresentazione delle opposizioni che caratterizzano il nostro territorio; prima tra tutte quelle legate al mondo contadino, il  contatto con la Madre Terra, che sta a metà strada tra il profano e il sacro, quel territorio magico dove si rivela l’essenza di un popolo. È  bellissimo poter ascoltare da una giovane ragazza con quanta sensibilità e semplicità parla di queste cose quando dice: «La danza popolare esprime il legame tra il sacro e profano: i gesti, il ricordo del raccolto, della semina, la fertilità, la Madre, le devozioni Mariane, lo sguardo che non smette mai di staccarsi. Io amo tutti i generi di balli e danze, ma  la tammurriata, la pizzica, le varie tarantelle, le sento dentro, mi abitano dentro».
Le chiedo quando ha iniziato a ballare, e i suoi occhi iniziano a brillare: un leggero rossore le colora il volto. La sua timidezza contrasta con la scioltezza e la sicurezza di quando balla.
Dopo una lunga pausa, mi racconta dell’importanza che ha avuto la figura del nonno materno e della Zia Monica, la fisarmonica del nonno,  che accarezzava  come fosse una bambina da amare e cullare, e che ancora lei custodisce e suona.
Da bambina saltellava ed era affascinata dalle canzoni popolari che intonava il nonno. Mi confessa che quei ritmi li ha sempre sentiti «scorrere nel sangue».
Poi l’incontro con Enzo “Tammurriello” Esposito, che l’ha spinta e sostenuta sempre, credendo nel suo talento fin da quando era bambina.
Quando Raffaella danza sembra essere trascinata in vortice divino dalla musica.
Per lei danzare è un piacere fisico e mentale; mi confessa che la sua mente, il corpo e l’anima, in quel momento si liberano: «Immagino la danza come una  cascata di piacere che ti rialza ogni volta. Quando ballo mi diverto, è’come volare sui cieli più alti e passare tra le nuvole. Danzando ho anche la consapevolezza del mio corpo, misuro i limiti e quindi dove posso spingerlo». 
Raffaella Vacca ha una naturale predisposizione genetica a gioire, vivere e sognare. Mentre balla e  riesce a trasmetterla con semplicità ed umiltà al pubblico.
È giovane, ma questa sua qualità la sta facendo distinguere: nell’ambiente: è molto apprezzata e ricercata e vanta  collaborazioni con i migliori artisti e interpreti della musica popolare, come in “Vento del Sud” del Gruppo salentino, Luca Rossi, Lucia Scarabino, Enzo Avitabile, Marcello Colasurdo, Fiorenza Calogero, Urban Folk Italia, Metropolitan folk, Triotarantae, Giovanni Mauriello, Carlo Faiello, Marina Bruno e tantissimi altri che la ricercano per la sua naturalezza.
Oltre a ballare Raffaella Vacca insegna. Ma non ama definirsi insegnante di danza perché sostiene che la danza popolare va vissuta tra il popolo e appresa dai vecchi che conoscono la vera natura, la vera magia. Dice che agli allievi suggerisce la tecnica, ma se vogliono davvero imparare la danza popolare devono frequentare le feste tradizionali dove è quello il momento alchemico nel quale il passato non si perde e diventa futuro. 
Ciò che mi ha colpito di Raffaella Vacca vedendola ballare e poi chiacchierando con lei è la sua umiltà. Ma ci tengo a precisare che mi riferisco all’etimologia della parola, dal latino humus (terra), pertanto humilis  (umile) è colui il quale proviene dalla terra, che sta in basso.  Anche la parola “uomo” deriva dalla radice sanscrita bhu che successivamente divenne hu (da cui anche humus). Uomo significa quindi creatura generata dalla terra, creatura umile.
L’umiltà di Raffaella la intendo quindi come Umanità: quel sentimento di piccolezza nei confronti della Divinità e dell’Universo; lo stesso che è considerato da molte religioni una virtù fondamentale dell’essere umano.

 Mario Scippa

(Foto by Edoardo Tranchese)