Raffaele Viviani e le sue canzoni


Raffaele Viviani fu commediografo, attore, musicista, poeta, cantante. Potremmo già limitarci a queste definizioni per descrivere uno dei più grandi e poliedrici artisti che il nostro territorio abbia mai espresso. C’è però ancora un aspetto poco conosciuto della sua arte: fu autore di canzonette, ed è questo specifico settore delle sue opere che cercheremo di analizzare.
L’arte interpretativa e la superba presenza scenica di Viviani resterà un unicum nel campo artistico partenopeo; tutto il suo impegno era soprattutto orientato alla rappresentazione e alla denuncia sociale.
Di conseguenza gli aspetti antropologici che caratterizzavano la vita quotidiana del nostro popolo – peculiarità che il celebre artista non voleva ignorare – erano essenzialmente un j’accuse teso a rappresentare i variegati aspetti negativi di una realtà composita e complessa nella quale Napoli e tutta la sua provincia si dibattevano.
Il suo impegno  artistico-sociale gli creò enormi problemi e la sua stessa carriera venne fortemente condizionata dall’ostracismo e dalla censura di regime che tendevano ad emarginare culturalmente l’uomo e le sue opere; la sua infatti si può considerare una strenua resistenza al fascismo che volutamente ignorava le problematiche che il Viviani denunciava attraverso i suoi scritti e le sue rappresentazioni teatrali.
Raffaele, Salvatore, Catello Viviani nacque a Castellammare di Stabia il 9 gennaio 1888, da Raffaele, di professione cappellaio, e all’occorrenza anche vestiarista (fornitore d’abiti di scena) dei vari  teatrini locali, e da Teresa Sansone, donna di casa.
Del teatro di Viviani  si conosce un po’ tutto grazie alle innumerevoli rappresentazioni,  anche perché dopo il “ventennio nero” le maggiori compagnie teatrali nazionali riproposero e portarono in scena le sue opere.
L’aspetto, relativamente conosciuto se non addirittura considerato di second’ordine, fu quello della sua ricca produzione canora.
Fu anche in questo settore che il Viviani – e non poteva essere altrimenti – si prodigò, rappresentando e denunciando le varie problematiche esistenziali del quotidiano vissuto dal sottoproletariato urbano partenopeo.
Le sue variegate figure legate a personaggi e storie spesso improntate su un’ironia quasi macchiettistica, sorniona, che però celava – e nemmeno tanto – la voglia di rivalsa di un popolo costretto a pagare il dazio maggiore alla indifferenza, alla insensibilità della opulenta aristocrazia dell’epoca .
Titoli come ’A canzona d’’a fatica, ‘A preghiera d’’o zuoppo, Aspettanno, aspettanno, Canto dell’isola, L’emigrante, ’O muort’’e famma si commentano da soli.
Il debutto sulle scene teatrali  di un giovanissimo Viviani avvenne nel 1892 proprio con la rappresentazione di una canzone; si trattava di un duettino, genere molto in voga all’epoca.
Raffaele aveva appena compiuto quattro anni; si esibì in coppia con la concittadina Vincenzina Di Capua a Napoli in zona Porta Capuana sul palcoscenico di un baraccone di legno di infimo ordine, il “Masaniello”, che, si dice, fosse stato addirittura costruito da suo padre.
 
Il piccolo Raffaele Viviani era stato chiamato a sostituire il cantante Carlo Trengi, incaricato dell’esecuzione del brano, che quella sera era influenzato. Il brano era Il cantante e la ballerina, una simpatica produzione di Antonio Barbieri, musicata da Eduardo Galgani, in arte Theo.
Dopo l’esperienza con la Di Capua, durata qualche anno,  la sua compagna d’arte divenne la sorella Luisella (1885-1968), destinata a divenire anch’essa una celebrità.
Il culmine della loro notorietà artistica fu toccato con l’interpretazione di ‘O scugnizzo, di Giovanni Capurro e Francesco Buongiovanni.
Finita l’esperienza del repertorio duettistico, con la crescita e la maturazione, Raffaele Viviani si cimentò nel repertorio macchiettistico; la nuova proposta canora era consisteva in parodie e in cosiddette “risposte” a celebri successi dell’epoca.
Un esempio per tutti Cara mammà … , che Viviani ribattezzò Caro Totò, lanciata nel 1904 dal duo E.A.Mario-Raffaele Segrè; si ricorda che questa fu la prima di oltre 3000 canzoni nate dalla penna dell’autore della Canzone del Piave.
Peculiarità di Viviani era quella d’inserire queste canzoni nel contesto scenico dei suoi celebri e immortali lavori teatrali.
La sua voce è arrivata fino a noi incisa su dischi d’epoca che ci consentono di ascoltare un Raffaele Viviani dalla voce stridente, rauca, intrisa di un pathos interpretativo che ha pochissimi riscontri nel vasto panorama della canzone napoletana.
La quasi totalità delle canzoni furono scritte di suo pugno, versi e “musica”; i suoi spartiti vennero pubblicati dalle edizioni Bideri. Viviani entrò a far parte di questa famosa “scuderia” quando nel 1912 vinse il concorso canoro organizzato dalla celebre casa con ’Nce vevo ‘a coppa!, di Gennarelli, ed. La Canzonetta.
Abbiamo virgolettato “musica” non a caso: ricordiamo che Raffaele Viviani non conosceva il pentagramma e la tecnica adottata fu quella che ci piace definire “gambardelliana”, in riferimento al celebre Salvatore Gambardella (1871-1913) ricordato come la massima espressione di musicista “orecchista”, e di cui quest’anno ricorre il 100esimo anniversario della scomparsa.
Viviani usava il suo stesso sistema: fischiettava o accennava, a volte canticchiando, il motivo parto della sua mente, dando modo al musicista di turno – nel caso di Viviani il più delle volte fu probabilmente, Eduardo Lanzetta (1886-1936) – di fissare le note dettate in modo alquanto “artigianale”sul pentagramma.
Per la cronaca, Il maestro Lanzetta musicò anche una canzone che Viviani scrisse con la collaborazione del bravo e colto poeta Carlo De Flaviis (1885-1939),Quanno jarraie ‘a spusà … pubblicata nel 1917.
Una buona parte di queste interpretazioni vennero stampate su 78 giri dalla celebre casa discografica partenopea Phonotype Record e qualcuna su supporto fonografico statunitense Victor.
Con la diffusione del disco, strumento che certamente poteva raggiungere un numero maggiore di persone, magari  gente che prima d’allora non aveva assolutamente  avuto le risorse per accedere ai teatri, il messaggio sociale dell’autore attraverso le canzonette arrivò dappertutto.Venne dunque accusato di contribuire a turbare l’ordine pubblico.
L’accanimento della censura di regime si irrigidì ulteriormente e lo contrastò anche negandogli gli spazi teatrali; arrivò addirittura a non fargli attribuire la carica – peraltro non sappiamo quanto gradita al Viviani – di Grande Ufficiale della Corona d’Italia, proposta nel 1931dal senatore Nicola Romeo.
Con la fine della guerra iniziò la riabilitazione artistica delle sue opere; bisognerà  però arrivare al 1957, quando per le edizioni ILTE venne pubblicata un’importante selezione dei maggiori lavori teatrali  del  Viviani. Riconoscimento un po’ tardivo, visto che l’artista era scomparso il 22 marzo 1950.
Libero Bovio  pubblicò in un suo scritto: «Penso che sarebbe bene amarli più in vita gli uomini degni, che dopo morti, poiché la lode postuma o è un primo segno di rimorso o un ultimo gesto di ipocrisia».
Mai parole furono più significative per ricordare il nostro caro Raffaele!

Ciro Daniele