Napoli: le radici, la storia, la cultura

In ricordo e difesa della patrie e civiche tradizioni di Napoli, città cosmopolita in ogni secolo, vado ad illustrare la tenacia e il valore culturale dei cittadini di Partenope, urbe dedicata alla dea Minerva, dea della saggezza, le cui origini risalgono all’anno 680 a.C., data della fondazione greca ad opera degli abitanti di Cuma.
Partenope, distrutta qualche secolo dopo, fu ricostruita dai greci cumani nell’anno 516 a.C., più bella e grande e venne chiamata Neapolis, la città nuova, municipio di Roma poi, città che fu il vanto di Svevi, Angioini e divenne splendida con gli Aragonesi, viva anche se oppressa dai vicerè spagnoli, cui spesso tenne testa; si rialzò perfino dalla terribile epidemia di peste del 1656.
Divenne la terza capitale europea dal 1734 con la dinastia dei re Borbone, prima città della penisola italiana per popolazione – 340 mila abitanti nel 1737 – e per tradizioni,  riforme illuministiche, dal 1738 famosa per gli scavi archeologici di Ercolano, Stabia, Pompei,  Paestum, Miseno e Baia, per le grandi opere edili tra regge, edifici pubblici, ponti, canali, strade, bonifiche, porti civili e militari, ma anche per l’imponente Albergo dei Poveri del 1753, per il primo esercito nazionale dal 1743, le prime fabbriche in molteplici settori manufatturieri.
Tutto questo avveniva in pieno settecento tra Napoli e Torre Annunziata fino a Salerno e l’alto casertano.
Certamente va sottolineato il risveglio culturale sociale con l’istituzione della Reale Università degli Studi nel 1735, l’Orto botanico; nel1741 si potenziava il Regio Giardino Zoologico, nel 1782 si apriva la Villa Comunale, la villa del popolo, la raccolta indifferenziata dei rifiuti urbani, l’illuminazione pubblica delle strade dal 1762, il potenziamento delle scuole superiori liceali in Napoli dal 1768, l’ampliamento del Museo Archeologico nel 1743 e 1782, il primo teatro nel 1737, il lirico di San Carlo, l’accademia militare del Regio esercito dal 1772 e nel 1787 della Nunziatella.
Conseguentemente alle alacri opere del Real Cantiere Navale di Castellamare di Stabia i Borbone costituirono la più grande flotta militare italica dal 1779, una grande flotta mercantile dal 1738, incrementando la difesa sistematica dei porti e delle coste dalle scorrerie dei pirati barbareschi con la squadra navale agli ordini del Capitano di Fregata don Giuseppe Martinez.
Il Regno di Napoli fu anche caratterizzato da uno sguardo attento alle politiche economiche creando numerosi posti di lavoro con la Fabbrica di porcellane di Capodimonte nel 1743 e con quella di Portici nel 1762, l’artigianato dei presepi natalizi, assurto a vera e propria forma d’arte nel 1738, ma anche l’assistenza pubblica ai poveri attraverso istituti specializzati, la riforma del Banco di Napoli, fondato nel 1494, l’incremento dei rapporti diplomatici internazionali, perfino con l’imperatore turco con cui vi fu uno scambio di doni tra i quali il gigantesco elefante che era tenuto nel parco della reggia di Portici.
Una delle intuizioni più illuminate dei Borbone fu senz’altro la concessione di libera scelta dell’istruzione gratuita elementare pubblica (1767-’68), la fondazione delle più belle Accademie culturali come quelle di Belle Arti e di Belle Lettere, dell’Accademia Archeologica Ercolanense, dell’Accademia Scientifica Pontoniana e la fondazione del Reale Osservatorio Astronomico di Palermo, in preparazione di quello Capodimonte a Napoli che fu poi inaugurato da Giaocchino Murat.
Inoltre fu aperto l’Istituto per Ciechi di Napoli, vennero riordinati la Casa Regia dei Matti di Aversa e tutti gli ospedali pubblici del regno e si favorì la nascita di quella che sarebbe stata la scuola di pensiero che si batteva per l’abolizione in Napoli e della tortura giudiziaria e per la sospensione di ogni sentenza capitale.
Va sottolineato che dal 1734 non fu giustiziato nessuno a Napoli, sino al 1762, quando venne impiccato a Gaeta il brigante comune Mastrillo; nel 1784 fu giustiziato a Salerno il brigante amalfitano Angelo Del Duca. Dal 1734 al 1792 tutte le sentenze capitali vennero sempre commutate in ergastolo a vita o a 30 anni di carcere.
Si pensò anche a riordinare la disastrata burocrazia con il potenziamento dell’Archivio di Stato, della Ragioneria, della Corte dei Conti, del Catasto, con l’istituzione della Deputazione di Sanità e del collegio degli Imbalsamatori Medici di Palermo nel 1756 e il Collegio Universitario e il Gabinetto di Anatomia Medica nel 1763.
Tra tutte queste riforme illuministiche, certamente ispirate dal ministro Bernardo Tanucci e sposate entusiasticamente dai Borbone, vi fu persino la regolazione della pesca, del commercio del corallo e della manifattura di argenteria e oro.
Molti intellettuali dell’epoca, tra cui scrittori piemontesi e francesi, inneggiarono alla lungimiranza dei regnanti di Napoli, auspicando una loro leadership in un’Italia confederata o unita nazionalmente , ispirata alla fondazione della Repubblica utopistica egualitaria sul commercio della seta a San Leucio del Sannio nel 1782, voluta da re Ferdinando IV.
Venne anche rilanciata la gloriosa Scuola Medica Salernitana dove insegnarono illustri clinici napoletani come il Cotugno, e la Scuola Napoletana di Giurispudenza, la più grande d’Europa, l’Ateneo in cui si formarono personalità di insigni giuristi come Nicola Fraggiani e Paolino Origlia, che operarono nel Foro del Tribunale al glorioso Castel Capuano.
Venne ugualmente dato nuovo lustro alla Scuola Filosofica Napoletana, che affondava le sue radici nella Scuola Stoica Romana di Cuma, che aveva annoverato tra i suoi pensatori un Blossio – al tempo dei Gracchi – e poi Giovanni Battista Della Porta, Tommaso Campanella, arrivando a San Tommaso d’Aquino e al suo allievo Giordano Bruno, a Antonio Beccadelli il Panormita, a Gaetano Filangieri ma anche Antonio Genovesi, il primo professore della cattedra di Economia Politica dell’Università di Napoli istituita sotto il regno di Carlo III, e amico del principe e scienziato napoletano Raimondo de Sangro di Sansevero.
In particolare la Schola giuridica, diretta dal ministro Tanucci, vide un programma di livello europeo di riforme appoggiate e pubblicate per ordine dei Borbone, come l’abolizione della pena della fustigazione e della tortura per civili e militari, della censura vescovile sulla stampa, e, insieme alla concessione della libertà di culto religioso, si effettuò il controllo sul numero degli ecclesiastici, chiese e conventi presenti nel regno, annullando il concordato del 1741, e si eliminò anche il Tribunale Pontificio della Nunziatura.
Molto significativa fu l’abolizione del 1743 del servile omaggio della Chinea al Papa; nel 1746 fu sancito anche il libero rientro degli ebrei in tutto il regno unitamente al diritto del loro culto religiosi, residenza e commercio, cose proibite quasi dappertutto, in specie a Torino e Roma.
Il sistema giudiziario si avvalse inoltre del controllo totale delle cause; nel 1741 istituì le figure del Supremo Magistrato Regio e del Supremo Magistrato di Commercio; nel 1734 rilanciò l’antica Gazzetta di Napoli, che riportava il divieto di arresti e confische senza l’ordine della Magistratura apposita, ma anche il diritto al matrimonio civile dal 1758 in tutto il regno per chi non voleva quello cattolico.
Tanucci dopo l’introduzione del matrimonio civile nel regno dal 1758 aveva posto in studio nel 1776 anche la legge sul divorzio civile che però non venne attuata perché il ministro fu congedato per volere della regina austriaca Maria Carolina d’Asburgo.
Vennero poi istituiti i soggetti della Borsa e della Camera di Commercio, istituzione il Tribunale dell’Ammiragliato con patrocinio gratuito peri poveri per le cause civili e penali, il Supremo Consiglio della Finanza nel 1782 e il controllo regio sulla Zecca e sulla monetazione, e infine l’abolizione nel 1746, tra le prime in Europa, del tribunale della Santa Inquisizione e l’abolizione dei Gesuiti.
In un regno tanto illuminato, amministrato amorevolmente da sovrani attenti a tutte le esigenze del popolo, con un sistema giuridico all’avanguardia, spiccarono naturalmnte molte figure geniali ma poco conosciute al di fuori dell’ambito in cui operavano.
Vorrei dunque parlare del mio quasi omonimo, l’avvocato Michele de Iorio di Procida, ma lo farò nel prossimo articolo.
Michele Di Iorio