‘Na voce, 'na chitarra e 'o poco 'e blues

ERCOLANO – Giovedì 20 settembre si concluderà la XXV edizione del Festivaldelle Ville Vesuviane, con il concerto di Pino Daniele al Parco sul Mare di Villa Favorita, alle ore 21.00
Un’esibizione di circa due ore, già sold out, tappa del tour estivo La Grande Madre, in cui il mascalzone latino celebra i 35 anni di carriera, accompagnato da una band con musicisti del calibro di Omar Hakim (batteria), Rachel Z (piano), Gianluca Podio (tastiere) e Solomon Dorsey (basso).
In scaletta, brani dell’ultimo lavoro discografico e molte canzoni del passato.
Una voce, una chitarra e un po’ di blues, di rock, di soul, di funky, di suoni arabi, di radici napoletane, di jazz, di salsa, di samba, di taramblù, quel posto magico dove la tarantella incontra Robert Johnson, ora anche di melòrock.
Pino Daniele: il nero a metà, l’americano della nuova Napoli che sognava di veder passare ‘a nuttata, il mascalzone latino, il Lazzaro felice, l’uomo in blues, il musicante on the road, il neomadrigalista, cantautore che negli anni in cui dominava il messaggio non mise mai in secondo piano la musica, pur avendo cose da dire, e che cose!
Giuseppe Daniele, napoletano del centro storico, classe 1955.
Tra gli anni ’70 e ’80 Pino inventa una nuova lingua, anzi il lingo, gioca con le melodie assimilate in piazza Santa Maria La Nova, i racconti di munacielli e belle ’mbriane delle zie, il rock e il jazz come sogno americano, il vento di rivoluzione che scuote Napoli negli anni dell’impegno che, poi, naufragherà nel disimpegno.
Come Carosone, riflette sull’America che è in lui e nella sua musica, utilizzando la rabbia al posto dell’ironia, un piglio da capopolo newpolitano al posto dello sfottò, che pure permea il suo canzoniere da Masaniello, ma non troppo.
Mostra all’Italia che nella canzone c’è un Sud competitivo, che sa parlare alla nazione intera anche usando il dialetto, segna l’apice del neapolitan power, fondendo la melodia partenopea con il rock-blues, la canzone di protesta con la saudade del Vesuvio.
Il brano che dà il titolo al suo disco d’esordio, “Terra mia”, del 1977, sta a Partenope come “This land is my land” sta all’America di Woody Guthrie, con un’aggiunta di sofferenza e consapevolezza storica che non è mai autocompatimento, ma il brano che apre il disco, “Napule è” è qualcosa di più, il canto di una generazione, l’ultima speranza prima della disillusione, poesia e rabbia, il dolore e il sogno impossibile di una città/nazione salvata dai ragazzini, anzi da ‘e criature, dal loro canto ingenuo, pulito.
“Nero a metà”, omaggio al grande Mario Musella, è l’incrocio definitivo tra melodie veraci e richiami rock.
“A me me piace ‘o blues” è il blues latino che apre il mitico concerto di Bob Marley a San Siro.
Ma Pino è talento irrequieto, ha bisogno di guardare al mondo, Napoli non gli starà mai stretta, ma il suo futuro si avvia verso aperture ad altri suoni, altre storie, che continuano a muoversi tra munacielli ed antiche leggende della città nata con il canto delle sirene.
Ora è il momento di “La Grande Madre” e del melòrock, e il suo sound è rimasto sempre travolgente.
Vai Pino, vai ancora, vai mò.