Molière in bicicletta

Moliere in biciclettaSerge, sensibile attore in crisi d’identità, si è rintanato a Ile de Rè nel nord costiero. Lo scova un suo collega per proporgli un ritorno sulle scene nel “Misantropo” di Molière; non mancano variabili femminili non previste.
Tutta l’operazione gira sulla vera personalità dell’attore protagonista, lo splendido, geniale, versatile e fragile sessantaduenne Fabrice Luchini, che davvero si era allontanato dalle scene e dai set.
Il regista-sceneggiatore Philippe Le Guay, che l’aveva voluto per la sua precedente commedia  “Le donne del 6° piano”, avendo intercettato la sua reale misantropia e sfiducia nel mondo dello spettacolo, l’ha convinto a farne un film.Anche perché questo atteggiamento esistenziale si vestiva, perfino nelle conversazioni col regista,  dei panni colti e raffinati della pièce di Molière; di cui Luchini è, come tutti gli attori francesi solidamente formati teatralmente, un cultore.
Ed è noto che il personaggio di Alceste, il protagonista, è uno dei più complessi e difficili dell’intera letteratura teatrale francese; e la sua riuscita il coronamento di un’onorata carriera d’attore. Ed è dal felice incontro di tutte queste innervature che è nato il miracolo digrazia e la bellezza di questo film(FRA, ‘13).
Si presenta come l’attualizzazione di un testo teatrale ritenuto un classico di riferimento, ma ben poco popolare, almeno nella sua edizione filologicamente rigorosa.
Esso però diviene l’interfacciadi una nevrosi. Che è quella di un grande attore, che vive gli splendori e le piccole miserie di un mestiere paradossale.
Nel mentre assistiamo al passaggio dall’interpretazione alla riflessione su di essa – il meta teatro – si sviluppa la dialettica e il confronto tra i due personaggi. Essi, insieme al personaggio di Francesca (Maya Sansa), che rimanda alla incostante Celimene teatrale, calano il testo nella contemporaneità. Ma lo fanno collegandosi strettamente ai vissuti dei soggetti; che di rimando, diventano più chiari, motivati e incisivi grazie al confronto col testo molieriano: come se  vi si specchiassero.
È un’operazione molto sofisticata. Che si regge su un gioco d’attori formidabile: oltre al saturnino Luchini,  però divertente e ricco di chiaroscuri, c’è Lambert Wilson, che non è solo “di spalla”, ma portatore di una sua umanità a suo modo sofferta e incerta.
Ed è comunque la sceneggiatura ad essere calibrata in un capolavoro di agilità e di leggerezza, pur stando sul ciglio di un pericoloso trombonismo attoriale: si “apre” a pregnanti notazioni psicologiche acuminate, pur nella loro apparenteagilità e velocità.
Il montaggio, della “sperimentale” Monica Coleman, tiene banco tra interni ed esterni, accompagnando le performances degli attori con spostamenti di visuale accorti ed efficaci.
Così gli spazi esterni, organizzati dalla scenografa Françoise Dupertuis, col loro costante muoversi sulle linee del mare, assicurano con discrezione un senso forte di allegoria e metafora.
Anche  l’uso delle bici ha un valore non solo citazionistico, ma di presa d’atto di una tradizione vivente, che si riveste di modernità e continuità.

Francesco “Ciccio” Capozzi