Misteri del mondo: La strage di Ustica

La prima pagina de "Il Messaggero" del 28 Giugno 1980

Il mondo è pieno di misteri, casi irrisolti, insabbiamenti, speculazioni. Generalmente vicende del genere coinvolgono personaggi di spicco, di un certo peso politico, organizzazioni, rapporti istituzionali. Oggi inizieremo il nostro viaggio saltellando un po’ qua e po’ la nel passato, senza seguire una linea temporale definita. Toccheremo e spiegheremo vicende che ancora oggi restano avvolte nel mistero circondate dalle solite domande a cui non si può dare una risposta: Perchè? Chi? Come? Solo il quando ha una risposta. Il resto, invece, è una sorta di alone fantasma che crea ipotesi e fantasie lasciando chiuso a chiave il cassetto della verità. Cercheremo di dare una risposta analizzando le varie ipotesi già espresse e probabilmente ne creeremo altre concrete o fantasiose, ma solo nel tentativo di ricavarne una risposta logica, plausibile, credibile e concreta. Seguiremo fatti, documenti, analisi, contesto, processi, situazioni intrecciate e conflittuali.
Il nostro viaggio parte da una storia italiana. Una storia che metterà in evidenza tutti i lati oscuri del bel paese, le manovre per nascondere verità scomode e i suoi intrecci fatti da interessi e omertà. Inizieremo da una vicenda che tra pochi giorni vedrà la sua terribile ricorrenza: La strage di Ustica.
Il fatto. Sono le ore 20.08 di venerdì 27 Giugno 1980 e dall’aeroporto “Marconi” di Bologna c’è un aereo in fase di rullaggio. Destinazione: Punta Raisi, aeroporto di Palermo. Il velivolo è un IH870 della compagnia Itavia e sulla fusoliera presenta la scritta I-TIGI (India – Tango, India, Golf, India). E’ una bella serata, l’estate sembra essere davvero arrivata e il caldo si fa sentire. La maggior parte degli 81 passeggeri a bordo è diretto in Sicilia proprio per passare le vacanze estive, al mare, con i propri familiari e non solo. Due ore di ritardo condizionano la partenza. L’aereo della compagnia privata Itavia, infatti, sarebbe dovuto partire alle ore 18,15 per poi affrontare un viaggio di quasi due ore. Settantasette passeggere, undici bambini e due neonati, più quattro uomini dell’equipaggio sono i numeri di quel volo, numeri che diventeranno quasi strazzianti nel ricordarli anche a distanza di trent’anni. Feedback completato, l’aereo inizia a percorrere la pista fino ad alzarsi in volo. Tutto perfetto, come da copione, il carrello va su e l’Itavia decolla verso il profondo sud dell’Italia meridionale. Dopo una breve virata a sinistra, l’Itavia IH870 imbocca l’aereovia “Ambra 14” verso Firenze, una sorta di autostrada aerea20 km di larghezza segnalata da radiofari terrestri. Superata Firenze, il velivolo vira ancora per entrare in rotta “Ambra 13” verso Roma e da lì in poi sorvola il Mar Tirreno costeggiando il centro-sud Italia fino a Palermo, la destinazione. Il trasponder riflette sullo schermo del radar di competenza posizione, velocità, altitudine e un codice (in questo caso 1136) che funge da numero di targa. Alle ore 20.26, però, accade qualcosa di strano: il radar di Ciampino chiede al DC-9 d’identificarsi. Lo fa per ben due volte perchè il segnale non è chiaro, disturbato, confuso. Il pilota riaziona lo squack che invia il segnale dal trasponder al radar di riconoscimento e sei secondi dopo un plot sul radar segnala il codice: 1136. Tutto normale, o quasi. Il pilota, via radio, dice di essere perfettamente allineato con il radiofaro di Firenze come da programma e Ciampino risponde: “Adesso vedo che sta rientrando. Mantenete questa prua”. L’anomalia lascia interdetti gli uomini dell’Itavia e rispondono: “Rientrando? Noi non ci siamo mossi”, ma non ci fanno tanto caso. Alle ore 20.57 l’IH870 è al limite dello spazio aereo di Ciampino e viene autorizzato a mettersi in contatto con Punta Raisi per iniziare la manovra di discesa. Si scherza nella cabina di pilotaggio, il morale è buono e non c’è motivi perchè non sia così. Improvvisamente, però, il contatto radio s’interrompe quando uno dei piloti esclama: “Gua…”. Nulla più. Ciampino prova a contattare il velivolo via radio, ma niente, nessuna risposta, silenzio. Allarmati dal silenzio e dall’assenza dei plot sul radar, Ciampino contatta Punta Raisi, forse hanno già cambiato frequenza, ma la risposta è negativa. L’operazione viene ripetuta altre due volte e alle 21.05 Punta Raisi contatta un velivolo dell’Air Malta che transita proprio da quelle parti, forse è un problema di radio, ma l’Air Malta non riceve risposta. A quel punto si comincia a temere il peggio. Alle 21.14 viene contattato il radar militare di Marsala e due minuti dopo quello di Licola, ma la risposta è sempre la stessa. Il volo Itavia IH870 è sparito nel nulla. Intorno alle 21.22 il centro controllo di Martina Franca inizia le operazioni di soccorso e avvisa il 15^ stormo di Ciampino che alza sul Tirreno due elicotteri IFH solo alle ore 22 con notevole ritardo e solo dopo un’ora arrivano sul posto a nord dell’isola di Ustica. E’ buio, la visibilità è scarsa e le coordinate sono sommarie e sbagliate anche di40 km.  Alle ore 23.30 i media iniziano a divulgare la situazione inserendo tra le ipotesi anche quella del dirottamento. Le ricerche arrivano ad una svolta solo alle 05.05 del mattino quando un elicottero di ricognizione partito da Catania nota una chiazza di cherosene rossastra, poi vede affievolire  alcuni oggetti. Cuscini, vestiti, qualche salvagente, tutto sparso intorno alla macchia oleosa. Alle ore 9, però, il fondale marino restituisce anche altro e non sono cose: cominciano a riaffiorare corpi senza vita (foto). Agghiaccianti le immagini registrate e mostrate dalla televisione nazionale durante i Tg di giornata. Il volo Itavia IH870 (foto) in partenza da Bologna direzione Palermo non è sparito nel nulla, ma è precipitato nel Mar Tirreno a pochi chilometri da Palermo, a pochissimi chilometri a nord dall’isola di Ustica togliendo la vita a 81 persone. Perchè? Cos’è successo? Com’è stato possibile? Tante, troppe le domande che si rincorrono tra le lacrime e il dolore dei familiari.
Le prime ipotesi e le operazioni . Dopo i primi avvistamenti iniziano le operazioni di recupero mentre pian piano torna a galla anche altro tra valige, borse, cuscini per sedili e detriti dell’aereo. Vengono recuperate 38 salme e vari resti umani non identificati per un totale di 43, il resto dei passeggeri è rimasto in fondo al mare. Tutto viene trasportato prima a Napoli poi a Palermo, ma c’è confusione, tanta confusione, forse dettata dalla disorganizzazione, e molti resti del relitto vengono recuperati senza una catalogazione come se tutto fosse fatto solo al fine di ripulire le acque. A Palermo, le salme ritrovate vengono sottoposti ad autopsia e il resoconto porta ad incanalare già verso una prima idea: i passeggeri hanno perso la vita per lesioni polmonari da decompressione incontrollata. Praticamente, il forte calo di pressione e la velocità di caduta ha portato i polmoni a cedere strutturalmente. Non è impossibile pensare che i resti umani ritrovati sia stata dettata proprio alla depressurizzazione di tipo esplosivo data la fortissima pressione sopra i 10.000 piedi. Oltre questo, però, alcune salme presentavano lesioni di trauma sul corpo come nel caso di una donna trovata con una scheggia metallica nel polpaccio. Le stesse schegge che, in seguito, verranno trovate conficcate anche in vari parti della fusoliera e dell’ala destra. Ecco, adesso si ha qualche elemento in più per cercare di capire: la certezza è che l’aereo non è esploso in volo altrimenti non ci sarebbero ritrovamenti del genere; allo stesso modo, però, non è precipitato per avaria altrimenti ci sarebbero stati segnali d’emergenza dal velivolo e la struttura non avrebbe permesso la depressurizzazione. Tutto, invece, porta ad ipotizzare che parte dell’aereo si sia spaccato in volo prima di finire giù. Gli elementi danno queste certezze, ma aprono ad altri e più inquietanti dubbi: spaccato in volo? Come può essere possibile? L’Itavia era un velivolo vecchio ma pienamente funzionale e volava quasi tutti i giorni su e giù per l’Italia senza problemi. Fu acquistato qualche anno prima dalla compagnia Hawaiian (ecco perchè quella scritta sulla fusoliera: I-TIGI N902H) ed era adibito al trasporto del pesce. Una risposta potrebbe arrivare recuperando il relitto per analizzare la scatola nera. Solo così si potrebbe sapere qualcosa in più, ma le operazioni di recupero costano molto e questo porta prima a rallentare l’inchiesta poi a bloccarsi definitivamente. Malfunzionamento del velivolo, ma era un’idea poco credibile perchè, in quel caso, ci sarebbero stati segnali inconfutabili in un lasso di tempo medio – lungo. Ipotesi bocciata. La seconda ipotesi parla di un esplosione a bordo, una bomba, un attentato terroristico. Difficile pensare, però, che a bordo di un aereo possa essere imbarcato esplosivo con tanta facilità e soprattutto, se fosse stata una bomba a tempo, con le due ore di ritardo alla partenza sarebbe esplosa quando l’I-TIGI era ancora in fase di rullaggio. Questa ipotesi viene ripresa qualche anno più tardi quando il relitto recuperato viene analizzato e si nota come sul sedile posteriore destro ci sia del materiale esplosivo, ma la quantità è minima come se fossero delle semplici polveri e non basterebbero per un esplosione parziale. Analizzeremo questo punto più avanti. Infine, quasi in lontananza come una voce poco comprensibile, qualcuno avanzava l’ipotesi di un missile Nel 1987 furono reperito i 10 miliardi utili per il recupero del relitto (foto) e l’operazione fu commissionata alla DSRV della Ifremer, una ditta francese di ricerca per lo sfruttamento del mare, che in un anno porta a galla buona parte dell’aereo sommerso. Ma qualcosa non convince. E’ passato troppo tempo e qualcuno potrebbe già essere passato da quelle parti come testimoniano alcuni segni sul fondale in stile aratro. Nel 1990 ci fu una seconda spedizione di recupero affidata ad una nave inglese. Qui vengono a galla altre parti dell’Itavia e non solo: ci sono anche due salvagenti, una sonda meteorologica e un serbatoio supplementare che non appartengono al mezzo civile, ma ad un aereo militare. Ecco, adesso l’ipotesi del missile non era così fantasiosa, ma anche una collisione in volo non è da scartare. Tutto è un mistero, ma da quel punto in poi si comincia a cercare più a fondo, si comincia a cercare in terre pericolose e mai del tutto chiare. In questa terra c’è la politica, ci sono i rapporti internazionali, accordi, soldi in ballo e la paura di un terzo conflitto mondiale a sfondo nucleare.
Il contesto. Siamo nel 1980 e quelli sono anni difficili. l’Accordo USA – URSS di Bush e Gorbacev è ancora lontano e impensabile. Anzi, quello è il  momento più teso della guerra fredda e la sensazione che un conflitto nucleare possa scatenarsi è sempre più concreto: l’America non ha ancora digerito il fallimento della guerra in Vietnam ed è alle prese con la svalutazione del dollaro e lo scandalo Watergate che ha coinvolto il presidente Nixon. L’Urss, invece, inizia a indebitarsi con la corsa agli armamenti ed era preoccupata dall’ascesa di Ronald Reagan che fin da subito si mostrò molto più duro e intransigente in politica estera. E l’Italia? Cosa c’entra tutto questo con la strage di Ustica? Centra e anche molto. In un clima di alta tensione diventava fondamentale il controllo del Mediterraneo per operazioni militari. In quelle acque era presente la NATO con mezzi inglesi, francesi, americani, tedeschi e italiani, ma poco più a sud cresceva la minaccia libica di Gheddafi. Nel 1979, appena un anno prima, Malta trovò l’indipendenza dalla Gran Bretagna e la Libia cominciò a versare sull’isola una forte quantità di petroldollari per iniziare le ricerche di idrocarburi nel territorio. Questa manovra non era solo a scopo economico, ma anche militare per usufruire del porto di La Valletta fino a quel momento sotto il controllo inglese. E’ forte, inoltre, il connubio tra Gheddafi e l’Urss. L’Italia era parte integrante della NATO, ma allo stesso tempo si dichiarò neutrale grazie ad un forte nucleo politico filo-libico capeggiato da Presidente del Consiglio Bettino Craxi. Dalla penisola passavano armi e terroristi verso l’Europa dell’est, furono stipulati contratti vantaggiosi sul prezzo del greggio e l’inflazione al 20% portò la FIAT a vendere varie quote proprio alla Libia. Tale atteggiamento da “Moglie americana e amante libica”  non piaceva alle forze alleate che iniziarono a monitorare l’Italia vedendo in lei una polveriera. Ci  sono vari punti che collegano la situazione alla strage di Ustica: la NATO stava organizzando un attentato al colonnello Gheddafi in vista del suo viaggio a Varsavia per trattare il grano polacco con il petrolio libico, ma il governo italiano mise in allerta Gheddafi attraverso i Servizi Segreti. Ma c’è un altra situazione piuttosto strana e contrastante nelle varie dichiarazioni: quella sera, nei celi del Mediterraneo, si teneva l’esercitazione “Sinadex” con velivoli alzati in volo da portaerei a radar militari spenti. L’Itavia non era sola quella sera e altre circostanze più o meno esplicite testimoniano questo: un controllore radar di Ciampino chiama un giornalista e riferisce che l’Itavia è stato abbattuto. Lo stesso radar di Ciampino, infatti, avrebbe segnalato altri due plot differenti e uno di questi attraversa l’incrocio  tra l’aerovia “Condor” (di competenza militare) e l’aerovia “Ambra 13” del DC-9 a grande velocità dopo una virata repentina prima che l’Itavia sparisse nel nulla. L’aereonautica, però, smentisce dichiarando che quella sera e in quella zona non erano in atto esercitazioni militari. In zona erano presenti solo due portaerei NATO quella sera: la U.S. Navy “Saratoga” attraccata a Napoli e un’altra francese, la “Clemanceau” a Marsala, ma i loro radar erano spenti per non interferire con i segnali radio terrestri ed essendo in porto non avrebbero potuto far partire caccia militari.
Colpi di scena. L’inchiesta è ad un punto morto, impantanata in dichiarazioni contrastanti e in quelle prove che non ci sono più come il registro radar DA1 di Licola o come i nastri di Marsala, ma c’è un colpo di scena: il 18 Luglio 1980 due contadini di Castelsilano, in provincia di Crotone, trovano sul monte Sila, in Calabria, la carcassa di un aereo militare e un pilota senza vita. Quel velivolo è un MIG23 libico. I carabinieri portano sotto sequestro tutta la zona per avviare le indagini. Ufficialmente, la Libia dichiara che quel velivolo era in esercitazione ed un malore del pilota lo ha portato a perdersi fino a schiantarsi sul monte calabrese. C’è mistero anche sul nome del pilota: in un primo momento viene registrato come Al Adin Fadal, poi diventa anonimo quindi la Libia lo identifica come Fadal Al Adin mentre nei documenti degli inquirenti compare il nome Ezzedin Calhil. Da dove proveniva quel MIG non si sa. I resti del relitto furono trasferiti a Pratica di Mare, vicino Roma, e l’autopsia sul cadavere del pilota non evidenzia nulla di particolare se non per il fatto che fosse in avanzato stato di decomposizione di almeno venti giorni, poi i tempi vengono ritrattati. Venti giorni, siamo in linea temporale con quanto accaduto il 27 Giugno. L’inchiesta sul MIG si chiudono troppo velocemente e il 31 luglio vengono rispedito in Libia sia i resti dell’aereo che la salma, ma non partono tutti i pezzi, altri restano a Pratica di Mare e solo in un secondo momento viene riportato come parte della carlinga sia cosparsa di fori e schegge. Schegge che qualche anno dopo vengono segnalati anche sulla coda dell’Itavia e  sull’ala destra. Schegge molto simili a quella ritrovata nel polpaccio della vittima al momento dell’autopsia. Vengono giustificati come test, ma non regge. Altri sono i colpi di scena che pian piano emergono sempre con estrema lentezza. Si evince solo dopo che da Grosseto, alle 20.20 di quella sera, si alzarono in volo due F104 dell’Aereonautica militare italiana, uno con a bordo due istruttori, l’altro con a bordo un istruttore e un allievo.  Alle 20.26 il caccia con a bordo i due istruttori invia il segnale 7300 che vuol dire “emergenza generale”, lo fa per ben due volte a distanza di sette minuti, ma non viene preso in considerazione. Sempre da Grosseto, altri quattro caccia partono tra le 20.18 e le 20.45 a trasponder spento; un altro aereo, francese, parte dalla Corsica e uno americano da Sigonella, in Sicilia. No, non c’era solo l’Itavia, anzi, il celo era pieno zeppo di aerei nella linea d’aria tra Napoli e Palermo. Saltano fuori altre cose, registrazioni telefoniche come quella tra Ciampino e Grosseto che lasciano inavvertitamente aperto il collegamento e viene registrato in automatico: “Il governo, poi, quando sono americani…” e l’altro: “Ma tu, poi, che cascasse…”, “E’ scoppiato in volo” conclude nuovamente il primo. Tutto materiale a disposizione degli inquirenti, tutto materiale utile fin dall’inizio eppure tralasciato e ripreso solo col pasasre del tempo. Intanto, come spesso accade in queste vicende, ci sono anche morti sospette, persone che potrebbero sapere e che non possono più parlare. Il 28 Agosto 1988 durante una manifestazione di volo acrobatico nella base NATO di Ramstein, in Germania, muoiono i piloti Mario Naldini e Ivo Nutarelli (foto) scontrandosi fortuitamente in volo con i propri aerei provocando 58 morti e 368 feriti tra il pubblico. Una coincidenza, una fatalità, una tragedia, ma qualcuno avanza anche ipotesi da romanzo giallo come un uscita di scena voluta in un certo modo. Erano loro i due istruttori del F104 che inviarono lo squack 7300. C’è altro, qualcosa di ancor più grosso che vien fuori solo ad inizio anni ’90. Il Corriere della Sera del 17 Aprile 1992 pubblica la rivelazione di Mario Ciancarella, ex capitano dell’ Aeronautica in servizio alla base di Pisa. Ecco uno stralcio del pezzo firmato da Andrea Purgatori: ” Mi telefono’ a casa un paio di giorni dopo la strage di Ustica: “Comandante, si ricorda di me? Sono Dettori”. Li’ per li’ il nome non mi diceva niente. Allora mi ricordo’ di un incontro che avevamo avuto nel 1978, con i sottufficiali della base di Grosseto. Mi rammento’ alcuni particolari della sala e di una uscita che aveva avuto il comandante. Era agitatissimo: “Comandante, siamo stati noi a tirarlo giu’ . Siamo stati noi”. Lo bloccai subito: ma che stai dicendo? E lui: “E’ una cosa terribile…”. Era sempre piu’ agitato. Gli dissi: guarda, ti rendi conto che e’ una cosa enorme, ci vogliono delle prove, dei riferimenti. E lui: “Io non le posso dire nulla, perche’ qua ci fanno la pelle”.  ” Cercai di calmarlo, perche’ tanto piu’ era agitato, tanto piu’ poteva essere pericoloso per lui…”. Nell’articolo di Purgatori, però, vengono riportati altri aneddoti: “Mi disse: “Io le posso dare solo alcuni suggerimenti, che poi lei deve verificare”. Gli chiesi: scusa, ma in base a cosa mi dai questi suggerimenti? E lui: “Dopo questa puttanata del Mig… si guardi gli orari degli atterraggi, i missili a guida radar e a testata inerte” . Mario Alberto Dettori, maresciallo dell’aereonautica in servizio al radar di Poggio Ballone viene trovato impiccato ad un albero il 31 marzo 1987. Anche il maresciallo Franco Parisi, operatore della stazione radar di Otranto, viene trovato impiccato ad un albero il 21 Dicembre 1995 pochi giorni prima di essere interrogato dal giudice Rosario Priore. Le coincidenze sono troppe, adesso, e la lista delle morti sospette cresce: Pierangelo Teoldi, comandante dell’aeroporto di Grosseto morto in un incidente stradale; Licio Giorgieri, comandante del Registro Aeronautico ucciso da un atto di terrorismo delle Unità Comuniste Combattenti; Maurizio Gari, capo controllore Difesa Aerea radar Poggio Ballone: infarto, a 32 anni; il colonnello Antonio Gallus, morto il 2 settembre 1981, durante un’esercitazione aerea: anche lui si accingeva a fare importanti rivelazioni su Ustica; Ugo Zammarelli, del SIOS di Cagliari, investito; Il sindaco di Grosseto Giovanni Battista Finetti: assassinato secondo alcune ipotesi perché avrebbe raccolto le confidenze di alcuni ufficiali dell’aeronautica su Ustica; Antonio Muzio, maresciallo presso la torre di controllo Lamezia Terme assassinato; Sandro Marcucci, pilota in volo durante l’incidente morto in un intervento aereo antincendio; Antonio Pagliara  controllore della Difesa Aerea radar di Otranto morto in un incidente stradale; Roberto Boemio, Capo di Stato Maggiore della III Regione Aerea in pensione anticipata ucciso con coltello durante una rapina davanti la sua abitazione di Bruxelles; Gian Paolo Totaro, Maggiore medico suicida per impiccagione; Michele Landi, consulente informatico, avrebbe confidato al magistrato Lorenzo Matassa di avere scoperto cose importanti su Ustica. Il 31 agosto 1999, il giudice istruttore Rosario Priore chiede il rinvio a giudizio dei generali Laberto Bartolucci, Capo di Stato Maggiore dell’Aereonautica; Franco Ferri, Sottocapo di Stato Maggiore dell’Aereonautica; Corrado Melillo, Generale di Brigata Aerea; e Zeno Tascio, Capo dei Servizi d’Informazione dell’Aereonautica. Tutti accusati di attentato contro gli organi costituzionali con l’aggravante dell’alto tradimento e per aver omesso di fornire informazioni alle autorità politiche giudiziarie e per averne fornite di errate. Altri quanta tra ufficiali e militari dell’aereonautica accusati, inoltre, di falsa testimonianza. Verranno tutti assolti per non aver commesso il fatto dalla terza corte d’Assise di Roma il 30 Aprile 2004.
L’ipotesi più gettonata. Tante sono state le ipotesi nell’arco di questi 32 anni. Malfunzionamenti, turbolenze, cedimenti strutturali, bomba a bordo. Niente di tutto questo sembra convincere a pieno i familiari delle vittime e non solo. Resta, invece, l’altra ipotesi quella più complessa ma allo stesso tempo, per certi versi, più concreta e capace di giustificare tutta quella serie di eventi che ne hanno caratterizzato i rallentamenti nelle indagini. L a NATO aveva un piano per Gheddafi, ma il governo italiano fa saltare tutto avvisando il colonnello libico grazie al diretto intervento del Presidente del Consiglio Bettino Craxi attraverso il SISMI. Un motivo valido per attaccare frontalmente la Libia, però, arriva il 15 Aprile 1986 quando un missile SS-1 Scud colpisce l’isola di Lampedusa nel tentativo di distruggere un’installazione militare del sistema di radionavigazione LORAN della NATO situata sull’isola. Il ripiego della NATO fu devastante tramite l’operazione El Dorado Canyon, una guerra lampo voluta da Ronald Reagan che rasò al suolo quasi totalmente le città di Tripoli e Bengasi. Gheddafi riuscì a salvarsi e ancora una volta grazie al tempestivo aiuto del governo italiano, ma questa è altra storia. Alle ore 20.08 parte l’Itavia IH870 da Bologna in direzione Palermo. Intanto un MIG23 della Libia è in volo, forse per operazioni di spionaggio o forse di rientro dalla Jugoslavia, non ha importanza. Il MIG viene intercettato dai radar e incrocia sugli Appennini un aereo americano, forse l’AWACS (Airborne Warning and Control System), un velivolo con l’esclusivo compito di supervisione e spionaggio con un radar ad alta potenza; inverte la rotta e cerca di tornare indietro. Nel tentativo di nascondere le proprie tracce, entra in scia dell’Itavia volandogli molto vicino per depistare il suo passaggio utilizzando il segnale di posizione dell’aereo civile. Una volta intercettato il MIG, da Grosseto partono i sei caccia F104 e iniziano a sorvolare il Tirreno fino alle coste sarde (ex militari parlarono proprio di un forte traffico aereo poco lontano dalla Sardegna). Poco dopo si alza in volo anche un caccia francese dalla “Clemanceau” forse solo per ricognizione. Una volta agganciato il MIG, il caccia effettua la virata d’attacco e sgancia un missile aria – aria, probabilmente un AIM -9 Sidewinder (foto) in dotazione alle forze NATO tra il 1975 e il 1986 più utile a danneggiare il velivolo piuttosto che ad abbatterlo grazie alla ricerca infrarossi di calore. Il missile NATO, o francese o l’F104 con a bordo Naldini e Nutarelli, aggancia principalmente l’aereo civile avendo una fonte di calore molto più forte, esplode e distrugge la parte anteriore dell’Itavia che si spezza, depressurizza e s’inabissa a 3700 metri di profondità nel Tirreno. Il MIG subisce il danno ma, data la forza maggiore rispetto ad un aereo civile, riesce a virare finendo per schiantarsi sul monte Sila in Calabria. Questa ipotesi, perchè di questo si tratta, spiegherebbe i vari pezzi del puzzle emersi in tutti questi anni dalla frase interrotta del pilota Itavia alle rivelazioni di piloti e documenti. L’Itavia sarebbe stato colpito per errore e il tentativo d’insabbiare il tutto sarebbe derivato dallo stato di tensione di quel tempo dove una vicenda simile avrebbe portato, chissà, anche ad un buon motivo per scatenare un terzo conflitto mondiale. La verità non si conosce e forse non si saprà mai oppure non la si vuole credere. L’ultimo atto di questa drammatica e oscura vicenda storica è del 25 gennaio 2007 quando Francesco Cossiga, presidente del consiglio italiano nel 1980, parla della strage di Ustica: “Credo che sia stato un attentato fallito da parte di un aereo delle potenze NATO, ne italiano ne americano, ad un aereo che si riteneva portasse il colonnello Gheddafi”. Non è ipotesi, ma storia il rapporto tra Italia e Libia di quel tempo. Ancora una volta è stata scritta male, malissimo, una pagina italiana com’è, da sempre, nel proprio stile ricco di speculazione e omertà, di complotto e interessi. (Ricostruzione simulata)
Dietrologia o interessi?. Nel tempo sono emersi tanti altri aneddoti, rivelazioni e circostanze che sollevano altri punti interrogativi come se già non ce ne fossero abbastanza. Perché tanta fretta nel sottolineare l’ipotesi di un cedimento strutturale? Perché dopo ben sette anni fu recuperato il relitto? Era davvero una questione di soldi o c’è altro? Siamo sicuri che l’I-TIGI si sia inabissato senza che nessuno se ne accorgesse? La compagnia Itavia, azienda privata dell’imprenditore marchigiano Aldo Davanzali, dal 1960 al 1980 godeva di un fatturato molto positivo diventando il concorrente scomodo per la compagnia statale Alitalia che, a malapena, riusciva a chiudere il proprio bilancio in pareggio. La considerazione di mercato nei suoi confronti era notevolmente cresciuta dopo aver acquistato una serie di velivoli della McDonnel Douglas che ne incentivarono le rotte in Italia e in Europa. Dopo la strage, forse per motivi speculativi, il Ministro dei Trasporti Rino Formica revocò la licenza alla compagnia. Era già successo vent’anni prima quando un “Heron” precipitò sull’isola d’Elba, ma l’attività riprese dopo appena due anni. Dopo la revoca della concessione, l’Itavia fallì complice anche il forte risarcimento dovuto alle famiglie delle vittime. Ancor più incredibile, su questo punto di vista, la vicenda che vide coinvolto Aldo Davanzali incriminato per notizie false e tendenziose dopo aver dichiarato: ” Ho la certezza che ad abbattere il Dc 9 è stato un missile lanciato da un altro aereo”. Non fu mai processato. C’è ancora un’altra storia che ha dell’incredibile e che svela nuovi e interessanti particolari su quella drammatica sera del 27 giugno: nel settembre del 1999 parla Guglielmo Sinigaglia, ex colonnello del SISMI diventato clochard per le strade di Milano pur di restare con moglie e figlio: “Quella sera fu guerra, si, guerra vera!”. Stando a quanto riportato dall’ex colonnello, quella sera il missile non partì da un caccia, ma da un sottomarino francese. Un missile Standard a carica di prossimità che costrinse l’I-TIGI all’ammarraggio. Sul posto sarebbe arrivata anche una nave inglese con a bordo le SBS che avrebbero definitivamente mandato sul fondo il relitto utilizzando delle cariche di Dynagel (composto del TNT capace di dissolversi a contatto con il sale marino). “Qualche politico italiano avvisò il leader libico, che così atterrò a Malta. Nel frattempo il Dc-9 Itavia si infilò nell’aerovia denominata «zombie» (che in codice sta per «capo di stato ostile»), una sorta di corridoio tre chilometri per cinque tutto. Però finirà nel nulla tra meno di un anno, il 29 giugno del 2000. I reati militari cadono in prescrizione dopo 20 anni, un giorno e dodici ore”. E così fu con la sentenza del 2004 e il 16 marzo scorso La prima sezione civile della Corte d’appello di Palermo, ha quindi rigettato l’istanza dei legali dei familiari delle vittime che chiedevano l’immediata liquidazione anche con Buoni del Tesoro per non incidere troppo sulle casse dello Stato, rinviando al 15 aprile del 2015. Altro viene fuori qualche tempo dopo. Dettagli e protagonisti  per uno scenario da film: il fungo radio creato per nascondere i segnali audio – video non sarebbe stato del tutto funzionale. Ciampino ha rilevato plot improvvisi di aerei sconosciuto e una nave, la “Gipsi Buccanier”,  posizionata al largo della costa siciliana avrebbe perfino captato i “May Day” del DC-9. Quando cercarono di riprestare il contatto per ricevere le coordinate avrebbe risposto la portaerei “Garibaldi” fornendo la posizione errata dell’ammarraggio di almeno 40 km. Alle 02.02 del mattino, la nave avrebbe raggiunto il punto segnalato senza trovare nulla, così decide di tornare indietro per virare verso il punto dove il segnale è andato perduto, ma sarebbe arrivata sul posto giusto in tempo per vedere inabissare la cosa dell’aereo alle 05.07 del mattino. Il capitano di quella nave morì appena due anni dopo e anche su quella scomparsa aleggia il mistero.
Segreti del mondo tenuti nascosti il più possibile. L’ombra della guerra, interessi e complotti per un mistero che equivale ad una vergogna di Stato.
 

Fabio D’Alpino