Ludopatia di Stato

ludopatiaAnche quest’anno è stato organizzato l’evento, a cura dell’Ordine degli Psicologi della Regione Campania in collaborazione con l’ANCI  “La settimana del benessere psicologico”, svoltosi dal 17 al 23 novembre.
È forse questo il momento giusto per guardare più da vicino a quello che secondo i dati è un fenomeno particolarmente diffuso e in crescita sul nostro territorio: il gioco d’ azzardo.
La Regione Campania, detiene infatti un triste primato per quanto concerne la diffusione del gioco tra gli adolescenti. Secondo i dati Istat del 2013, Il 57,8 % dei giovanissimi campani gioca, il 10 % in più rispetto alla già alta percentuale nazionale.
Un milione in Italia il numero di giovani che almeno una volta hanno giocato, di cui 630mila i minorenni. Questo dato si inserisce in un più ampio quadro che rivela un Paese con la febbre del gioco, primo in classifica in Europa e sesto nel mondo secondo la classifica presentata all’ “ICE Gaming Conference” di Londra lo scorso febbraio.
In cifre, nel 2013 gli italiani hanno giocato 80 miliardi di euro e ne hanno persi 17. Questi dati con cui bisogna fare i conti sono il prodotto e la responsabilità di un certo paradigma culturale caratterizzante questa Italia cresciuta a pane e “Ti piace vincere facile”.
Ma quando il gioco è entrato dalla porta principale all’ interno dei costumi della nostra nazione e perché?
A tal proposito è interessante consultare l’ articolo “Gioco d’ azzardo patologico e criminalità” di Maurizio Fiasco della Consulta Nazionale Antiusura, dove analizza il fenomeno attraverso le regolazioni adottate dallo Stato in tema di giochi in diversi periodi.
Si rileva che tra il 1889 e il 1992 il gioco d’ azzardo era una questione attinente l’ordine pubblico: andava contenuto e per nulla promosso.  Così è ancora inquadrato nella Costituzione italiana.
È evidente che le direttive attuali sono cambiate. Infatti dal ’92 la tempesta valutaria ha condotto un mutamento di rotta nei confronti del gioco: dal 1997-‘98 il mutamento ha visto il raddoppio dei giochi sponsorizzati e della frequenza delle giocate, oltre ad una certa promozione delle lotterie.
Cominciò allora a radicarsi un nuovo pensiero: il gioco divenne attività non più semplicemente tollerata, ma addirittura promossa.
La genesi del problema è completa nel 2003, quando la riforma dell’ amministrazione autonoma dei Monopoli di Stato arriva ad invadere in maniera strategica il campo dei contenuti e dei valori della politica pubblica.
A causa di interessi economici, il paradigma cambia e con esso la gestione delle responsabilità: ora giocare è un attività congrua per lo Stato e chi ne abusa è malato: gli interventi sulla degenerazione del gioco rientrano nell’ ambito sanitario.
Si è perciò raggiunto il totale divorzio tra la promozione del gioco e la protezione dell’ individuo.
Intanto la tv, grande “educatrice”, martella con lo slogan «Gioca responsabilmente». Questo suggerimento, ad oggi, pare non sia stato percepito da ben 3 milioni italiani. un terzo dei quali ad alto rischio di ludopatia, ovvero la dipendenza dal gioco.
Per tutta quella fascia di tessuto sociale che già affetto da fragilità è educato nella cultura del “Ti piace vincere facile”, è stretto dalla morsa della crisi economica, il “gioco responsabile” è davvero un paradosso comunicativo.
Per contenere i numeri, il governo sembra si interessi nuovamente al problema: sono passati pochi mesi dall’ applicazione della legge che vieta l’ apertura di sale giochi e scommesse nelle vicinanze di scuole ospedali e luoghi sensibili.
Allora è lecito domandarsi: Quanto e quando ci vorrà per comprendere appieno il rischio insito del gioco d’ azzardo? Si tratta di  un’emergenza sociale o di malattia?
Sarebbe perciò necessario un gran lavoro di prevenzione che riguardi tutti, fin dai più piccoli, per contrastare quel paradigma culturale che tra quizzettoni in tv, gratta e vinci e poker on line, ha fatto crescere e fa crescere le nuove generazioni nel mito delle vincite da capogiro.

Irene Campese