L'operazione Zancle dei Marines duosiciliani

marina borbonicaPacificata la situazione a Napoli, nelle provincie e in Cilento, nel 1848 Ferdinando II dovette affrontare le rivolte della Calabria e della Sicilia.
A Palermo si era insediato un governo provvisorio. Il 12 giugno vennero inviati 600 volontari isolani armati e una batteria di cannoni da campagna a Reggio Calabria per rinforzare la rivolta.
Il giorno successivo, il 13, lo Stato Maggiore dell’esercito regio, col beneplacito del re fece sbarcare a Pizzo Calabro con la sua flotta 4mila soldati con artiglierie comandati dal generale Nunziante. I militari si accamparono tre giorni dopo a Monteleone.
Il generale di brigata Busacca con altri 2000 soldati partendo da Salerno sbarcò a Sapri. Il 14 e il 29 giugno marciarono su Castrovillari, nel cosentino.
Altri 2000 soldati regi a cavallo del generale Lanza il 1 luglio1848 partirono da Napoli e sbarcarono a Scalea, dando inizio alla campagna controrivoluzionaria.
I volontari calabresi in armi ripiegarono senza combattere da Cosenza, Castrovillari, Mormanno e Tiriolo, mentre si arresero Monteleone, Vibo Valenzia, Catanzaro, Crotone incondizionatamente e senza combattere, celebrando anzi il ripristino dell’autorità borbonica con Te Deum e festeggiamenti.
Un migliaio di insorti calabresi si rifugiarono sulle montagne della Sila e dell’Aspromonte, un tempo teatro delle azioni criminose dei briganti calabresi.
Le truppe regie portarono a termine la facile riconquista della Calabrie il 2 luglio occupando in festa la città di Cosenza, tra campane a festa e tripudio di gioia degli abitanti.
Già l’intero Cilento era stato pacificato dai Carabinieri Regi di linea al comando del colonnello Carlo Lahalle: altre truppe entrarono a Bari in Puglia ristabilendo facilmente l’ordine regio.
In Sicilia la situazione era diversa. A Palermo si era insediato un governo provvisorio protetto dagli onnipresenti inglesi. Un piccolo esercito di separatisti, i camiciotti, in blusa blu e coccarda tricolore con il simbolo della Trinacria, era stato armato con fucili e cannoni dagli agenti britannici, che avevano provveduto anche a far arrivare istruttori militari in abiti civili.
Inoltre da Piale, frazione di Villa San Giovanni, su due brigantini partirono 600 volontari siciliani alla volta della Calabria nascondendosi sotto bandiera inglese, ma l’11 luglio vennero intercettati e catturati da una fregata da guerra borbonica.
Il Parlamento separatista nella seduta dell’11 luglio elesse re di Sicilia il principe Ferdinando di Savoia duca di Genova, figlio secondogenito di Carlo Alberto di Sardegna, designandolo con il nome di Amedeo.
Il 2 agosto una deputazione parlamentare siciliana venne inviata a Torino per offrire la corona ai Savoia. In quei giorni però il regno di Sardegna, sconfitto dall’Austria a Custoza, firmava l’armistizio di Salasco e non accettò di impelagarsi nella rivoluzione siciliana, pur riservandosi l’attenzione esterna alle vicende.
Il 24 agosto Ferdinando II mentre era in visita d’ispezione militare a Gaeta diede così l’ordine di riconquistare la Sicilia, seppur rispettando la Costituzione e il Parlamento.
Il comandante in capo delle Forze Armate duosiciliane Carlo Filangieri ordinò al generale Nunziante di concentrare la II divisione regia a Reggio Calabria. Era composta da due brigate, una al comando del generale Lanza e l’altra del generale Busacca, forti di 6528 e 255 ufficiali.
Real marinaIn particolare la brigata di Busacca comprendeva tra altri specialisti il reggimento Fanteria della Real marina, con 6 compagnie da sbarco, 2473 tra soldati e sottoufficiali e 60 ufficiali.
La fanteria di mare borbonica trasse origine dalle compagnie costituite a Napoli sulle navi da guerra dal 1743 e con regolamento del mare del 1779. Fu ordinato in reggimento Real Marina dal 1773, con regolamento del 1773, potenziato nel 1787 sul modello inglese e americano, i gloriosi Marines.
Il reggimento impiegato nello sbarco di Messina venne riordinato interamente nel 1833 e dal 1834 ebbe regolamento proprio. Si addestrava costantemente sulle spiagge del litorale del Regno delle Due Sicilie.
Il suo battesimo di fuoco, anche se parziale, avvenne a Napoli 15 maggio durante l’assalto alle barricate di via Toledo e di Santa Brigida, dove mostrarono grande valore e precisione d’azione.
Nel porto di Reggio Calabria dal 27 agosto stazionava una squadra navale regia all’ordine del brigadiere generale di Marina, il contrammiraglio Cavalcante, con 12 paranzelle, 4 scorridoie, 8 barche cannoniere, due corvette a vapore per un totale di 246 cannoni navali. Per la fanteria da sbarco erano stati disposti 20 barconi di legno con ribalta da sbarco all’inglese.
In Sicilia era rimasta in mano borbonica regia solo la cittadella fortificata di Messina, benché assediata dalle truppe separatiste. Era governata dal generale Paolo Pronio. La cittadella era munita di cannoni e 3000 soldati.
Alle 8 del mattino dell’1 settembre 1848 le trombe borboniche a Reggio Calabria intonarono l’inno della Marcia Reale di Paisiello. Per tutto il giorno i tamburi rullarono senza sosta alternandosi a tre minuti di ferma. Le bandiere segnaletiche alle 12 passarono da giallo a verde, stato di preallarme. Lo stesso avveniva nella cittadella. Poi scattarono le sirene delle navi in rada del porto calabrese.
Alle ore 0 del 1 settembre a Napoli, Salerno, Gaeta, Reggio Calabria si erano tenuti consigli di guerra degli Stati Maggiori della Marina e dell’Esercito. Per tutta la notte sui forti sventolarono le bandiere verdi.
L’operazione in codice sui grafici del Genio Militare e dello Stato Maggiore venne riportata come Zancle, l’antico nome di Messina.
Nonostante l’incessante lavoro dei diplomatici pontifici e francesi non c’era stato nessun negoziato per evitare l’attacco imminente. Si attendeva ormai solo il colpo di cannone che desse inizio all’azione.
Messina, 70mila abitanti contro i 100mila di Catania e i 200mila di Palermo, era già in allarme dal 25agosto. Ogni casa venne fortificata, e molte famiglie si rifugiarono su navi inglesi o fuori città.
Alle ore 8 del fatidico giorno X dell’operazione Zancle dagli spalti della cittadella venne annunciato attraverso megafoni che entro le 24 ore le navi e i cannoni regi avrebbero aperto il fuoco sulla città. «Arrendetevi senza spargimento di sangue e beneficerete tutti della clemenza del nostro sovrano Ferdinando II», esortavano.
A mezzanotte e un quarto del 2 settembre, preannunciata da trombe, tamburi e sirene, la Flotta Regia di Reggio Calabria sciolse gli ormeggi e bloccò lo Stretto di Messina schierandosi in parata di battaglia davanti la città.
All’1.45 le bandiere navali e terresti verdi fecero posto a quelle rosse: segnale di attacco generale e immediato. Alle 2 i cannoni iniziarono a sparare vomitando un torrente di fuoco sulla città. Contemporaneamente la guarnigione della cittadella di Messina aprì il fuoco con 246 cannoni. L’artiglieria siciliana reagì prontamente con i suoi 112 cannoni di fabbrica inglese.
Le truppe regie del generale Pronio uscirono dalla cittadella sparando con i fucili e assaltando alla baionetta. Saltò un ordigno del campo minato: le cartucciere dei borbonici presero fuoco e i soldati diventarono torce umane. Nonostante la perdita di due compagnie, dopo un feroce corpo a corpo i soldati riuscirono a conquistare il porto franco.
Alle 3 le trombe militari ordinano la ritirata delle navi nel porto di Reggio Calabria: l’atto dimostrativo dei soldati della cittadella non era stato sufficiente.
Il clero protestò ufficialmente contro il governo perché si era bombardato indiscriminatamente non tenendo conto di chiese, ospedali e popolazione civile.
Il 4 settembre arrivarono a Messina rinforzi per la guarnigione separatista: Giuseppe La Masa con un migliaio di volontari armati e due battaglioni di soldati “regolari”, i camiciotti. Suonarono le campane a martello per la difesa generale e il coprifuoco.
Forti rovesci temporaleschi bloccarono la Flotta nel porto, ma l’artiglieria borbonica della cittadella di Messina sparava incessantemente cannonate sulla città. I siciliani aprirono un violento fuoco di controbatteria.
Il 6 settembre scattò la terza fase dell’attacco, il vero e proprio sbarco: le navi salparono dal porto di Reggio puntando su Messina. Poi fecero una diversione, portandosi davanti la spiaggia dell’attuale rione Contesse, all’estremità meridionale della periferia. Dopo un intenso fuoco di sbarramento navale e di copertura dai 20 mezzi presero terra i fanti della Real marina, la prima testa di ponte dello sbarco anfibio.
Alle 8.30, mentre dal villaggio fortificato della Contessa partiva un nutrito fuoco di fucileria da dietro i filari di cactus e i muri delle case coloniche. Mezz’ora dopo sbarcò il I battaglione di rinforzo Cacciatori d’Assalto del comandante Pianell. Subito dopo i battaglioni VI e V, un battaglione svizzero e l’intero II reggimento di Fanteria di linea.
A mezzogiorno la testa di ponte e di sbarco era stata consolidata.
Conquistato il villaggio, nel pomeriggio vennero presi anche i vicini rioni costieri di Gazzi, Santa Chiara e il trincerone di Zaera, da cui partirono le tre direttrici di marcia su Messina.
Nel frattempo i soldati di Pronio uscirono dalla cittadella e riconquistarono il porto franco, ma dopo un’ora dovettero abbandonarlo e ripiegare respinti dal forte fuoco siciliano. Rimase ferito il generale Lanza.
Il generale Nunziante sbarcò per incoraggiare i suoi soldati e cosi il comandante in capo Filangieri, che a sera ordinò di ritirare la Flotta a Reggio, ma rimase per dare sostegno morale alle truppe. Da vero soldato dormì spartanamente accanto all’affusto di un cannone.
Il 7 mattina, all’alba, iniziò l’attacco.
Tre battaglioni svizzeri sotto le cannonate siciliane, al grido di «En avante, camerades!» seguiti a passo di corsa dai fanti da sbarco e dai Cacciatori del I e II battaglione, e da altri soldati occuparono il convento di Montesanto, la batteria d’artiglieria siciliana del Noviziato, Torre Vittorio, Torre Guelfonia e l’Ospizio di Correale.
Le truppe regie aggirarono le difese principali di Messina e arrivarono davanti a Porta Zaera, dove sventolava la bandiera nera della rivoluzione. I ribelli siciliani versavano dalle mura su di loro fuoco, acqua e olio bollente.
I generali Nunziante e Filangieri incoraggiavano i soldati: «La storia vi guarda! Viv’o Rre! Attacco generale a oltranza, non vi é scelta: vincere o morire qui, l’onore e la salvezza della vostra vita sta nel vincere subito». Le truppe correvano all’impazzata nonostante i caduti e i feriti.
I soldati del Pronio uscirono dalla cittadella e occuparono il borgo di Zaera, fermandosi davanti al Convento della Maddalena per la forte resistenza nemica. I soldati del Filangieri arrivarono sotto il bastione di don Blasco e il tiro dei cannoni regi sbrecciò il convento permettendo così agli uomini di Pronio di espugnarlo dopo un violentissimo combattimento.
A questo punto intervennero l’ammiraglio francese Numaz e l’inglese Ross, presenti come osservatori nel porto di Messina, chiedendo a Filangieri di sospendere il fuoco in nome dell’umanità.
Il comandante in capo rispose con orgoglio: «Il soldato napoletano si ferma solo se in condizione di esser sconfitto o se la causa bellica non è giusta internazionalmente. Qui si sta riportando l’ordine pubblico di uno stato sovrano e indipendente. Il Regno delle Due Sicilie non s’arrende davanti ai traditori e ai separatismi faziosi di sorta. il soldato napoletano è un soldato d’onore. Si fermerà solo se vi sarà un giusto armistizio tra le parti».
Le truppe borboniche continuarono l’assalto attaccando il convento di Santa Chiara in un combattimento terribile, stanza per stanza. Quindi le truppe avanzarono per la strada consolare di Messina occupando il Forte Gonzaga e bruciando le case da dove sparavano i cecchini.
8 ore di combattimento: Messina era in fiamme.
Le truppe occuparono l’Ospizio degli Storpi e l’Ospedale civile. Gli ufficiali dovettero calmare i soldati che volevano vendicarsi.
L’ultima battaglia si svolse davanti Al Duomo: i regi stavano per conquistare la batteria d’artiglieria di San Giuseppe quando una donna, Rosa Donato, diede fuoco alle polveri, facendo saltare in aria molti borbonici. Inseguita, venne ferita da 12 colpi di fucile e di rivoltella. Venne poi finita dai regi inferociti con 7 colpi di baionetta e 4 di calcio di fucile.
Alle ore 17 il generale Filangieri telegrafò da Messina a Napoli: «Messina riconquistata ritorna sotto il giogo del suo legittimo sovrano».
A capo della Polizia messinese venne posto Salvatore Maniscalco, veterano della Gendarmeria Reale borbonica.
Carlo Filangieri come preda di guerra inviò a Napoli 21bandiere, 12 mortai e 64 cannoni.
Il 9 settembre venne riconquistata anche Milazzo.
Il governo provvisorio di Palermo l’11 settembre chiese e ottenne una tregua per seppellire i morti.
La campagna di riconquista della Sicilia si concluse il maggio dell’anno successivo con lo sbarco di Palermo.
Ma questa è un’altra storia …

Michele Di Iorio