Lo strano caso delle spoglie di Leopardi

LeopardiGiacomo Leopardi nacque il 29 giugno 1798 alle ore 19 a Recanati, nelle Marche pontificie, nel palazzo avito, primogenito del conte Monaldo e di Adelaide dei marchesi Antici di Roma.
Figlio del governatore, erudito, il giovane Giacomo fu educato in casa da precettori privati, studio nella sala della biblioteca ricca di 16mila volumi, messi insieme con i sequestri di antichi libri di ex conventi marchigiani durante la parentesi napoleonica.
biblioteca Leopardi
Studiò letteratura, filosofia, filologia, poesia, storia; scrisse le sue prime poesie a undici anni, e nel 1815 già a pubblicò le sue prime opere.
Giacomo Leopardi mostrò fin dal 1817 interesse per la teoria della reincarnazione, come si legge nella pagina del 10 novembre del suo diario: vi annotò che credeva di esser stato in una vita precedente il poeta e giureconsulto Pandolfo Collemuccio di Pesaro, vissuto nel 1400.
Nel novembre del 1822 si trasferì a Roma a palazzo Antici dello zio materno Carlo, vicino Trastevere, nel quartiere Monti, dove credette di vedere il fantasma di una modella di un pittore romano vissuta un secolo prima.
Insegnò letteratura latina alla Biblioteca Vaticana e contemporaneamente si dilettò con visite culturali, recandosi anche alla tomba di Torquato Tasso.
A Milano nel 1825 curò la pubblicazione di un importante collana di classici dell’editore Stella; si recò in visita a Bologna, Ravenna e poi, il 20 giugno 1827 a Firenze.
Ospite dell’editore Viessux, Leopardi conobbe il conte Antonio Ranieri di Napoli, patrizio di Torre del Greco, anarcoide e libertino; lo rivide tre anni dopo, sempre a Firenze.
Giacomo era un assertore dell’unità d’Italia unita; ebbe perciò la nomina di deputato di Recanati all’assemblea nazionale di Bologna del 20 marzo del 1831, carica che peraltro non esercitò mai a causa dell’intervento militare austriaco contro il governo provvisorio delle provincie italiane federate.
In compagnia del conte Ranieri, di cui era diventato amico, il 5 ottobre 1833 si stabilì a Napoli, sperando che il clima mite potesse giovare alla sua salute malferma; fu dapprima ospitato a Capodimonte, da dove godeva la vista del golfo.
Qui scrisse molte delle sue famose opere poetiche, ammaliato dallo spettacolo della lava del Vesuvio; visitò le Catacombe di San Gennaro, gli scavi di Ercolano, di Baia, di Miseno, di Pozzuoli e di Pompei, la Villa Reale.
Spesso dormiva di giorno e scriveva di notte, rimpinzandosi di sorbetti, gelati, pizze, fritture di pesce, lasagne, sfogliatelle e tanti dolci …
Leopardi frequento liberali e intellettuali al caffè letterario di Palazzo Buono di via Toledo e al caffè Europa, facendo spesso tappa nelle pasticcerie antiche e famose napoletane come Pintauro.
Appassionato di musica, in compagnia di Ranieri si recava sovente al teatro Mercadante per l’opera buffa e al San Carlo per quella classica.
Leopardi era però infastidito dal vocio e dalla scostumatezza dei lazzaroni dei vicoli, dal chiasso dei venditori ambulanti, proteggeva gli occhi stanchi dalla luce dei candelabri.
Nella primavera del 1834 fece la conoscenza dello scrittore tedesco Augusto von Platen e scambiando i loro saperi discorsero di Cagliostro, di massoneria egizia, di evocazioni spiritiche, di Nostradamus, di reincarnazione, di kabbala, del principe Raimondo de Sangro, per poi andare a visitare insieme la cappella Sansevero con l’immancabile Ranieri.
Nel 1836 Giacomo Leopardi visitò la scuola del celebre purista napoletano Basilio Puoti tra gli applausi dei giovani studenti, tra cui vi era un giovane Francesco de Sanctis; insieme a quest’ultimo si recò a Portici, dove frequentò alcune famose dimore vesuviane, tra cui l’attuale Villa Zelo, a quel tempo proprietà del conte Ranieri.
ginestreNell’estate del 1836 seguendo i consigli dei medici trascorse la villeggiatura a Torre del Greco, in contrada La Lava rinominata poi Leopardi, in casa di un parente di Antonio Ranieri, Giuseppe Ferrigni, per curare la sua salute sempre più malferma.
La villa in stile neoclassico dove dimorò era quella che fu poi chiamata delle Ginestre in omaggio al grande poeta; fu lì che Giacomo compose i Canti e le Operette morali, i versi sublimi di Il tramonto della luna, qui compose la sua famosissima Le ginestre.
In seguito raccolse in 6 volumi tutti i suoi scritti, a cura dell’editore napoletano Starita. La censura della polizia borbonica, diretta dal marchese Saverio del Carretto, ritenne però sia i Canti che le Operette morali non pubblicabili.
Rientrato a Napoli nell’inverno del 1837, il 27 maggio scrisse al padre Monaldo del suo desiderio di recarsi a Parigi con il Ranieri, ma non fu possibili per l’aggravamento delle sue condizioni di salute.
Nel pomeriggio del 14 giugno 1837 peggiorò: perse prima la vista, poi finì in coma assistito dall’amico Ranieri, mentre era alla porta la carrozza che doveva ricondurlo a Villa Ferrigno di Torre del Greco.
In serata lasciò questa terra. Si era nel pieno della terribile epidemia di colera che colpì Napoli: per ordine del marchese del Carretto il suo corpo fu seppellito nel cimitero dei colerosi a Poggioreale.
Antonioranieri1Il conte Ranieri protestò fortemente per questa frettolosa classificazione del decesso di Leopardi e il 15 giugno fu concesso di tumulare i resti mortali del poeta a Fuorigrotta, in una tomba ipogea della Chiesa di San Vitale.
Cominciò così il giallo del cadavere e della presunta tomba di Giacomo Leopardi: nella ricognizione ufficiale del 1900 la bara risultò vuota.
Fu poi nel 1908 che, in un discorso all’Accademia Pontoniana, padre Gioacchino Taglialatela disse pubblicamente che Antonio Ranieri aveva lasciato nel cimitero dei colerosi il corpo di Giacomo, inventandosi la farsa della sepoltura in San Vitale.
Durante il governo fascista, nel 1938 con un solenne funerale pubblico si traslarono i “resti ufficiali” di Leopardi da San Vitale alla tomba del poeta romano Virgilio.
Il 7 luglio 1942 nuova traslazione “ufficiale”: la bara partì in treno da Napoli per Recanati. All’arrivo nella cittadina marchigiana, il segretario del Centro Studi Leopardiani fece aprire la cassa trovandola piena di terreno e pietre al posto delle ossa del poeta.
Giacomo Leopardi, che in vita rise dei racconti su spiriti, fantasmi e munacielli napoletani, in realtà fu inumato sotto la calce viva, proprio nel cimitero comunale per colerosi.
Forse continuò a ridere, sentendo le bugie di Antonio Ranieri, il suo “amico”.

Michele Di Iorio