"Lo Hobbit – La battaglia delle cinque armate", la recensione

Lo Hobbit - La battaglia delle cinque armateNAPOLI – È  finalmente giunto al capitolo finale il viaggio iniziato dal regista Peter Jackson due anni fa per raccontare quello che inizialmente era stato pensato come un racconto per ragazzi, ma che con questo adattamento è diventato una brutta copia di “Il Signore degli Anelli” in cui ci sono delle continue citazioni e rimandi alla predente trilogia. Coloro che hanno letto il romanzo di J. R. R. Tolkien sanno bene quanto siano stati stravolti l’andamento della storia e il suo spirito leggero e con poche punte di drammaticità. Con “Lo Hobbit – la battaglia delle cinque armate”, Jackson ha voluto creare un prodotto con più pathos ed enfasi che ricalcasse il buonissimo lavoro fatto con la precedente trilogia della Terra di Mezzo, ma che alla fine ha fallito anche con questo capitolo.
Parlando della storia, il film si apre così come era terminato il capitolo precedente: il drago Smaug si prepara ad attaccare la città di Pontelagolungo, mentre i suoi cittadini iniziano a scappare. Durante questo attacco l’andamento della storia ha un ottimo ritmo che si interrompe in seguito alla morte del drago per mano dell’arciere Bard, interpretato da Luke Evans.
Arrivati a questo punto, i cittadini di Pontelagolungo si aspettano che Thorin mantenga la promessa fatta loro: ovvero consegnargli una parte dell’immenso custodito nella Montagna Solitaria. Il capo dei nani però rimane stregato dalle ricchezze della montagna e decide di rimangiarsi la parola. A questo punto entrano in scena anche Thranduil, il re degli elfi silvani, e l’esercito dell’orco Azog che desiderano ottenere il tesoro e la montagna per la sua importante posizione strategica con l’uso della forza. Da questo momento in poi il ritmo del film cala drasticamente e si assiste alle riflessioni e i dubbi dei vari personaggi sulla situazione che stanno vivendo. A tal proposito, merita una menzione la straordinaria interpretazione di Richard Armitage nei panni di Thorin Scudodiquercia in questo capitolo. Egli mostra i tormenti e le paranoie del capo dei nani in maniera eccezionale e in questo modo il suo personaggio sembra davvero molto realistico. Mentre fervono i preparativi per la battaglia, l’attenzione si sposta a Dol Guldur. Qui giungono Galadriel, Elrond e Saruman per liberare Gandalf dalle grinfie del Negromante/Sauron. In questo luogo le scene di combattimento sono cariche di tensione, molto serrate ed abbastanza belle sul piano visivo. Alla fine però il regista ci lascia con l’amaro in bocca, poiché questa lotta molto attesa termina abbastanza presto. Personalmente attendevo con ansia questa scena di combattimento, poiché è una di quelle parti che nel libro non viene spiegata. Dopo essere stato liberato, Gandalf recupera subito le forze e si precipita immediatamente alla Montagna Solitaria. Nel frattempo Bilbo, interpretato da un sempre più convincente Martin Freeman, si preoccupa per il cambiamento che è avvenuto nel cuore del suo amico Thorin e vorrebbe evitare lo scoppio di questa battaglia. A quel punto compie un gesto che però gli farà perdere la fiducia di Thorin e che non fermerà l’ormai inevitabile scontro.
La battaglia occupa una bella porzione della storia e, al di là della buona CGI che però non raggiunge i livelli della precedente trilogia, gli scontri non trasmettono molta emozione e talvolta si ha l’impressione che sarebbe stato meglio eliminare qualcosa. Durante questa battaglia ci sono anche delle morti importanti che dovrebbero scuotere l’animo dello spettatore, ma che non sempre hanno trasmesso molto (a parte l’ultima).  La loro dipartita  è sembrata troppo semplice e non abbastanza drammatica in rapporto alla loro importanza nella storia.
Molti fan si sono lamentati per il troppo spazio concesso al personaggio di Alfrid, interpretato da Ryan Gage, che spesso spezza i presunti momenti drammatici con i suoi tempi comici. Con questo personaggio Jackson vuole quindi far capire che chi si comporta da codardo e pensa soltanto a racimolare denaro, alla fine, è soltanto una persona ridicola e miserabile.
Il triangolo amoroso tra Tauriel, Kili e Legolas che ha fatto storcere molto il naso ai fan più puristi del libro, alla fine, si conclude in maniera abbastanza decente. Tuttavia, rimane avvolto nel mistero il destino dell’elfo femmina Tauriel, interpretata da Evangeline Lilly, che si spera possa trovare una spiegazione nell’edizione estesa del film. A tal proposito, questo terzo capitolo è indubbiamente il film che risente maggiormente dei tagli di scene operate da Jackson per raggiungere i 144 minuti di visione. Oltre al fatto che in questo modo si ha l’impressione che in certi momenti la storia scorra in maniera meno fluida, all’appello mancano anche delle scene che i fan del libro attendevano molto. A questo punto non resta che attendere l’uscita dell’edizione estesa in home video di questo lungometraggio per poter vedere le scene tagliate. Tornando al personaggio di Tauriel, che è stato inventato di sana pianta da Jackson e che ha stravolto l’idea di Tolkien di non mostrare troppi sentimenti amorosi nei suoi romanzi, la sua creazione non era per niente necessaria.
Fra i momenti più belli,  il discorso finale tra Bilbo e Thorin. In questo breve scambio di parole, abbastanza fedele con il romanzo, si recupera un po’ dell’atmosfera e dello spirito del romanzo cui questa storia si ispira.
In conclusione, quest’ultimo capitolo è il meno riuscito di questa forzata trilogia che ha però il merito di chiudere in maniera abbastanza decente il secondo viaggio compiuto dal regista Peter Jackson nella Terra di Mezzo.
Voto: 7+

 Sabato Gianmarco De Cicco