Le alghe per uno stile di vita alternativo

Le alghe sono organismi autotrofi, abitanti dell’acqua, che già esistevano, nelle loro forme più semplici, 1,5 miliardi di anni fa.  Se ne contano molte specie, tanto che ancora oggi è difficile classificarle.
La classificazione più diffusa si basa sul colore determinato dal pigmento fotosintetico in esse contenuto, come clorofilla, carotenoidi, ficobiline, che le rende verdi, azzurre, rosse, brune o gialle. Da queste piante primitive, diffuse in tutti i continenti, si estraggono sostanze gelatinose che vengono, poi, usate nell’industria cosmetica ed alimentare. Le alghe forniscono uno straordinario apporto di sostanze minerali, sotto forma di macronutrienti (sodio, calcio, magnesio, potassio, zolfo, fosforo e cloro) e di micronutrienti (iodio, ferro, zinco, rame, selenio, molibdeno, manganese, nickel e cobalto).
E’ proprio grazie a questa loro “generosità” che possiamo stilare una lista lunghissima di utilizzi, fra i quali, in ambito specificamente medico, la capacità di chelare (catturare) metalli come il piombo ed elementi radioattivi, favorendone l’eliminazione dal corpo; l’ azione anticoagulante ed emostatica paragonabile a quella dell’eparina; la capacità di diminuire la concentrazione ematica di lipidi e colesterolo; l’efficacia nell’ipotiroidismo causato da deficit di iodio… e molto altro ancora. Recentemente, ad esempio, nell’Istituto di Endocrinologia ed Oncologia del CNR di Napoli, si studia una tossina delle diatomee, alghe unicellulari, per bloccare la proliferazione delle cellule tumorali e per contrastare le malattie neurodegenerative.
Quello, però, che forse non tutti sanno è che le alghe sono studiate come alternativa al petrolio. Molti gruppi di ricerca, da oltre un decennio, studiano  un combustibile alternativo all’olio nero, che provenga da fonti rinnovabili e che sia “carbon free”, cioè che riduca le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera per contrastare l’effetto serra, il tutto ad un prezzo competitivo. Buona parte di questi studi indirizzati ai biocombustibili prevedono l’utilizzo di piante comuni,  come la  soia, la colza e il mais (foto), ma  i costi di produzione non sono bassissimi, necessitano di molto spazio, competono con la produzione di alimenti concorrendo a far aumentare il prezzo delle derrate agricole e non è scontato che siano del tutto “carbon free”. In definitiva, questi biocarburanti hanno dei limiti economici ed ecologici: è proprio in questo contesto che sono state prese in considerazione le alghe come materiale base di terza generazione per la produzione di biocarburanti.
Le motivazioni chiave che fanno preferire questi organismi ai raccolti di seconda generazione, sono nella loro produttività, che in termini di energia è potenzialmente 30 volte più alta di quella delle piante terrestri, inoltre,  possono essere coltivate  in laghi naturali o in mare, senza occupare aree destinate all’agricoltura.
Nel loro processo di crescita le alghe utilizzano energia solare per  trasformare anidride carbonica, l’idrogeno, ricavato dall’acqua, e l’azoto, ricavato dai nutrienti, in carboidrati, lipidi (oli) e proteine. Se poi, nel coltivarle, si eliminano i nutrienti dal loro ambiente di crescita, le alghe aumentano la produzione di lipidi, che sono alla base dell’ottenimento di biocarburanti.
In questo modo,  le installazioni produttive delle alghe possono essere alimentate dai gas di scarico, aumentandone significativamente il rendimento e, contemporaneamente,  disinquinando l’aria; dopo di che, si estraggono gli oli da processare per l’ottenimento di biocombustibili e quel che resta può ancora essere convertito in alimenti per il bestiame e per la produzione di etanolo.
Questa tecnologia offrirebbe una soluzione sicura e sostenibile ai problemi connessi con il riscaldamento globale, ma al momento, nonostante la ricerca sulle alghe sia in una fase avanzata, l’energia che se ne ricava è ancora venti volte più cara del petrolio.
In conclusione, come ricavare energia è ormai chiaro, il problema è come rendere il processo più economico e quindi competitivo, ma che la ricerca sia promettente e che andrà avanti, lo dimostra il fatto che la Exxon Mobil, una delle grandi multinazionali che controllano il settore dell’energia fossile, ha investito 300 milioni di dollari in “Progetto alghe”.

Anna Borriello