L'artista che dipinge l'anima

 

In questi giorni sono stato ospite, con la mia famiglia, di amici che vivono in Puglia, a San Vito dei Normanni, vicino Ostuni.
Arriviamo a casa loro, dopo aver attraversato un paese silenzioso, con tutte le case che si somigliano, tutte basse, uno o due piani.
Entriamo in casa, dopo aver salito una ripida scalinata. Ospitali, ci fanno vedere la loro nuova casa. L’ingresso, la camera da letto, il soggiorno, la cucina, il terrazzo. Poi mi mostrano dei quadri.
L’autore è un artista locale, Massimo Fedele, mi dicono. Sono tre tele, rappresentano una figura femminile, silenziosa, che avanza con la testa leggermente chinata, e le braccia lungo il corpo. Un segno, al centro della tela, una esistenza, uno squarcio di vita in movimento. È una figura silenziosa, un taglio, una feritoia verso orizzonti che non mi erano ancora chiari, ma intuivo che dovevano esserci.
Nell’ingresso una pittura scultura, realizzata con materie plastiche bruciate. Piani sovrapposti, feritoie, diversi liveli di approfondimento dello sguardo, un totem chiuso in una dimensione precisa, in un intervello spaziale che racchiudeva in sé l’abbozzo di tantissime altre dimensioni. Ad una prima e veloce osservazione mi ricordava le opere della poetica spazialista, quelle di Fontana, Burri e anche di Salvatore Emblema. La ricerca di senso spaziale nelle pieghe della materia, fu la mia prima impressione, veloce.Non ne parlo con i miei amici, i quali mi dicono di aver parlato di me all’artista e che voleva conoscermi.
Era sera, il giorno dopo organizzano un pic nic al trullo, in campagna, tra gli ulivi. C’è anche lui, l’artista, l’autore di quelle tele.
Il verde degli ulivi, l’ocra chiaro della terra, il bianco del trullo, gli odori, il silenzio della campagna, il cielo azzurro, limpido, cristallino, le risate e gli schiamazzi dei bambini, liberi di correre e a giocare raccogliendo le olive mature.
Lui, l’artista, silenzioso: ho l’impressione di essere con una di quelle rare persone che sanno ancora ascoltare. La sera mi ritrovo nel suo studio.
È impressionante la scena che si presenta davanti ai miei occhi appena entriamo.
Quella figura, che avevo visto a casa degli amici, era ripetuta centinaia di volte, sembrava quasi all’infinito; era  vista da ogni punto, e realizzata su tele, tavole, supporti vari rettangolari, allungati, piccoli grandi, sempre quella figura, si ripeteva,  era quasi ossessiva.
Tra le tante, mi colpisce  una: con un figurativo chiaro e deciso, con la stessa posa di quella figura eterea, rappresenta un suo autoritratto. Gli chiedo quando lo ha realizzato, mi dice circa dieci anni prima. Poi lo ha lasciato stare e ha fatto altre cose. Me le fa vedere in fotografia, mi mette davanti una decina di piccoli album.
Ripercorro la sua storia, la sua arte, la sua vita, fin dai tempi delle realizzazioni commerciali dove riproduce quadri di autori del seicento e del settecento con una grandissima abilità tecnica ed un sapiente uso del colore per chiese locali; e poi i ritratti, la gente di San Vito dei Normanni, i volti tipici, come in un reportage racconta la storia di quel paese nelle espressioni e nei gesti di quella gente.
Mentre guardo quelle fotografie, sono colpito da un’opera sul cavalletto. Non è con quella serie, ma è quello stesso segno, sembra essere una feritoia, verso chissà dove. Gli chiedo se quella è l’ultima della serie. Lui  accenna un sorriso, poi conferma.
L’ultima realizzata di quella serie, e quel suo autoritratto di 10 anni prima, mi danno una chiave di lettura di quel lavoro, di quel segno.
L’artista con quell’autoritratto ha segnato un punto, si è fermato per poi procedere in una direzione opposta a quella in cui si stava dirigendo. Lui ha sempre operato per addizione di materia.
Dopo tanti anni ha ripreso quel segno, e lo ha incominciato a scarnire, a svuotare, ad alleggerirlo, fino a scavare con il fuoco dentro la materia per alleggerirla, per rendere inconsistente l’involucro formale e liberare la forma leggera, evanescente , che mette in relazione il suo intimo spazio con l’universo, l’anima. Quiel segno ripetuto ossessivamente è la sua anima.
Sono felice di aver conosciuto a San Vito dei Normanni Massimo Fedele.
Un artista che vuole dipingere la sua anima.

Mario Scippa

(Opera di Massimo Fedele, combustione e smalto su tavola; cm 60 x cm 80; 2013)