L'antica tradizione marinara campana

marineriaLa tradizione marinara della Campania è scritta a caratteri indelebili sulle pagine di storia: affonda le sue radici in epoca romana, con la base navale di Miseno, le cui navi romane erano condotte da capitani e marinai campani.
Da allora lo spirito di navigazione dei napoletani è stato sempre leggendario, frutto di una vocazione perpetuata dalle gloriose avventure sul mare del naviglio; nei secoli la tradizione continuò con la storica Repubblica Marinara di Amalfi e la mitica invenzione della bussola attribuita a Flavio Gioia.
Fu in epoca borbonica la marineria ebbe grande impulso: nel 1745 Carlo III di Borbone fondò il Supremo Magistrato di Commercio e nel 1751 una Deputazione di società che vigilava sui contagi e sulla salute pubblica sulle navi civili e militari del Regno.
Nel 1755 istituì il collegio militare navale dell’ l’Accademia dei Guarda Stendardi che ebbe sede prima a Santo Spirito e poi alla Darsena.
La visione lungimirante borbonica volle favorire fortemente anche il commercio marittimo: nel 1766 vennero aboliti i privilegi delle bandiere navali per un import-export più favorevole al Regno.
Nel 1782 Carlo III incaricò l’avvocato Michele de Iorio di redarre il Codice della Navigazione e Diritto Internazionale; nel 1790 fu creata la Compagnia Navale del corallo di Torre del Greco e il suo statuto.
La costruzione dei navigli, già fiorente in molte zone del territorio, venne agevolata al massimo. Le navi mercantili dette polacche, con equipaggi di 15 marinai, erano costruite nella penisola sorrentina dagli armatori Cafiero alla spiaggia di Alimuri e a Marina di Cassano a Piano di Sorrento, a Procida sugli arenili della Silurenza, della Lingua, della Chiaiolella; solo dal 1782 vennero costruite a Castellamare di Stabia nel Regio Arsenale, l’avveniristico cantiere navale voluto da Ferdinando IV, il più antico inteso in senso moderno.
Sono tante le storie e i primati raggiunti dalla marineria borbonica. Nel 1759 una polacca procidana, comandata da Michele Di Costanzo con un carico di merci, alimenti, vini e acquavite di don Lucio La Marra della casa commerciale napoletana, aveva attraversato l’Atlantico fino alle Antille, ancorandosi nell’isola di Martinica, a Port Royal.
Nel 1767 la polacca procidana di Paolo Mancino con 3000 botti di vino approdò nel  Mar Nero; tra 1780 e 1793 ben 6 bastimenti sorrentini della casa commerciale Liberati e Di Martino raggiunsero Francia, Portogallo, Paesi Bassi, Inghilterra, Danimarca, Madera, Isole Canarie, Capo Verde e infine le Antille.
il 13aprile del 1797 una nave sorrentina portò la propria mercanzia in America del Nord; nel 1823 Nicola Parascandolo e Domenico Perrillo di Procida con propria nave arrivarono a Pernambuco, uno stato del Brasile.
Nel 1827 il brigantino Sirio della flotta mercantile napoletana con capitano Gaetano Paturzo di Piano di Sorrento viaggiò oltre due mesi raggiungendo la città di Boston nel continente nordmericano; nel 1828 il brigantino Sofia di Sorrento approdò per primo tra le unità navali mercantili a New York.
Nel 1833 Gaetano Di Martino di Piano di Sorrento impiegò 122 giorni per rientrare a Napoli da Rio de Janeiro.
L’anno successivo il capitano Nicola Lauro di Piano di Sorrento, avo del comandante Achille, andò e rientrò a Napoli dal Brasile in soli tre mesi.
Nel 1835 i brigantini San Francesco di Francesco Cafiero di Sorrento, l’Unione di Giovan Battista Lauro, figlio di Nicola, arrivarono in Danimarca per caricarvi stoccafisso, e due anni dopo allungarono Fino a New York.
Il primato più importante raggiunto dalla marineria borbonica fu certamente la traversata atlantica che la vide prima su tutti gli altri mercantili. Fu il brigantino Villa di Napoli di 298 tonnellate al comando di Francesco Di Martino di Piano di Sorrento ad avere la meglio sui bastimenti francesi, inglesi, olandesi, portoghesi, e sui clippers nordamericani: attraversò l’Atlantico da New York a Napoli arrivando il 18 giugno 1837, in soli 44 giorni.
Altrettanto grandi furono le avventure che videro coinvolta la marineria borbonica: il brigantino Onesto costruito a Castellammare di Stabia nel 1837, al comando del capitano Antonio Gambardella di Conca dei Marini, in costiera amalfitana, venne noleggiato dal governo russo per 3052 rubli al mese per trasportare truppe e munizioni a Kertsh. L’11 giugno 1838 s’incagliò sulla costa orientale del Mar Nero nei pressi del forte Toapse e venne assalito, saccheggiato e incendiato dai circassi ribelli allo Zar. L’equipaggio fu salvato dai cosacchi imperiali di Nicola I che concesse ai marinai un indennizzo di 4950 rubli d’oro.
Il veliero a tre alberi Clementina di 381 tonnellate, costruito nel Real Arsenale stabiese, al comando del capitano Francesco Cafiero di Sorrento partì nel 1842 per Penang nelle Indie Occidentali dove fu assalito da pirati malesi, che saccheggiarono la nave e uccisero lo scrivano e il capitano; gli altri marinai furono salvati dalla flotta inglese di Lord Brooke.
Pure a lieto fine fu il viaggio di un altro tre alberi, il bark Michele Galatola di 653 tonnellate, costruito a Procida nel 1858, al comando del capitano Nicola Mancini, che doppiò il Capo di Buona Speranza durante una tremenda tempesta raggiungendo le Indie Orientali e rientrando il 12 gennaio 1859 a Port Louis nelle isole Mauritius a nord del Madagascar. Fece tranquillamente ritorno a Napoli il 29 giugno del 1859.
Il brigantino Sofia Sorrentino di 317 tonnellate, costruito a Castellamare di Stabia nel 1858, comandato da Andrea Maresca di Napoli, partì dalla capitale borbonica per Rotterdam e poi per Capo Nord nel 1859, superando il circolo Polare Artico; approdò ad Arcangelo sul Mar Bianco dopo 7 mesi di viaggio.
Al ritorno venne colpito da un uragano e si sfracellò sulle scogliere di  Capo Gorodetzki; su 30 uomini di equipaggio, solo 8 marinai e il comandante riuscirono a salvarsi su una lancia di salvataggio sbarcando il 9 agosto 1859 in territorio russo vicino al faro di Orloff. Furono rimpatriati con una nave russa l’8 marzo.
Si potrebbero ancora narrare tante storie di primati e d’avventure della gloriosa flotta militare e mercantile, ma va sottolineata un’altra eccellenza: tutte le imbarcazioni napoletane venivano garantite dalla Compagnia Reale di Assicurazioni Due Sicilie, fondata nel 1839. Da notare che era l’unica compagnia assicurativa di bandiera: delle altre due grandi flotte europee, quella inglese era garantita dalla compagnia privata dei Llyod’s di Londra, e quella austriaca dalle Generali di Venezia e dalla RAS (Riunione Adriatica di Sicurtà).
All’atto dell’annessione, la flotta del Regno delle Due Sicilie aveva 120 navi da guerra  e 617 bastimenti di altura mercantile, ripartiti in 22 barks per un totale di 10.413 tonnellate, 350 brigantini per un totale di 36.105 tonnellate, 124 brig-schooner – brigantino goletta – di 19.468 tonn e 9 golette di 864 tonn.
Una flotta che tra navi da guerra e mercantili superava nettamente in numero ed efficienza quella piemontese, dunque.

Il vascello Monarca
Il vascello Monarca

Le tante imbarcazioni – tra quelle che non furono distrutte o messe in disarmo . vennero requisite e ribattezzate, come il Monarca, progettato dall’ingegnere navale Sabatelli che divenne Re Galantuomo.
Va inoltre sottolineato che la nave scuola della Marina Militare Italiana Amerigo Vespucci, varata – ironia della sorte – il 22 febbraio 1931 proprio a Castellammare come già lo fu il Monarca, ricalca fedelmente il progetto di Sabatelli, sebbene la paternità dei disegni venga interamente attribuita al tenente colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi.
La nave scuola della Marina Militare Italiana Amerigo Vespucci
La nave scuola della Marina Militare Italiana Amerigo Vespucci

Il motto della Vespucci è: «Non chi comincia ma chi persevera».
A memoria d’uomo, mai una tradizione tanto antica come quella campana, parte essenziale di un’economia volutamente messa in ginocchio, è stata mortificata e praticamente negata.

Michele Di Iorio