La voce del sangue

Luca Nocerino scultore
NAPOLI – Al Cinema Astra di via Mezzocannone giovedì 21 novembre la proiezione dell’anteprima del cortometraggio del regista Francesco Afro De Falco La voce del sangue ha riscosso un notevole successo.
Il film, ispirato a Raimondo de Sangro di Sansevero (1710-1771), letterato, scienziato, maestro di massoneria, rosacruciano, narra l’episodio nel quale il principe diede incarico a Giuseppe Sammartino di realizzare su bozzetto dello scomparso Antonio Corradini la statua del Cristo velato.
La vicenda è una delle tante della vita di Raimondo, ed è stata tratta da una raccolta di centinaia di volumi di epoche diverse di scrittori antichi e moderni desangriani, tra cui io stesso, storico, conferenziere, rosacruciano e teosofo. Dal 1971 in particolare mi occupo del principe di Sansevero e dal 1978 in poi dell’avvocato ed ermetista Giustiniano Lebano (1832-1910) entrambi gran maestri dell’Ordine Osirideo Egizio o massoneria napolitana del sistema Egizio sviluppatosi in due secoli diversi dal latomismo partenopeo.
Il regista De Falco, nato a Portici nel 1983, dal 2004 è aiuto regista cinematografico e regista dal 2008. Appassionato e osservante dei principi della scuola rosicruciana e del filone giordanista, insieme al suo scenografo Salvatore Forte, studioso di Giordano Bruno, sin dal 2010, dopo vari lavori cinematografici di diverso genere, ha iniziato la ricerca basata su studi rosicruciani, valorizzando la Schola napoletana.
Vide così la luce nel febbraio del 2012 il docufilm Giordano Bruno e i Rosacroce e il film il 15 novembre Vitriol, in cui si esaltano i valori simbolici partenopei della Schola cara a Giovan Battista Della Porta, a Tommaso Campanella , a Cagliostro, a Tschudy, a Luigi d’Aquino, a Raimondo de Sangro stesso, arrivando fino a Pasquale de Servis, Kremmerz e Giustiniano Lebano: un arco di storia letteraria ed ermetica napolitana che spazia dal 67 d. c al 1930.
Il film Vitriol ebbe un lusinghiero successo anche grazie all’interpretazione degli attori protagonisti Roberta Astuti e Yuri Napoli, attori di Portici.
Lo sceneggiatore di Vitriol, Giovanni Mazzitelli, altro giovane porticese, ne trasse un libro, Il diario segreto di Vitriol, l’interessante resoconto dei giorni trascorsi sul set.
Ora, con l’attrice Lucia Rocco, ecco La voce del sangue, in anteprima Cinema Astra, vicinissimo ai luoghi di Raimondo de Sangro, con cui il regista De Falco ha preso parte al Festival Le 4 giornate del cinema di Napoli.
Evidentemente i numi di Giordano Bruno, del de Sangro e di Lebano stanno a guardare  contenti mentre questi giovani appassionati continuano a far crescere i semi del loro pensiero, in tutti i campi.
Non è infatti meno importante e ineressante l’opera dello scultore Luca Nocerino che per il film Vitriol fece riprendere vita alla mirabile opera del Sammartino, il Cristo velato, opera che compare ancora nel docufilm La voce del sangue.
L’ho incontrato per Lo Speaker, incuriosito dalla “ricreazione” della statua marmorea che si trova nella navata centrale di Cappella Sansevero.
Qual è stata la tecnica usata per ricreare questo capolavoro?
Ovviamente mi sono avvalso di una tecnica differente da quella usata dal Sammartino. L’opera originale è un lavoro in marmo, e quindi è stata usata una tecnica per sottrazione, quella che si usa quando si parte da un blocco di pietra e si tira fuori l’opera.
Per questa tecnica tradizionale non esistono ripensamenti; filosoficamente, come sentiva Michelangelo, si pensa che l’opera già esista all’interno del blocco della pietra ed è il genio dell’artista che la tira fuori.
In La voce del sangue si sottolinea il fatto che il Cristo Velato sia stato eseguito dal Sammartino su un bozzetto che il Corradini aveva creato davanti a quel blocco di marmo, e che perciò avesse ingravidato la pietra con la sua ispirazione.
Perciò, il Sammartino aveva delle remore a lavorare il blocco perché pensava che ci fosse l’idea del Corradini all’interno: da qui nasceva la contrapposizione col committente Raimondo de Sangro.
Quale tecnica hai invece usato per riprodurre il tuo Cristo velato?
La mia è stata una tecnica legata alle discipline plastiche: e per realizzare la copia ho utilizzato l’argilla, un materiale plasmabile.
La realizzazione è stata lunga e ha previsto ben 6 diversi step. Oltre alle numerose visite in Cappella Sansevero, il primo step è stato quello di raccogliere più immagini possibili della statua per capire le giuste angolazioni e quant’altro fosse necessario a rilevare le misure affettive del Cristo Velato, visto che per motivi di sicurezza non si può effettuarle direttamente.
Assicuratomi delle dimensioni reali – circa 1,80 m di lunghezza x circa 80 di larghezza – sono passato al secondo step, con l’uso della scala metrica sono riuscito a ricavare le altre sottomisure realizzando una griglia quanto più fedele all’originale per ottenere tutte le informazioni utili.
Nel terzo step ho cominciato a realizzare la parte strutturale di sostegno, detta armatura, ovvero la struttura portante di dimensioni contenute rispetto all’opera originale. Per farlo ho usato delle assicelle di legno dette cantinelle, creando una sagoma approssimativa della scultura: la massa del materasso, dei cuscini e del torace; poi l’ho imbottita con polistirolo e altri solidi volumi per dare sostanza all’armatura. In ultimo ho posto una rete che tenesse insieme il tutto.
Il quarto step è stato la modellatura con l’argilla; l’ho disposta a piccole quantità sull’armatura, stendendola e comprimendola il più possibile per far uscire le bolle d’aria, e poi ho cominciato a modellarla tenendo conto della morfologia e della struttura dell’opera originale da riprodurre.
Ho quindi abbozzato il materasso, i cuscini e la figura del Cristo; dopodiché è cominciata la parte della velatura della figura.
A questo punto è iniziato il lavoro di modellatura su tutta l’opera.
Successivamente al modello in creta, in una fase che può essere intesa come un quinto step, ho realizzato un calco in gesso e gomma siliconica, in modo da ottenere il negativo, dopodiché come sesto e ultimo step, ho realizzato il positivo in gesso mediante un minuzioso colaggio in gesso, con relativa finitura, levigatura, patinatura e lucidatura.
Bisognava realizzare un’opera scenica che non si deteriorasse nel tempo, che fosse solida e leggera per trasportarla sul set, e che fosse quanto più possibile simile all’originale, che desse l’idea allo spettatore che il mio Cristo velato fosse anch’esso  di marmo.
Cosa hai provato una volta che la statua era finita?
La sensazione che nonostante fosse una copia di una celebre statua del settecento era un’opera che vivesse di un’identità autonoma, come credo che la sentì sua Antonio Corradini nella sua mente, e successivamente Giuseppe Sammartino che la portò  realmente a compimento nonostante i suoi conflitti interiori.
Io credo che in fondo ogni opera realizzata con emozione sia il ritratto interiore dell’artista, non solo del riferimento di cui si tiene conto … Il riferimento non è altro che un incidente, o per meglio dire un’occasione: non è rivelato dallo scultore ma è l’artista che attraverso esso rivela la sua vera essenza.

Michele Di Iorio