La verità sulla scomparsa di Ettore Majorana

Ettore MajoranaEttore Majorana, il fisico italiano di fama mondiale scomparso in circostanze misteriose nel 1938, non morì suicida, nè assassinato in un oscuro complotto, ma era ancora vivo negli anni ’50.
Questo è quanto afferma la Procura di Roma archiviando il caso sulla sua scomparsa, dopo averlo riaperto nel 2011, asserendo che Majorana avrebbe scelto di autoesiliarsi emigrando in Sud America, in particolare nel Venezuela, paese in cui si sarebbe accertata la sua presenza nel periodo compreso tra il 1955 e il 1959.
Il fascicolo sulla scomparsa del celebre fisico catanese era stato riaperto per via di segnalazioni di alcuni testimoni che affermavano d’averlo conosciuto nella città venezuelana di Valencia. Il principale testimone era Francesco Fasani, meccanico emigrato in Venezuela nel 1955 e deceduto pochi anni fa, che nel 2008, durante una intervista concessa a Rai3 e andata in onda nella trasmissione “Chi l’ha visto”, ha raccontato d’aver conosciuto un immigrato italiano identificabile con la figura di Ettore Majorana (di cui conservava anche una fotografia) ma che durante la permanenza a Valencia si faceva chiamare semplicemente signor Bini.
Fasani descrisse il signor Bini – di cui non seppe mai il nome di battesimo – come un uomo molto schivo e riservato che non amava intrattenere rapporti sociali con gli altri connazionali immigrati della comunità della città venezuelana.
Gli unici contatti che Fasani aveva con questo misterioso uomo si limitavano alle poche occasioni in cui poteva occuparsi della manutenzione della sua automobile, una StudeBaker americana di colore giallo, che era solito ripulire dalle numerose cartacce done erano scritti appunti d’ogni genere sparse nella vettura.
Francesco Fasani, inoltre, raccontò di sapere che questo signor Bini conviveva con una donna presso la vicina cittadina venezuelana di San Raphael – pur ammettendo di non averla mai conosciuta personalmente – e che era sempre stato restio a farsi ritrarre in foto, tranne in una unica occasione in cui Fasani riuscì a farsi fotografare accanto a lui davanti all’ingresso di un ufficio di cambio valuta nel 1955.
Il “supertestimone” raccontò d’aver saputo solo successivamente della vera identità dell’uomo in questione, quando un giorno un certo signor Carlo, persona mai  identificata dagli inquirenti ma che Fasani descrisse come una figura di spicco nella locale comunità italiana, riconoscendolo fuori dalla finestra della sua abitazione gli aveva detto chi era in realtà quell’uomo che si faceva chiamare signor Bini, ovvero Ettore Majorana, eccellente scienziato di fama mondiale.
Secondo il procuratore aggiunto Pierfilippo Laviani, titolare dell’inchiesta sulla riapertura del caso della scomparsa di Majorana, sarebbe proprio quella fotografia scattata nel ’55 una delle principali prove che identificherebbero in quel misterioso signor Bini la figura di Ettore Majorana, poiché dall’analisi fisiognomica eseguita  dai carabinieri del RIS, fatta tramite la comparazione con una immagine del padre di Ettore, Fabio Majorana, nella quale aveva la stessa età del figlio (50 anni), risulterebbe una quasi completa corrispondenza dei tratti somatici.
Inoltre una ulteriore prova “schiacciante” della identità di Majorana è rappresentata da una cartolina che Fasani trovò sempre tra le varie cartacce sparse nell’auto del sedicente signor Bini. La cartolina, risalente al 1920, era firmata da Quirino Majorana, zio di Ettore e anch’egli scienziato, e indirizzata a un certo W.G. Conklin (uno studioso statunitense) e riportava notizie riguardo ad un esperimento scientifico in corso all’epoca.
Secondo il procuratore Laviani proprio quest’ultimo elemento sarebbe la prova definitiva che dimostra che quel signor Bini conosciuto da Francesco Fasani era in realtà proprio Ettore Majorana, in quanto «Il reperimento di siffatta missiva nell’auto di Bini conferma la vera identità di costui come Ettore Majorana, stante il rapporto di parentela con lo zio Quirino, la medesima attività di docenti di fisica e il frequente rapporto epistolare già intrattenuto tra gli stessi, avente spesso contenuto scientifico».
In virtù di tali prove il Sostituto procuratore di Roma ritiene di poter archiviare definitivamente il caso della scomparsa di Majorana in quanto la sua permanenza in Venezuela tra il 1955 e il 1959 era del tutto volontaria, dal momento che gli elementi raccolti sono sufficienti «per poter escludere la sussistenza di condotte delittuose o autolesive contro la vita o contro la libertà di determinazione e movimento di Majorana» (dalla relazione del sostituto procuratore di Roma Pierfilippo Laviani, ndr).
Ettore Majorana, nato a Catania nel 1906, figlio di Fabio e di Dorina Corso, penultimo di cinque fratelli, fin da bambino dimostrò una notevole attitudine per gli studi matematici, riuscendo a fare a mente calcoli complessi. Trasferitosi con la famiglia a Roma nel 1921 dove proseguì gli studi liceali, una volta conseguita la maturità classica si iscrisse dapprima alla Facoltà di Ingegneria dell’Università “La Sapienza” di Roma, poi successivamente passò alla Facoltà di Fisica dove ebbe modo di conoscere Enrico Fermi, da poco nominato docente della cattedra di fisica teorica, diventandone uno dei più brillanti allievi.
Una volta laureatosi, i significativi studi atomici sulla meccanica quantistica di Ettore Majorana cominciarono a fare il giro del mondo, al punto che gli vennero offerte le cattedre di Cambridge e Yale, che lui rifiutò per accettare invece quella di Fisica a dell’Università “Federico II” di Napoli.
La sua scomparsa avvenne la sera del 25 marzo del 1938 durante il viaggio sul piroscafo da Napoli a Palermo, dopo il quale non si ebbero più sue notizie.
Sulla sua improvvisa scomparsa, che scosse l’opinione pubblica dell’epoca, si sono fatte numerose ipotesi, una delle più accreditate fu quella del suicidio a causa del contenuto ambiguo di alcune lettere indirizzate all’amico Antonio Carrelli, all’epoca docente di fisica sperimentale presso l’Università di Napoli, e ai propri familiari, in cui esprimeva un certo disagio personale alludendo ad una sua volontaria imminente scomparsa.
L’ipotesi di suicidio venne presto accantonata, sostituita da quella di una sua clausura segreta in un convento gesuita del capoluogo campano. Né mancarono le tesi di omicidio ad opera di un complotto della comunità scientifica internazionale che avrebbe visto in lui un personaggio “scomodo” da eliminare. Si parlò anche di una sua permanenza segreta presso al monastero di San Pasquale a Portici. Rimase però più probabile l’ipotesi di un esilio volontario in Sud America, secondo le testimonianze di alcune persone che affermarono d’averlo visto in Brasile.
La sua misteriosa scomparsa scosse notevolmente l’opinione pubblica internazionale dell’epoca, al punto che lo stesso Benito Mussolini si adoperò attivamente per le ricerche dello scienziato catanese offrendo una ricompensa di 30.000 lire a chiunque fosse in grado di fornire notizie.
Il caso Majorana fu anche fonte d’ispirazione di scrittori e registi, come Leonardo Sciascia che su di lui scrisse una sorta di biografia romanzata, “La scomparsa di Majorana” (1975), e il film di Gianni Amelio “I ragazzi di via Panisperna” del 1987.
Ora, a 77 anni dalla sua scomparsa e a quasi 110 anni dalla sua nascita, la Procura di Roma ritiene d’aver fatto definitivamente luce sulla sua sparizione smontando qualunque “tesi complottistica”, affermando invece che Majorana volle semplicemente allontanarsi di propria volontà dalla ribalta della comunità scientifica internazionale, probabilmente perché spaventato dai suoi stessi studi sull’atomo che di lì a poco avrebbero portato alla costruzione degli ordigni atomici. Preferendo, dunque, un solitario e pacifico soggiorno segreto in Venezuela.

Francesco Bartiromo