La storia dell'antica Taverna del Cerriglio

Cerriglio1Su licenza di re Roberto d’Angiò nel 1310 venne aperta a Napoli la Taverna del Cerriglio, tra le attuali piazza Borsa e via Guglielmo Sanfelice, accanto a dove si ergeva la torre Mastria, scendendo dai gradoni della via san Giuseppe, non lontano da via Mezzocannone e dal vicolo Sedile di Porto, in quello che si chiamava vicolo del Cerriglio, al numero civico 3. La taverna oltre al piano terra dove si trovava la locanda aveva due piani superiori per alloggi notturni, dove gli avventori potevano dormire da soli o, con cifra irrisoria, essere confortati dalle prostitute del luogo. Agli ospiti di riguardo era destinato al primo piano o piano nobile con buon letto, biancheria pulita, sapone, tinozze da bagno, zipeppe (vaso da notte) di porcellana o d’argento, tende infiorettate alle finestre e balconi. Il Cerriglio era un’osteria di rango europeo tra 1300 e il 1600. Fino al 1740 fu di proprietà delle suore napoletane di Santa Chiara. Il primo gestore della locanda era detto ‘o Ricciulillo. Il terraneo del Cerriglio consisteva in un grande stanzone diviso da due archi e aveva due ingressi. Un’altra stanza sorretta da archi sostenuti da colonne era prospiciente al vicolo di Santa Maria la Nova, e dava su di un cortile con una fontanina e un terrazzino. Nella prima sala tra lanterne e lumi fumanti c’erano il forno e i fornelli che divampano di continuo, caldaie e pentole di rame che fumavano, padelle zeppe di fritture, tortiere lucide con trofei di cavoli, broccoli, maccheroni, casseruole piene di alici, pizze fritte e al forno. Tre pizze al forno avevano il costo di un solo tornese, un piatto di pasta un grano. Bottiglie polverose di buon vino di ogni prezzo, dall’Asprino al Lacrima Christi, dalla Falanghina alla Cerella, al Gragnano, al Solopaca e il pranzo del menu offriva ai visitatori che giungevano da tutta Europa sbarcando al porto di Napoli ottimo soffritto, fegatielli e cervellatine, salami, polli, tacchini, maiali arrostiti, agnelli. E ancora polpi e pesce fritto o arrostito, sempre e a tutte le ore, preparati da tre solerti garzoni aiutanti e dal taverniere e dal cuoco, con tre o quatto servette che portavano le pietanze ai tavoli, alcune bellocce e compiacenti. La taverna è stata menzionata dai toscani Cino da Pistoia e da Giovanni Boccaccio, lo scrittore il Cortese e dal duca del Balzo, nonché da letterati napoletani come Giovan Battista del Tufo e da Basile nel seicento. Ne scrisse anche il portoghese Francesco Delgado nella sua opera “Lozana andaluza”, e cosi lo spagnolo Cristobal de Villalon in “Viaje de Turquia” e Miguel de Cervantes riportò che el Cerrillo era molto frequentato da visitatori militari e civili spagnoli. Non solo letterati italiani ed europei frequentavano il Cerriglio ma anche balordi e malfattori. Vi alloggiò anche il grande Michelangelo Merisi da Caravaggio nel suo soggiorno napoletano. Proprio lì, la sera del 24 ottobre 1609 il Caravaggio vide 4 uomini intrufolarsi tra i tavoli della taverna e venire verso di lui con fare minaccioso. Il pittore dalla vita dissoluta si alzò prontamente e fuggì per i vicoli maleodoranti del porto.  Inseguito e raggiunto fu atterrato a pugni e a calci e sfregiato al volto con coltello dai  misteriosi aggressori che sparirono di corsa per evitare la ronda di polizia chiamata dal taverniere gestore, il signor Giansarvo. Si vociferò che il pittore si fosse inimicato i cavalieri di Malta perché aveva offeso il gran maestro Alof de Wignacourt. La polizia sospettò invece una vendetta dei parenti di Ranuccio Tomassoni, ucciso tre anni prima durante una rissa in una bettola romana dalla spada del Caravaggio. La polizia spagnola vigilò sul grande pittore fino al 1610, quando fu chiamato dal principe Doria di Genova e lasciò Napoli via mare per Roma. Sbarcato a Ostia il Caravaggio morì misteriosamente sulla spiaggia romana, dopo una caduta da cavallo … Dai giornali del tempo si apprendono notizie riguardo la taverna: in una delle camere al II piano, nel 1671 la polizia vicereale aveva arrestato uno schiavo mussulmano che esercitava a pagamento prestazioni di magia sessuale su donne del popolo e che venne mandato al capestro a piazza Mercato. Al Cerriglio tra il 1300 e il 1700 soggiornarono altri uomini famosi, tra cui l’avvocato filosofo Chianese di Chiaiano, che vi andava a mangiare e dormicchiare per due o tre ore e scrivere trattati. Vi passarono Felippo Sgruttendio de Scafato, alias Giulio Cesare Cortese, il Basile, Emmanuel Bidera, Vincenzo D’Auria. Ancora l’abate Carlo Celani, l’abate Gorani e l’abate Galiani, il romano Silvio Fiorillo, Volpone e tanti artisti, poeti, scrittori, pittori musicisti, scultori, architetti e ingegneri. Sulle pareti delle stanze ai piani superiori i viaggiatori usavano lasciare scritte sui muri: «Dio te guarde de povere arruccute», «Amore de patrone e vino da fiasco la sera è buono e la mattina è guasto», «È ffritto ‘o fécato!», «Chi serve in corte a lo pagliaro more». La taverna del Cerriglio nel 1580 era annoverata nell’elenco stilato dal Comune delle 212 locande napoletane, che citava come mastro gestore e cuoco Alfonso Gallo di Napoli. Così era citata nella lista delle taverne dei quartieri del 1699 a cura del marchese di Crispano consigliere comunale e assessore al Fisco e Annona. Nel 1740 la proprietà del Cerriglio passò a don Bartolomeo Pompilio di Napoli. Rivaleggiava in affluenza di clientela con la taverna del Crispano e con la taverna Florio, che si trovava vicino la chiesa di San Leonardo a Mergellina. Quest’ultima, gestita dal Florio che era anche farmacista, era famosa anche per i dolci e per le esibizioni di musicanti di villanelle, canti popolari del tempo. Altra rivale era la taverna di Pintauro a via Toledo, fondata nel 1785 da Vincenzo Pintauro, cuoco e pasticciere, che poi aprirà la pasticceria nel 1818 e l’albergo relativo nel 1819. Divenne famoso per la produzione delle sfogliatelle, in particolare per la creazione delle ricce.
La taverna del Cerriglio perdeva sempre più avventori: avevano ben da scegliere con tutti gli altri esercizi di lusso che nascevano in città, come quello della locanda delle Crocelle o il Casanova al Chiatamone, un esercizio con trattoria anche per dame nobili, e cosi l’Albergo Reale di Santa Lucia dove soggiornavano archeologi, viaggiatori di gran cultura e persino l’ambasciatore di Russia. O il Victoria in palazzo Sanna già Statella vicino la Villa Reale che annoverava ospiti di prestigio, diplomatici e principi ereditari in viaggio in incognito. O la locanda albergo La bella Venezia. Tutti concorrevano con servizi alberghieri puliti e eleganti e con cucina molto lodata dai turisti rispetto l’antica taverna del Cerriglio, che rimaneva di stampo popolare.
Nel 1785 divenne proprietario e taverniere del Cerriglio un tedesco residente a Napoli e nel 1798 passò a Gaetano Corvino di San Giovanni a Teduccio. Nonostante la storica taverna avesse perso clienti tra i nobili e diplomatici, artisti e pittori, conservava ancora la clientela composta da lazzaroni, pescatori, marinai, viaggiatori borghesi e popolani, militari di bassa forza e qualche artista squattrinato.
Nel 1811 sotto il regno di Murat si diffusero alberghi alla francese, ma il Cerriglio teneva sempre duro. Passò di proprietà a Nicola De Nicola di Napoli che beneficiò della costruzione del larghetto con giardini davanti la taverna, inaugurati dalle autorità murattiane con la distribuzione al popolo di 3mila sacchi di farina, distribuiti da 42 belle ragazze del quartiere tra canti e suoni tra i tavoli del nuovo Cerriglio, da dove il 17 gennaio prese inizio la Cuccagna di Carnevale, secondo quanto scriveva Domenico Piccinini, in visita a Napoli ospite dell’impresario teatrale del San Carlo Barbaia, e da Tito Del Bono. Nel 1844 la sua clientela era ormai tutta equivoca. Vi si verificavano risse violente e continue tra ubriaconi e giocatori, tanto che il povero tavernaro De Nicola per paura che la polizia gli chiudesse il locale dopo aver sedato a botte ben tre risse cambiò il nome in Cantina del Cerriglio. Un solo ingresso al n 3 del vicolo e un quartino al primo piano e un quarticello al secondo piano con camere da letto modeste, come da regolamento per locali del settore. Salvatore Di Giacomo la frequentò da studente, quando era chiamata Trattoria dei Fiori. Dopo 460 anni di attività continua il Cerriglio venne chiuso. I locali furono adibiti a deposito di mobili nel 1870 dal signor Vincenzo Troise.
Dieci anni fa l’imprenditore edile Giuseppe Follari era alla ricerca di un adeguato deposito. Scovò l’antica sede della taverna storica del Cerriglio, e con sua moglie Angela decise di ristrutturare e riaprire l’antica locanda. Diede così inizio ai lavori di ristrutturazione, rispettando l’antica sede con un unica porta d’ingresso e la sala originaria a piano terra per degustazione di vini e aperitivi e di una sala al primo piano per ospitare eventi e persone. Il 17 novembre del 2014 l’antica Taverna del Cerriglio ha ripreso vita.

La nuova Taverna del Cerriglio
La nuova Taverna del Cerriglio

Michele Di Iorio