La solita soluzione ai problemi di lavoro e sviluppo

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lavoro-sviluppo-inflazioneRecentemente un alto esponente della finanza neanche a dirlo, l’Italiano Mario Draghi, governatore della B.C.E., ha proclamato la sua indiscutibile decisione di stampare mille e cento miliardi di nuovi  euro.
Soldi, anzi no, carta straccia con qualche zero che porrà in essere una nuova inflazione della moneta comune, ovvero soldi di quattrocentocinquanta milioni d’individui facenti parte dell’Europa.
Lo scopo dell’operazione? Acquistare debito pubblico da quattro stati sperperatori, spendaccioni, in particolare l’Italia e la Grecia.
Un banchiere, se così si può definire uno che manovra soldi altrui senza nulla rischiare, in verità lo definirei un bancario, perché percepisce uno stipendio seppur dorato, alla fine del mandato anche se avrà sbagliato se n’andrà con una lauta liquidazione di svariati milioni d’euro.
È semplicemente una follia  mettere in moto un’operazione inflazionistica che causerà una perdita di valore della moneta europea almeno del 15%. Meglio sarebbe che l’intera Europa si facesse direttamente carico del 30% del suddetto debito pubblico dei paesi spendaccioni, alleviando le difficoltà nella loro ripresa, a beneficio dell’intera comunità, ponendoli nel contempo  sotto commissariamento europeo. Si eviterebbe così l’inflazione della moneta ed un’ulteriore svalutazione del 20% futuro a causa dell’accollo della responsabilità sul prestito garantito dalla comunità.
Concretamente gli stati Italia e Grecia, che non sanno mettere un freno allo sperpero pubblico e che   proclamano cambiamenti  epocali, senza in realtà muovere una foglia, vanno commissariati.
È anche vero che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre reali possibilità per decenni, durante i  quali il furto perpetrato dai vari politici e loro accoliti ai danni dello stato era da considerarsi cosa normale; la mala amministrazione della cosa pubblica sopportabile dato il benessere illusorio, frutto di un lavoro comune  del popolo, sperperato dalla classe dirigente nei periodi di vacche grasse.
Da semplice cittadino non vedo l’utilità di un provvedimento che mira ad acquistare parte del debito pubblico, soprattutto italiano, nella speranza illusoria che l’operazione d’immissione di liquidità possa aiutare a risollevare le sorti della gravemente ammalata nazione.
Il fatto sta nel prendere coscienza che l’attuale governo dopo aumenti di tasse, quindi di introiti, abbia sfondato il pareggio di bilancio del 2014 di ben settantaquattro miliardi di euro.
Se la matematica non è un’opinione, il possibile risparmio sugli interessi spalmati su cinque anni, calcolando che ci vengano assegnati ben 500 miliardi diluiti poi in diciotto mesi, ci faranno risparmiare forse sessanta o settanta miliardi in cinque anni.
In un anno ne spendiamo settantaquattro: dove troveranno i nostri politici euforici per la bella notizia i soldi per investimenti pubblici di ripresa?
Il nostro stato attuale di indigenza lo dobbiamo in gran misura all’inflazione, ossia alla perdita del valore del nostro lavoro.
Agiamo come il cane, malato di testa, che rincorre la propria coda. Corre il cane tutto il giorno, fino allo sfinimento senza mai raggiungerla, però l’ha sempre davanti agli occhi, gli sembra che se aumenta la velocità la può prendere.
Noi poveri fessi siamo come il cane, crediamo ai politici ed economisti dell’ultima ora, al raccontarci la barzelletta che se diminuiamo il prezzo del nostro lavoro potremo vendere di più, potremo fare concorrenza a quei paesi che esportano prodotti contraffatti, copiati  dalle nostre griffe o mal fatti.
Dobbiamo stimolare la creatività, l’ingegno tutto italiano che ci distingue nel mondo e vendere i nostri prodotti raffinati al giusto prezzo, senza svendere le fabbriche agli stranieri che si portano via i macchinari e le idee lasciandoci i capannoni vuoti.Tutto a causa delle tasse e gabelle che rendono inutile il nostro lavoro.
Chi crede che l’inflazione, quindi l’aumento del costo della vita possa essere una soluzione ai propri problemi, non pensa che i prodotti che dobbiamo importare dagli altri paesi per sopravvivere ci costeranno più cari, ossia più lavoro sottopagato, meno consumo interno e solo benessere per i pochi esportatori.
Mi chiedo come farà l’Italia a garantire l’80% del prestito che la B.C.E. si appresta a concedere, visto che il capitale di proprietà dello stato, depositato a riserva presso la banca d’Italia,  è di poco superiore ai 10 miliardi di euro.
In particolare mi chiedo se veramente l’unione delle banche, raccolto il denaro virtualmente messo loro a disposizione gratis, poi lo reinvestiranno in titoli pubblici, senza cedere alla tentazione di reinvestirlo in prestiti internazionali più redditizi, come già hanno fatto ultimamente con i soldi ricevuti dalla stessa B.C.E.
Difficilmente le banche nazionali, attente a garantire il capitale dei propri clienti anche se continuamente svalutato, si adegueranno ad aiutare a riprendersi dalla tremenda crisi in atto le imprese e le famiglie di poveri artigiani o commercianti, vera spina dorsale dell’economia.
Le banche in generale, se proprio non sono completamente sicure di investire il denaro ricevuto con la garanzia del 200% ed un aggio di tutto rispetto a proprio utile, non investiranno un euro in Italia.
In complesso la mossa di Mario Draghi si rivelerà l’ennesima regalia a banche, assicurazioni e ricchi industriali. I ricchi diverranno più ricchi, i poveri diverranno più poveri.
Un evviva al governatore Draghi ed ai suoi accoliti, a quei politicanti ed economisti  strapagati che inneggiano alla stampa di carta straccia, che, a creder loro, ci porterà ricchezza e soluzione ai problemi di lavoro.
In realtà solo schiavitù bancaria ed internazionale.
Così la penso, la scrivo, la credo.

 Gilberto Frigo, l’uomo del nord