La Piedigrotta borbonica

Piedigrotta8 settembre 1734, una mite mattina del magnifico autunno della Città delle Sirene. A Napoli si festeggiava la vittoria su gli Austriaci e di Carlo III di Borbone Spagna: è il nuovo sovrano del Regno, unito sin dal 1130.
Nell’occasione vene rilanciata l’antica festa religiosa e popolare della Madonna di Piedigrotta. Imponenti sfilate militari, carrozze e cocchi dorati della corte reale, orchestrine ad ogni angolo, fuochi d’artificio per strade e a mare … Uno scenario fantastico per una festa canonica divenuta nel 1759 popolare con re Ferdinado IV di Borbone.
Piedigrotta era il trampolino di lancio per tuttte le canzoni napoletane. Proprio qui nel 1836 la famosissima Te voglio bene assaje, fischiata, intonata di bocca in bocca raggiunse il successo. Piedigrotta era praticamente il festival ante litteram della canzone napoletana.
Ecco la descrizione della Piedigrotta del 1847 fatta da una cronista dell’epoca: «La capitale si è svegliata in un trionfo di sole,al suono festoso dellle campane, mentre la folla popolare come una fiumana si incanala verso la chiesa di Piedigrotta. Si canta, si fischia, si grida, si balla per strade e vicoli, una folla multicolore si intreccia, si snoda, si esibisce in modo convulso.
C’è chi fa scoppiare petardi e chi improvvisa scherzi gioiosi pur popolareschi. A mezzogiorno le truppe della guarnigione si sono radunate per strade, spianate e piazze, secondo il regolamento definito schieramento a battaglia.
Tutte le truppe del presidio di Napoli attendono di esser passate in rivista militare da re Ferdinando II.
Dinanzi la Reggia e via via fino alla chiesa le bande musicali si alternano: quella dei Cacciatori, quella dei Granatieri della Guardia dai rossi pantaloni e dai colbach a piume a spruzzo bianche, con il mazziere dalle. scarpe foderate di leopardo. E poi quella della Real Marina dal pennacchio bianco e rosso … Man mano altre bande intonano le marce reggimentali alternate all’Inno Reale di di Paisiello.
Alle 13 inizia la prima parte della cerimonia: re Ferdinando seguito dallo Stato Maggiore dell’Esercito e della Marina, dai principi suoi fratelli, passa in rassegna le truppe. Sguardo da conoscitore, apprezza compiaciuto gli applausi della folla.
Poi un rapido ritorno a Palazzo Reale per assistere al defilamento delle truppe per andare a prendere posto lungo la strada che dalla Riviera di Chiaia, lungo tutto il percorso che la Real Corte doveva compiere per arrivare alla chiesa di Santa Maria di Piedigrotta».
Quel giorno arrivò nel golfo una squadra navale militare composta da nove vascelli dei reali legni dell’Armata di Mare francese. Gettata l’ancora, innalzò in segno di amicizia il Gran Pavese.
I Borbone conoscevano i gusti del proprio popolo: la magnificenza dell’avvenimento doveva appagare qualsiasi desiderio, così come la vista delle uniformi più eleganti della Penisola finiva col colpire la fantasia di un popolo amnate del bello in tutte le sue espressioni.
La folla dai variopinti vestiti, popolari o eleganti che fossero, ferveva sempre più e man mano cresceva l’entusiasmo: stava per scoccare il momento fatidico.
Gli occhi di tutti erano puntati su Castel Sant’Elmo. Ecco la prima salva d’artiglieria seguita dal tiro a salve di tutti i castelli di Napoli: era l’annuncio che il Real Corteggio aveva lasciato Palazzo Reale. L’euforia del popolo esplose dunque con il grido di «E vvì lloco!»
Secondo l’etichetta spagnola, ormai napoletanizzata da anni, c’erano tutti i membri della famiglia dei Borbone: principi e principini reali, la regina madre e la regina consorte, il duca di Calabria, erede al trono,i conti di Trapani, di L’Aquila, il principe e la principessa di Salerno.
Il giornale ufficiale dal 1816, La Gazzetta delle Due Sicilie – già Monitore delle Due Sicilie nel 1806 e ancor prima Gazzetta di Napoli nel 1400 – in data 10 settembre 1847 scrisse che dalle finestre, dai balconi, dai tetti, era tutto uno sventolio di fazzoletti, di lenzuoli bianchi, di bandiere bianche con gigli in oro.
Il corteo reale iniziava con la famosa carrozza del re con tiro ad otto affiancata da Guardie nobili e Guardie del corpo a cavallo, seguita dalle altre carrozze del seguito, tra cui c’erano anche molti dei gentiluomini e alti ufficiali.
I sovrani salutavano contenti il popolo.
Arrivati alla chiesa di Piedigrotta, i reali ascoltarono la Santa Messa e ricevettero la benedizioni del cardinale. Rientrarono dunque alla Reggia, mentre il popolo continua i festeggiamenti nella Villa Reale, oggi Comunale, della Riviera di Chiaia tra fuochi d’artificio e canzoni.
Le due successive feste di Piedigrotta, nel 1848 e nel 1849, furono invece piuttosto fredde e contenute: l’entusiasmo popolare venne smorzato dai tristi avvenimenti politici del tempo.
Quelle dal 1850 al 1854 tornarono serene, mentre la festa nel 1855 fu sospesa per l’epidemia di colera.
Riprese l’anno successivo, ma fu necessaria la vigilanza di Polizia e Gendarmeria per scongiurare attentati e sommosse sobillate da torbidi agitatori politici.
L’ultima festa della Madonna di Piedigrotta sotto il segno dei Borbone, nel 1859, ritornò serena. Vi prese parte anche la regina Maria Sofia con il consorte Francesco II, circondati dalla simpatia e dall’affetto di tutti.
La Festa di Santa Maria di Piedigrotta del 1860 venne assorbita dall’evento dell’entrata a Napoli di Garibaldi.

Michele Di Iorio