La furbizia del napoletano: un luogo comune?

Ero in fila all’ufficio postale, in via Giorgio Arcoleo.
Era una fila lunghissima già fuori della porta d’ingresso. Dietro di me c’era una signora, elegante.
Un signore stava per uscire,  si vedeva dai vetri blindati dell’ingresso.
La signora gesticola forte, chiede a quell’uomo di prendere un biglietto di prenotazione agli sportelli.
Il signore esce senza curarsi di quella richiesta.
La signora indignata si rivolge a me dicendo che non gli sarebbe costato niente a quel signore prendere un numero per lei alla macchinetta e con aria scocciata continua la fila.
Io non le rispondo, la guardo rassegnato e incomincio a pensare.
Furba, la signora si sentiva furba: continuando a fare la fila, se quel signore avesse assecondato la sua richiesta, avrebbe potuto passare avanti a me e ad altre decine di persone avanti a noi in fila. Furba.
Il culto della furbizia del napoletano sembra essere un luogo comune, invece è  un  modo di porsi rispetto al mondo e agli altri.
È un atteggiamento che ha la sua radice nei vecchi valori borghesi e prima ancora aristocratici.
Il furbo napoletano è completamente diverso dal furbo di ogni altro luogo del mondo. La furbizia a Napoli si esprime con la prepotenza e l’arroganza del più forte, sempre a tutti i livelli.
Un terreno culturale talmente capillare e diffuso a tutti i livelli che legittima ogni tipo di sopraffazione, dalle più piccole e quotidiane (la signora alla posta, il traffico disordinato, l’amico dell’amico che ti fa il piacere all’ufficio tecnico del comune, il netturbino che invece di spazzare, si legge il giornale seduto al bar perché sa che lui spazza, ma poi dopo c’è chi butta il pacchetto di sigarette subito dopo di lui che è passato, il disoccupato che vede parcheggiare una macchina non nelle strisce blu autorizzate e si improvvisa in quel momento parcheggiatore chiedendo una sua tariffa, ecc,) fino alle pericolose, e  purtroppo diffuse devianze politiche e anche e soprattutto criminali.
La lingua napoletana può aiutarci a capire il carattere del furbo.
Infatti, per definire un furbo a Napoli si usa il termine sfaccimmo, letteralmente sarebbe spermatozoo.
Non è un caso. Gli spermatozoi sono milioni, ma uno solo nella loro corsa affannata, deve fecondare l’ovulo.
È una corsa affannata, la loro. Si passano sopra, si fanno sgambetti, qualcuno non ce la fa, il più veloce corre, corre, corre, deve arrivare per primo senza guardarsi indietro, pena la morte. La morte.
Il più sfaccimmo riesce a sopravvivere e  insieme all’unico ovulo riesce ad evolversi a nuova vita.
La pena è la morte, e la furbizia napoletana è terribilmente legata al concetto di morte e di un altro luogo comune del carattere del napoletano: il fatalismo.
Pensammo ‘a oggi, ca dimane po’ se vede (pensiamo ad oggi, che domani poi si vedrà).
Il fatalismo nel napoletano, è il risultato atavico della convivenza millenaria con la montagna di fuoco, con il Vesuvio.
Tutti noi conosciamo il pericolo, tutti noi continuiamo ad abitarci sotto, pur sapendo che da un momento all’altro potrebbe annientarci, farci scomparire per sempre.
Ma in una eruzione del Vesuvio si potrà salvare solamente chi è cchiù sfaccimmo.
(Foto: web)

Mario Scippa