La crisi dello zolfo – Seconda e ultima parte

zolfaraIl 3 marzo Ferdinando II promulgò stato d’assedio, legge marziale e coprifuoco in Sicilia e a Napoli. Ordinò alle batterie costiere di allinearsi e prepararsi a far fuoco e alle navi ancorate a Napoli, Castellamare di Stabia e Portici di tenersi pronte a cannoneggiare per colare a picco le navi inglesi.
Fu segnalato con telegrafo ottico e bandiere alla flotta inglese di allontanarsi prima che le artiglierie costiere e navali aprissero il fuoco.
Intanto erano in arrivo unità in forza dai porti militari; il 4 marzo s’imbarcano verso la Sicilia sulle navi borboniche da guerra 12mila soldati di linea con possenti artiglierie litoranee e campali. Arrivarono 4 giorni dopo sbarcando 5mila soldati di rinforzo alla guarnigione di Palermo e di Castellamare del Golfo. Si misero in stato di preallarme bellico anche le guarnigioni di Messina, Siracusa e Catania con 3mila soldati ciascuna, tra stanziali e rinforzi ricevuti, 1000 soldati furono inviati ad Augusta, altri 1000 in assetto di guerra a Trapani e altri 3000 lungo le coste trapanesi e di Marsala in brigata mobile di pronto intervento, oltre ai 12mila militari di guarnigione stanziale.
Il 12 marzo venne lanciata la legge di richiamo generale dei riservisti in numero di 30mila unita, considerando che l’esercito, forte di 24 mila uomini nel 1828, era stato potenziato a 40 mila nel 1834 e 50 mila nel 1849.
il 20 marzo la flotta duosiciliana era ormai pronta ad intervenire a cannonate e colare a picco i 6 vascelli inglesi, praticamente bloccandoli.
L’Inghilterra mise in allarme l’ammiraglio sir Sidney Smith  ordinandogli di manovrare con il grosso della flotta inglese – in arrivo in Europa dall’India – nel Mediterraneo contro il Regno delle Due Sicilie.
Siamo al 22 marzo 1840: si aspettava con ansia e trepidazione da parte di molti il colpo di cannone napoletano. A Napoli parate militari con bande in testa, tra bandiere e preparativi accompagnavano l’eventuale difesa dalla minaccia inglese.
Accanto all’irrigidimento delle parti per lo zolfo di Sicilia ad aggravare la tensione tra Londra e Napoli vi era però anche una pregressa vicenda sentimentale, che per quanto privata ebbe il suo peso: il principe Carlo, altro fratello di Ferdinando, nel 1835 si era innamorato di una giovane turista irlandese, la signorina Penelope Smith, nipote dell’ambasciatore britannico lord Temple.
Carlo era in contrasto con Ferdinando perché il re che non voleva matrimoni dei rampolli reali con sudditi esteri di modesta condizione e oltretutto non nobili.
Addirittura tra i due fratelli vi fu un serio scontro davanti alla regina Maria Cristina incinta e con grande paura della medesima che in quel momento era allettata: Carlo addirittura minacciò il re suo fratello con la spada e tirandogli un busto di marmo. Il giorno dopo la poverina si sgravò di Francesco e di lì a poco morì di parto.
Carlo ignorò i rimproveri e le lettere perentorie di Ferdinando e fuggì da Napoli su una nave inglese per Londra e da lì riparò in Scozia al villaggio di Gretna Green, dove si sposò con promessa formale in brevissimo tempo; il matrimonio religioso avvenne a Londra nel 1836.
Il re, indignato, fece sequestrare tutte le terre di Carlo, tranne la contea siciliana di Mascali, che non rendeva nulla, gli sospese l’appannaggio di principe di Casa Reale e negò ai futuri figli di tale matrimonio il cognome Borbone e il rango reale Due Sicilie.
Col tempo Carlo, senza lavoro né stipendi, accumulò debiti per 36 mila ducati; il matrimonio e i figlioletti nati da cotanto amore, vennero sostenuti dal Primo ministro inglese, zio della sposina.
L’altro zio, l’ambasciatore lord Temple, a nome del fratello lord Palmerston già nel 1836 aveva tentato una mediazione con re Ferdinando II, proponendo la concessione del titolo di principessa a sua nipote Penelope Smith, moglie di Carlo, il cognome e il rango reale per i figli, nonché la restituzione delle terre e dell’appannaggio al principe. Si spinse anche a chiedere l’aumento dell’appannaggio annuo, il permesso di continuare a vivere in Inghilterra con il rango di principe Altezza Reale e il pagamento in contanti dei debiti.
Re Ferdinando aveva fatto una controfferta: l’autorizzazione a stabilirsi anche in Italia tranne che nello Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie, appannaggio di 6mila ducati a ciascun figlio maschio e 30mila ducati di dote maritale per ciascuna figlia, il titolo di duchessa di Villalta alla nipote e la liquidazione di 40mila ducati per i debiti del principe Carlo in Inghilterra e nulla più. Inoltre concedeva la possibilità di stabilirsi in Moravia e imponeva l’obbligo di riconoscere per iscritto che il suo matrimonio era rosso, cioè senza autorizzazione da parte del re.
La controfferta fu respinta in toto. Gli inglesi insinuarono poi che il re, non avendo mai pubblicato il testamento del re suo padre Francesco I, si era appropriato di undicimila ducati lasciati al principe Carlo e che era instabile di mente a causa dell’epilessia di cui soffriva.
Visti questi presupposti, il generale Filangieri, prevedendo che l’intera faccenda dello zolfo potesse esporre pericolosamente il Regno a una catastrofe internazionale, convinse il re a mandare a Parigi il duca di Serracapriola come ambasciatore straordinario per chiedere la mediazione di re Luigi Filippo d’Orleans. La richiesta di mediazione venne accettata dalla Francia e il 26 marzo iniziarono i lavori di preliminari di pace e l’1 giugno i colloqui.
In questo clima finalmente più disteso la flotta inglese dalla Sicilia ripartì per Malta e 3 dei 6 vascelli si spostarono da Napoli a Baia in attesa dei negoziati di una guerra mai combattuta. Come osservatore giunse una corvetta francese che si frappose tra le navi napoletane e quelle inglesi.
Il 19 giugno 1840 il ministro francese Adolphe Thiers raggiunse l’accordo tra le parti: si riconobbe a re Ferdinando II il diritto di amministrazione sulle zolfare siciliane e sull’esportazione dello zolfo estratto, mentre si abolì il monopolio alla ditta francese indennizzandola del danno subito e cosi con i commercianti inglesi. Il prezzo dello zolfo venne fissato a due ducati al quintale.
Una vittoria di Pirro per Ferdinando II che aveva osato sfidare la potenza inglese, ma almeno venne acclarata ufficialmente l’indipendenza del Regno delle Due Sicilie dalle ingerenze straniere.
Intanto il principe Carlo sempre più pieno di debiti lasciò Londra con moglie figli e dopo la composizione del trattato sullo zolfo si stabilì a Malta.
Ma gli inglesi non dimenticarono mai. Guidati da lord Palmerston appoggiarono totalmente la rivoluzione e il separatismo siciliano nel 1848 e nel 1849, caldeggiando apertamente nel governo provvisorio di Palermo la nomina a re di Sicilia del principe Carlo che nel 1848 si portò a Aix le Bains confidando nei ribelli siciliani; nel 1849 si spostò a Malta.
L’esercito del generale Filangieri pose fine alla rivoluzione, e allora Carlo sperò nella rivolta di Cefalù del 1856 capeggiata dal barone Bentivoglio e finanziata dagli inglesi. Anche questi moti terminarono nel sangue.
Successivamente, nel 1859, re Francesco II sbloccò il sequestro dei beni dello zio Carlo che ormai viveva in miseria a Aix le Bains e gli versò l’appannaggio in un solo ammontare tramite un suo emissario francese.
La generosità di Francesco non venne però ripagata: poco dopo i suo beni vennero confiscati da Garibaldi per conto dei piemontesi e fu spogliato del titolo di re delle Due Sicilie che non gli venne mai più riconosciuto.
Carlo di Borbone morì in esilio nel 1862. La sua vedova Penelope Smith ricevette il titolo di principessa di Capua ed un piccolo appannaggio dal regno unitario d’Italia; si stabilì a Lucca a Villa Marlia.
Fine della seconda e ultima parte.

Michele Di Iorio

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