La battaglia di Caiazzo


Oggi, 20 settembre 1860, fa caldo e c’è odore di polvere; li davanti,dopo la spianata, ecco la città di Caiazzo con le sue vecchie case, che si inseguono una dietro l’altra come  filari di pioppi, affastellate, intricate. Luccicano ai riflessi infuocato del riverbero del sole, tanto che sembra che siamo in piena estate.
Il Taburno svetta ad oriente e il Matese a tramontana, i monti Tifatini a ponente, a mezzogiorno passa il maestoso fiume campano, il Volturno, sacro agli Etruschi: una bella posizione strategica, quella di Caiazzo.
Una campana in lontananza crea un’atmosfera idilliaca tipica del sud, un paradiso agreste, nell’ascoltare i dolci rintocchi.
Caiazzo è un notevole centro agricolo e sorge con le sue case grigie, tagliate da strette vie silenziose, in salita e in discesa, degradando su di esso con rilievi che sembrano quasi in movimento ricoperti di uliveti e frutteti; 5000 abitanti, stretti intorno al loro arcivescovo.
La popolazione silenziosa è fedele ai Borbone, tranne qualche testa calda liberale, i nuovi ricchi filogaribaldini e i borghesi agrari locali, attaccati alle vecchie rendite  nobiliari ed ecclesiastiche.
il 19 settembre 1860 i garibaldini, felici e spensierati per la facile avanzata in Calabria e l’ingresso trionfale e indisturbato a Napoli, sono sicuri di vincere come nella semplice passeggiata del sud Italia, convinti che le truppe borboniche siano un esercito buono solo per parate militari.
Sotto gli occhi di Garibaldi che segue con cannocchiale l’azione da una collina, alle 6 del mattino avanzano icon l fuoco di artiglieria e di fucileria verso Gradillo attraversando il Volturno alla Scafa di Formicola.
È il primo assalto garibaldino della brigata da foresta Spangaro, ma gli avamposti di 4 compagnie dell’VIII battaglione Cacciatori dell’esercito duosiciliano, al comando il tenente Luigi Di Iorio barone di San Barbato, nativo di Montecilfone in Molise, respinge l’attacco, causando una decina di feriti e morti tra i nemici che si nascondono dietro la linea ferroviaria e i pioppi.
Poi le camicie rosse del battaglione Montessi, Brigata De Giorgis alle 7 del mattino attaccano alla baionetta, ma alla fine vengono respinti dai Cacciatori e dall’artiglieria di Capua; alle 11.30 si ritirano con forti perdite.
Ancora un attacco dei garibaldini usciti in forze da Santa Maria Capua Vetere alle 14, ma vengono ugualmente respinti dai Lancieri, Cacciatori e artiglieri borbonici vicino Capua, ai mulini di Triflisco, nei pressi di Santa Maria.
Al tramonto i garibaldini contano 600 tra morti e feriti, 400 prigionieri e una bandiera catturata dall’alfiere Dioguardi del 13esimo Reggimento di linea napoletano.
I borbonici invece avevano subito solo un centinaio di morti e feriti, tra cui il vecchio maresciallo Rossaroll, 75 anni.
il 20 settembre si rovescia un urgano di pioggia sulla zona; ne approfitta il battaglione garibaldino Cattabene, circa 400 uomini, che nella notte tra 19 e 20 settembre da San Salvatore Telesino risale il Volturno guadandolo alla Scafa di Limatola.
Li, attaccato dai Cacciatori del VI battaglione, risponde al fuoco; approfitta poi dell’ordine del tenente colonnello borbonico La Rosa di spostarsi nel bosco a sinistra, e alle 18 occupa tranquillamente la Città di Caiazzo, stabilendo il quartier generale nell’Arcivescovato; ne razzia il mobilio per alzare barricate ai sette varchi stradali e pone vedette sui tetti e sui campanili delle chiese.
Alle 22 i garibaldini via telegrafo chiedono rinforzi a Napoli e a Santa Maria Capua Vetere: alle 5.30 del 21 settembre arriva il reggimento valtellinese di Vachieri, 1139 unità. I soldati di Garibaldi si ripartiscono dunque in quattro battaglioni.
Il generale in capo borbonico Ritucci dispone il contrattacco per il giorno 22, ma il generale di Brigata della II Divisione Cacciatori responsabile della zona militare tra Triflisco e Caiazzo, Filippo Colonna di Stigliano, invece anticipa l’attacco al giorno stesso.
Ritucci a questo punto si porta da Capua sotto Caiazzo con 50 cacciatori a cavallo di scorta e 4 cannoni del maggiore Delli Franci e il I squadrone di Dragoni a cavallo, raggiunto poi alle 8 del mattino da tre compagnie dell’VII battaglione Cacciatori al comando del capitano aiutante maggiore Fondacaro.
Alle 9 manda una guida dello Stato Maggiore al VI battaglione del tenente colonnello La Rosa con l’ordine scritto di tenersi pronti all’attacco a Caiazzo.
Alle 11 i quattro pezzi d’artiglieria borbonica cominciano a tirare sugli avamposti nemici; due compagnie garibaldine, la IV e l’VII, escono in sortita per inchiodare i cannoni.
Le truppe borboniche di La Rosa avanzano a mezzogiorno in ranghi serrati per due con ai lati due compagnie del VI e la Cavalleria all’avanguardia; senz’altro una mossa pericolosa, perché espone i Cavalleggeri al tiro dei garibaldini protetti dalle barricate.
La mezza carica di cavalleria viene respinta dai nemici; La Rosa e il capitano Laus vengono feriti e muore il tenente Massarella colpito da un mortaio.
Alle 13.30 arriva dunque il maggiore Delli Franci con le compagnie dell’VIII Battaglione e 50 Cacciatori a cavallo, che fatti smontare vanno all’attacco mentre i Dragoni irrompono su due barricate garibadine sfondandole a sciabolate.
Intanto i civili caiatini insorgono; a colpi di forconi, pale, badili, seghe, schioppi da caccia assalgono i garibaldini e bruciano alcune case dei liberali, dando man forte ai soldati borbonici che intanto alle 17 sono riusciti a sfondare sei barricate su sette, mettendo in fuga davanti al castello di Caiazzo il reggimento garibaldino Vachieri. Nella fuga alcuni garibaldini annegano nel Volturno.
In difesa rimane dunque solo il battaglione garibaldino Cattabene, che poi viene sconfitto in una scaramuccia nella piazza; le camicie rosse s’asserragliano nel palazzo dell’Arcivescovato, mentre il soldato Antonio Cozzolino detto Pilone cattura per la seconda bandiera di guerra.
Infine alle 18 il capitano Giovanni Afan de Rivera, il capitano Luigi Dusmet e il capitano Raffaele D’Agostino accettano la resa degli ufficiai garibaldini.
Le valorose e truppe borboniche possono così riportare al generale Ritucci e ai principi reali, il conte di Trani e il conte di Caserta, il bilancio della gloriosa battaglia di Caiazzo: tra i garibaldini 300 caduti, 370 prigionieri di cui 232 feriti, requisiti due cannoni e un mortaio e catturate tre bandiere di guerra, una il 19 e due il 21 settembre.
Di contro, i borbonici hanno avuto 51 caduti e 4 ufficiali feriti; tra loro La Rosa, che poi sarebbe spirato in ospedale.
Il giorno seguente vennero distribuite ai soldati numerose promozioni e decorazioni, come ad Alfonso di Borbone, promosso maggiore di Artiglieria, al soldato Antonio Cozzolino,promosso II sergente ed insignito della Medaglia di San Giorgio.
Infine, tra i tanti altri il mio bisnonno, secondo tenente Luigi Di Iorio, venne promosso Primo tenente dell’VIII Cacciatori.
Motivi politici, malefede e incomprensioni non diedero la dovuta importanza alla battaglia di Caiazzo: invece fu la dimostrazione che l’esercito duosiciliano era una compagine ben addestrata e militarmente ineccepibile … altro che esercito ‘e Francischiello, come la storiografia ufficiale ha voluto liquidarlo con disprezzo!
A quei valorosi combattenti vanno resi tutti gli onori che hanno meritato sul campo con il loro spirito di sacrificio e lealtà verso il re Francesco II di Borbone.
La sorte non fu dalla loro parte nella successiva battaglia che si svolse sul Volturno il primo ottobre, dove venne arrestata l’offensiva duosiciliana, ma di questo racconterò in altro momento.

Michele Di Iorio