Intervista al regista Marco La Gala

Marco La GalaTerra dei Fuochi. Terra baciata da Dio e maledetta dagli uomini. Una terra dal nome romantico, che evoca esotici orizzonti.
Niente di tutto questo; quei fuochi sono il male che ne distrugge le viscere, che semina morte e patologie cancerose e metaboliche. Una morte lenta ed inesorabile, se non s’interviene.
Marco La Gala, giovane regista di Nola, città della Campania spesso teatro degli incendi di rifiuti speciali, nel 2013 ha prodotto il film “ Nella Terra dei fuochi”, dove tratta dello scempio perpetrato sulla nostra terra.
Il docufilm non è un semplice atto di denuncia ma piuttosto vuole lanciare un messaggio di speranza.
Per saperne di più Lo Speaker è andato a Parigi  per intervistare Marco La Gala.
Qual è stata la tua formazione professionale?
A Napoli ho studiato Lettere Moderne ala Federico II. Poi mi sono trovato in Francia per lavoro e qui ho iniziato a studiare cinema all’Università Parigi8.
Il tuo è un docufilm con personaggi reali che vivono questo problema sulla loro pelle. Hanno accettato di buon grado di farne parte?
Si. L’idea di questo film è abbastanza vecchia: mi è nata nel 2008 quando un mio amico di Nola, studente di medicina, mi chiese di collaborare con lui ad una ricerca sui rifiuti del territorio.
Nella nostra ricerca ci trovammo davanti a rifiuti di ogni tipo, non solo immondizia: rifiuti speciali e quant’altro, ma soprattutto ad un container abbandonato nelle campagne di Acerra. Pensai che fosse pieno di sostanze tossiche: intorno aleggiava una puzza tipica che pizzicava in gola e faceva bruciare gli occhi … Non so cosa fosse, ma sicuramente non faceva bene, è poco ma sicuro.
Dopo questa esperienza abbiamo fondato un’associazione, un gruppo che si chiama “Rifiutarsi”.
La lotta ambientale divenne per me un impegno: avendo passione anche per il cinema decisi allora di girare un documentario.
Iniziai a fare ricerche sul campo, andavo nei posti dove scaricavano rifiuti. Man mano incontravo persone potenziali protagonisti del film.
Poi i sono reso conto che dovevo andare ancor più in profondità, cioè il problema c’era, anche se ne parlavano in pochissimi. Il problema dell’eliminazione dei rifiuti che viviamo in Campania infatti è molto più radicato in profondità di quanto riusciamo a vedere.
Poi ho incontrato Nunzia Lombardi, un’attivista ambientalista storica della zona di Marigliano. In quel momento Nunzia cominciava a lavorare con la cooperativa sociale “Ottavia”, legata alla cooperativa “Libera”.
In quel momento ho capito che quello che stavano facendo era la storia che volevo raccontare. Nunzia e “Ottavia” stavano recuperando un terreno agricolo abbandonato da più di quindici anni. Lo stavano ripulendo dai rifiuti che vi erano stati scaricati. Per “fortuna” si trattava solo di rifiuti urbani.
Terminata l’operazione di pulizia, l’hanno riportato alla sua fruizione originaria di terreno destinato alla produzione di beni agricoli. La piccola cooperativa, composta da quattro persone, senza aiuto è riuscita a riprendersi un pezzettino del nostro territorio. Solo mezzo ettaro, ma sono riusciti a ottenere prodotti puliti, sani facendo ricorso all’agricoltura tradizionale.
Ecco perché ho fatto un film su di loro: erano i protagonisti ideali.
Perché i rifiuti tossici vengono sempre sversati negli stessi luoghi?
È molto semplice: non ci sono i controlli necessari. Per esperienza diretta so che vengono depositati sempre negli stessi posti e alla stessa ora. Volendo seriamente  intervenire, le autorità preposte dovrebbero metterci più impegno e avere a disposizione mezzi adeguati. Così si riuscirebbe ad arginare il problema, se non a farlo scomparire del tutto.
Lo sversamento illegale dei rifiuti è imputabile solo alla camorra?
Per quanto riguarda quelli tossici, senz’altro. Poi ci sono i cittadini che abbandonano nelle strade sacchi di rifiuti domestici.
Altri rifiuti sono depositati illegalmente da piccole industrie che magari lavorano in nero. Lavorando in nero non fatturano e quindi non possono sversare se non a nero, scaricando nelle campagne. Se qualcuno che esegue un lavoro per noi e ci chiede di non fare fattura, magari proponendo uno sconto, tutta i materiali in surplus, macerie, pneumatici, batterie esauste o quant’altro, finisce sversato illegalmente, e non può essere diversamente. Paradossalmente, paghiamo anche una tassa per i siti di sversamento autorizzati.
Ci sono altre connivenze? Se i rifiuti speciali hanno una loro tracciabilità, possibile che lo Stato non si sia mai reso conto che succedeva?
Su quest’aspetto ci sono tantissime indagini in corso. Si dice che centtrssero in qualche modo i servizi segreti. Ma la situazione non è per nulla chiara. Ad esempio nel 2009 si è introdotto il SIS.TR.I., il sistema di tracciabilità satellitare dei rifiuti industriali, ma ancora oggi non è enrato in vigore. Al di là delle mille promesse, dopo la grande attenzione sulla Terra dei Fuochi non è stato attuato nulla. La situazione non è cambiata: i rifiuti continuano ad essere scaricati, bruciati. Non si dice che se negli anni passati il problema principale era l’interramento dei rifiuti, adesso si ricorre più spesso alla pratica ben più pericolosa i bruciarli. Se i rifiuti interrati inquinano suolo e falda acquifera, quelli bruciati rischiano di inquinare tutt’e tre le matrici ambientali: acqua, terra e aria.
Ai Vigili del Fuoco, Carabinieri, ARPAC (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale in Campania) mancano tutti i mezzi per arginare il fenomeno.
Al di là dell’accertamento del nesso di causalità, non è una cosa normale che si continuino a bruciare rifiuti. E chi ci rimette è sempre il cittadino. Gli unici che realizzano un guadagno sono i criminali, che riescono a sguazzare in questa situazione indefinita, nebulosa.
Qualche giorno fa il tuo film è stato proiettato a Washington D.C. Com’è visto all’estero il problema Terra dei Fuochi?
Il fenomeno devo dire che viene seguito con molta attenzione. Abbiamo cercato di informare, di far capire che il vero problema non sono i rifiuti urbani, ma l’eliminazione illegale di quelli industriali e speciali. Spero che il mio film dia un piccolo contributo e faccia sapere al mondo che non si sta distruggendo solo un territorio, i suoi abitanti e un’economia, ma una cultura millenaria e il suo grande patrimonio.
Come sarà il futuro della nostra terra?
Anche in Italia oggi c’è molta più sensibilità, le cose sono cambiate e chissà che un giorno si riesca veramente ad eliminare questo scempio. Certo, si dovrà controllare non solo la grande industria ma anche quella piccola e media, perché se il problema non si monitora alla base si rischia solo di spendere soldi.
Lo stesso discorso vale per le bonifiche. Bonifiche di cosa? Ci sono aree come ad esempio le cave Resit e Roccaraìnola, Masseria Monti: lì c’è proprio di tutto. Buona parte dei rifiuti dovrebbero essere spostati, smaltiti in modo sicuro. Ma sono varie sostanze tossiche che si sono amalgamate, ormai. Chissà cosa ne è venuto fuori.
Da queste aree escono fumi: non sono fumarole, ma veleni chimici. L’aria è irrespirabile: più d’una volta ho dovuto effettuare le riprese con la mascherina a doppio filtro.
Quali sono i tuoi prossimi progetti?
Farò un altro film, ma non sul tema ambientale, anche se rimarrò comunque impegnato attivamente con “Rifiutarsi”. Sul sito si possono seguire le nostre attività, concentrate soprattutto nel nolano. Siamo pochi, ma stiamo comunque cercando di avere in concessione un terreno confiscato alla malavita organizzata. Non so se ci riusciremo, ma ci stiamo battendo per questo.
Uno dei temi del mio film e proprio quello dell’abbandono dei campi. Mi sono reso conto che i terreni abbandonati cadono nelle mani della camorra che poi vi interra rifiuti o ve li brucia sopra. Dagli anni ’90 in poi sono venute fuori queste realtà e man mano hanno generato la psicosi che tutti i terreni sono contaminati e così i contadini non riescono a vendere i prodotti della terra. Si è instaurato un circolo vizioso. L’agricoltore abbandona i campi perché non riesce più a guadagnare; i terreni cadono nelle mani della camorra.
Nel film sottolineo che è proprio questo che cerca di fare la cooperativa “Ottavia”: interrompere il circolo. Ma non solo loro: ce ne sono altre, come “Resistenza” la “Nuova cucina organizzata”, “Libera terra”e ne stanno nascendo ancora Riprendersi pezzetti del proprio territorio significa non solo arginare i fenomeni malavitosi, ma è anche un modo di difenderci con un’agricoltura più pulita possibile e creare posti di lavoro. Dal Vesuvio fino a Terra di Lavoro la zona è sempre stata agricola, ma purtroppo stiamo perdendo questa tradizione. Sarebbe questo il modo di proteggere noi stessi e il territorio dando una mano all’economia.
Non vedo la situazione della nostra terra completamente nera: qualcosa si sta muovendo. Lentamente, ma le cose stanno cambiando.
Cosa pensi della campagna mediatica negativa di cui la Campania ultimamente è al centro?
Assolutamente sbagliata. Bisogna dire con forza che, se è vero che ci sono zone estremamente inquinate, sono microaree su cui bisogna intervenire e metterle in sicurezza. La stragrande maggioranza del territorio campano è sano e i nostri prodotti sono più puliti di quelli delle zone agricole del nord Italia. Prima della rivoluzione industriale, i nostri fertilissimi terreni riuscivano a dare fino a tre raccolti all’anno senza aiuto di fertilizzanti o pesticidi. Grazie ad un clima formidabile, la terra era una ricchezza enorme. Ce la stiamo bruciando con i rifiuti. E per questa psicosi alimentata da certi mass media i nostri prodotti non si vendono più. I cittadini non si sentono tutelati e ovviamente si preoccupano. Sta dunque allo Stato intervenire.
Per quanto riguarda il cinema?
Farò un altro film, ma non sul tema ambientale, anche se rimarrò comunque impegnato attivamente con “Rifiutarsi”. Sul sito si possono seguire le nostre attività, concentrate soprattutto nel nolano. Siamo pochi, ma stiamo comunque cercando di avere in concessione un terreno confiscato alla malavita organizzata. Non so se ci riusciremo, ma ci stiamo battendo per questo.
(Foto by Marco La Gala)

Tonia Ferraro