Improvvisamente solo

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Una poesia, uno struggente viaggio onirico: è questo il sottofondo del breve racconto di Michele Di Iorio, “impregnato” di una realtà parallela neanche tanto distante dalla nostra quotidianità. 
Una sofferta ricerca della Conoscenza che si traduce in una tridimensionalità sfocata nei suoi contorni dal sogno dell’arcana arcanorum … 
Buona lettura

                                                                                                                     Lo Speaker

In un  posto dove forse non dovevo giungere …
Irrazionalmente sentirmi improvvisamente solo tra la gente, in case e vie conosciute e sconosciute, indifferente a che ci fosse il sole o la pioggia, mangiare o dormire in orario o fuori orario …
La prima sensazione, la più forte, inquietante, quella di sentirsi solo e inutile e dimenticato da tutti tra le ubertose campagne napoletane di Volla e di Casalnuovo.
Frutto di un’immaginazione forse esaltata in un delirio poetico, un concetto che si ritrova nei voli pindarici tipici del primo Romanticismo, che si ritrovano ancora nella poesia dell’arcadia ego di Poussin e Giovan Battista Basile del ‘500 -‘600
Mancandomi la mia giovane donna, compagna di vita e di ideali, distrattamente voltai le spalle alla chiesa dell’Immacolata Signora e camminai per i sentieri semideserti  del peccato, nei suoi ampi sotterranei.
Nel profondo fui preso dalla sete della Conoscenza e il tempo trascorse; giunsi dove forse non dovevo giungere razionalmente, ma quando lo compresi ero li davanti al maniero …  il castello di caccia dei marchesi Caracciolo Rossi Barra di San Sebastiano al Vesuvio, detto anche palazzo patrizio, con la terrificante masseria Rossi dal pozzo del cavallo bianco dell’antico casale di Volla.
Posto in un luogo meraviglioso, sotto la luce della luna piena, con il Vesuvio in sfondo dolce e nottambulo, il castello si ergeva tra statue di marmo, muti messaggeri angelici o grifoidi.
Il maniero era sorto nel 1090 per volere dei potenti signori Caracciolo di Avellino, Barra e Melito, Grandi di Spagna e patrizi di Neapolis, dopo il 1648 era divenuto  Palazzo e Masseria Rossi della potente nobile famiglia Pollio.
Il suo grande cortile circondato da un lussureggiante giardino ospitava e ospita ancora un bellissimo pozzo di marmo bianco, attorniato da fantasmi e silenti ombre che forse incutono paura a chi è intimorito dalla sue stesse paure inconsce.
Tenebrose presenze e fantasmi di damigelle del 1200 si affacciavano divertiti e ridenti alla loggia del piano nobile del palazzo che un tempo fu convento benedettino, poi monastero di suore ben poco spirituali nel 1540.
Nei suoi vasti sotterranei vi sono quattro passaggi segreti che collegavano le bellissime celle delle monache con quelle dell’adiacente e parallelo monastero francescano di Monteoliveto, dove pare che al suo interno i monaci e le consorelle potevano incontrarsi in una voluttà profonda di innamorati  sacrileghi, travolti una passione senza freno e maledetta dalle umane ipocrisie borghesi.
Alcuni bimbi nati da questi amori segreti vennero affidati alle famiglie contadine loro devote,  a quelle della vicina masseria detta degli Schiavi o degli Spiriti sulla strada di Casalnuovo, o della masseria della Grande Macina di pietra per il grano verso Santanastasia e Madonna dell’Arco, che si raggiungevano attraverso i primi tre passaggi segreti del castello dei Rossi …
Si dice che se nel cortile si vede il fantasma del cavaliere del pozzo bianco che custodisce il tesoro dei templari italiani del 1308, o si muore subito di crepacuore o si fa un salto di vita, verso il nominato e l’innominato, sul sentiero degli dei o el ehoim, secondo un progetto karmico elaborato dal nostro divino Architetto dei mondi, Dio vivente Gesù.
In quella notte cercai la mia donna discesa da alcuni anni nell’oltretomba, e vidi il bellissimo ed elegante spettro di donna Popa Maria de Santis, sposa nel 1647 al nobile don Antonio de Gennaro da Benevento, proprietario dell’amena villa del famoso noceto in cui si trova l’albero secolare che benché bruciato più volte continua a rinverdire.
Commosso e contento, salii impugnando una torcia lo scalone d’onore del palazzo conservatosi in ottimo stato, tra sussurri e risatine femminili di molte giovani donne, attorniate da evanescenti paggi, valletti e gentiluomini d’altri tempi, aprendo uno spiraglio sul mondo dell’inconoscibile, dell’ultraterreno, combattendo in modo non facile per far breccia nel muro del mio scetticismo.
Come tanti non credevo: erano i miei primi passi nel fascino del passaggio del confine della vita e della morte.
Procedevo verso i saloni e anticamere del piano nobile, in una fuga interminabile di corridoi e di affreschi di una bellezza muliebre.
Raggiunsi la parte più antica del castello, dove re Carlo III di Borbone nel 1734 passò quando andò a conoscere per la prima volta Napoli, e dove in epoca più tarda si fermò il poeta e scrittore inglese lord Byron.
Tali segreti mi ricordava … nel 1885 … sussurrando il medico teosofo Franz Hartmann, entusiasta com’era di aver trovato i segni dell’arcana arcanorum, il calice dai poteri sovrannaturali, che combaciavano per un accademico scambio alchemico, con la musica di maestri virtuosi di violino, viola, tamburi …
Accompagnato da questa musica Hartmann scopri alle falde del Vesuvio i reperti di un uncum, un ambiente dove ritrovò l’autentica presenza di una confraternita rosicruciana puramente spirituale.
Facendo ruotare il fondo un camino di pietra di tufo aprì l’accesso ad una cavea della villa , in cui si studiavano filosofia, archeologia, letteratura, poesia, pittura e scultura,storia, arazzeria, ed era conservato il trofeo che solo alcuni tra i predestinati possono toccare …
Tra fulmini e saette, procedendo attento ai trabocchetti che costellava per corridoi, passaggi segreti, scale che attraversavano porte che credevo muri di creder ma muro non erano, mi trovai tra 18 casse.
Davanti a me c’era un uomo mummificato, un antico cavaliere dal mantello bianco e rossocrociato; dietro di lui si aprì un ingresso illuminato da fiaccole accese ai due lati delle grotte che immettevano in una città sotterranea, misteriosa, enorme, tra lampi artificiali simili ai guizzi di armi bianche …
Ritrovai così in una nebbia la mia spensierata giovinezza …
Era la certezza che Giordano Bruno aveva illustrato con i suoi sublimi calcoli …

Michele Di Iorio