Il teatro: Mirabilia

MirabiliaNAPOLI – Dal 23 al 25 gennaio Presso il Teatro ZTN ( Zona Teatro Naviganti) la compagnia Lotus Project ha portato in scena il martirio con lo spettacolo ” Mirabilia”.
La pièce è composta da una serie di brevi performance « … slegate tra di loro e  montate per attrazione tra di loro», come afferma la stessa compagnia.
Nei circa 60 minuti di spettacolo si assiste ad una piccola raccolta dei più frequenti orrori della nostra contemporaneità: l’ infanticidio, il femminicidio, l’anonimo  martirio dei clandestini per raggiungere l’ occidente, la degradante situazione italiana, finanche la guerra. Il fine è quello di rappresentare svariate forme di violenza che un soggetto più debole subisce da parte di un soggetto più forte.
Lo spettacolo ben  si iscrive nella corrente di Teatro di Ricerca. Tre sono le presenze sceniche, le giovanissime Ambra Marcozzi, Rosaria Celia Niola e Gabriella Zeno, nelle vesti anche regista della pièce.
Quasi inesistenti  le scenografie, ridotte a pochi oggetti e compensate dal lavoro di suono e luci curate in maniera intelligente  dall’ addetto  Renato Pagano.
Di impatto alcune trovate registiche: nella performance sul martirio dei clandestini il mare in tempesta che capovolge il barcone viene rappresentato da un lenzuolo azzurro sotto il quale due delle attrici simulano i movimenti delle onde.
I “mirabilia” oggetti preziosi, bizzarri, grotteschi o mostruosi che affollavano le cosidette Wunderkammer, le Camere delle meraviglie, prototipi dei nostri odierni musei, erano raccolti caoticamente con l’ intento di stupire il visitatore.
La performance della Compagnia Lotus Project  si fonda sulla stessa logica: nel piccolo teatro ZTN alternano scene di grande  impatto visivo, stupendo lo spettatore inizialmente confuso, al quale si chiede lo sforzo ermeneutico di ricostruire il tema durante la visione. In certe occasioni viene sfiorato il lirismo nell’apertura di alcuni quadri attraverso acutissime urla, o in altri casi grazie al sovrapporsi o alternarsi di isteriche risate, pianti e lamenti continui.
Lo spettacolo si muove in maniera circolare, fondendo l’ inizio e la fine con un inserto di danza contemporanea inteso come rappresentazione della ricerca di Dio. Questa ricerca parte da una certezza interiore che si svilisce sempre di più nelle rappresentazioni della performance fino a perdersi nell’epilogo.
Un lavoro bizzarro e provocatorio che tenta di sorprendere il pubblico riuscendo finanche ad indignarlo. Le diverse scene – lungi dall’essere un muro invalicabile ed ermetico – riescono nell’intento della comunicazione anche se a volte a spese di un faticoso  lavoro di comprensione da parte dello spettatore attento.

 Irene Campese