Il presepe napoletano e la sua storia

presepe del '70024 dicembre 1755: anche quella mattina come di consueto Carlo III di Borbone si alzò alle sette e sbrigò la corrispondenza col segretario di stato, l’avvocato Benardo Tanucci il toscanino, come lo chiamavano negli ambienti di corte, che lo ragguagliò sugli sviluppi sulla fondazione dell’Accademia Ercolanense, costituita 15 giorni prima, di cui era membro anche Ferdinando Galiani, nipote del cappellano maggiore arcivescovo di Taranto, già celebre per il trattato di politica economica, il De moneta (1750).
Il re, indossati gli abiti di gala, attese la regina Maria Amalia di Sassonia e la corte reale per scendere nelle strade assordanti di Napoli, tra movimento, semplicità, gusto della vita che trasparivano in ogni attimo delle festività natalizie in tutti i suoi vari aspetti pittoreschi, fastosi, rappresentativi, religiosi.
Forestieri tanti, tra cui gli abitanti delle varie provincie del Regno, che si accavallavano e si mescolavano a piedi, una folla enorme che si riversava per le strade tra le botteghe di via Santa Brigida piene di mercanzie, bancarelle ricolme di castelli di zucchero e di cioccolato, canestri con volatili, piatti prelibati, capitoni, anguille, cristalleria, doni di ogni specie.
Da via Toledo a piazza Mercato, dalla Sanità al Borgo di Sant’Antonio abate, ai Cristallini, fino alla lanterna del porto e a largo del Castello era una distesa di capponi legati a due, stocco, baccalà, salumi, formaggi, olive di Gaeta, tacchini … Una vera cuccagna, che vedeva anche la famosa e coloratissima parata di venditori da frutta fresca e secca.
Di casa in casa andavano i garzoni dei pizzicagnoli a consegnare i canestri ricolmi di cibo, gli sfrattatavola, le ‘nferte pieni di ogni ben di dio.
Ad ogni angolo, ad ogni cantone il tronaro, l’artificiere, faceva ammirare il proprio parco di artiglieria, i fuochi pirotecnic,i che all’epoca si sparavano alla mezzanotte della vigilia di Natale e non dell’ultimo dell’anno, quando in ogni casa tra vermicellli, cozze, cavolfiori, scarole, pesci, ostriche, frutti di mare, e gli immancabili dolci di Natale, roccocò, susamielli, struffoli, paste reali, paste di mandorla, raffaiuoli, montefiori, montebianchi, insieme a quelli tipici dei conventi come le donneregina e le cassate siciliane, tutta la famiglia quasi in processione andava davanti al Presepe di casa per deporre il proprio Bambin Gesù.
Sebbene fosse una tradizione nata a Greccio in Umbria con San Francesco, quella del presepe dal 1600 era stata fatta propria dai napoletani, diffusa da padre Rocco, monaco francescano oratore dei poveri, che predicava in dialetto napoletano.
Padre Rocco toglieva le prostitute dal vizio, mendicava elimosine per i poveri nei palazzi patrizi e a corte, rimproverava il re per la politica governativa anticlericale ed illuminista. Frate Rocco morì a Napoli nel 1781.
Il primo presepe era stato impiantato nel 1740 in una grotta del parco della Reggia di Capodimonte; poi questa bella tradizione destinata ad entrare nel cuore di tutti i napoletani continuò anche nei Palazzi Reali di Portici, di Napoli, di Caserta, ma anche nelle grandi chiese napoletane, nelle case patrizie e quindi in quelle comuni.
Nel 1600 i presepi erano poveri e semplici: case di cartone o di sughero, la grotta della Natività e qualche pastore in legno, ma un secolo dopo lo scenario presepiale era mutato arricchendosi. Vi erano infatti altre tre scene principali: l’Annunciazione, la taverna e il castello di Erode, intorno alle quali si disponevano i pastori.
Le statuine venivano fatte con gesso, trucioli, ceramica o porcellana; per ottenere un effetto realistico, avevano capelli finti e occhi di vetro, ricchi abiti di seta o di lana cuciti minuziosamente; il Vesuvio, i vicoli di Napoli con pescivendoli, macellai, fruttivendoli, vinai, osti, cuochi erano riprodotti con grande cura.
Immancabile la sfilata dei Re Magi con i turbanti; spesso c’era anche la statuina di Maometto, un’innovazione, visto che non era presente nel presepe di Sa Francesco.
Ma l’estro artistico napoletano aggiunse anche soldati romani, cacciatori con il fucile, pastori bianchi e negri, venditori di caldarroste in abiti della Campania, della Lucania della Calabria tipici, e naturalmente gli immancabili zampognari con. Facevano però eccezione San Giuseppe, la Madonna, gli Angeli, che vestivano panni tradizionali.
Dall’allestimento del primo presepe di corte, dalla semplice povertà della Sacra  Rappresentazione, si passò a scenari raffinatissimi e naturalmente costosissimi: alcuni presepi delle nobili case utilizzavano vere e proprie scene teatrali in miniatura realizzate da pittori, scultori, architetti e falegnami. Poi c’erano i sarti, i musicisti che ricostruivano attentamente gli strumenti, i modellatori dei pastori. Per allestire il presepe si muoveva dunque un indotto non indifferente.
Tra piazza San Gaetano, la chiesa di San Lorenzo e quella di San Gregorio Armeno, il vicolo di san Gaetano divenne il centro delle migliori fabbriche di presepi: si realizzavano ‘ cape e mani dei pastori e dei re magi, che poi venivano montate sulla struttura di paglia e fil di ferro.
Anche artisti famosi fecero i pastorai: Matteo e Felice Bottiglieri, Domenico e Antonio Vaccaro, Nicola Somma, Giuseppe Sammartino; alcuni si specializzarono nei particolari: Tozzi per le mani e i piedi, Luigi Ardia detto farinariello era il re dell’impagliamento, Giuseppe De Luca per i cestini di frutta e verdura.
Invece per gli animali gli specialisti erano Gori, Francesco Di Nardo, Carlo Amatucci,    Nicola Ingaldi; per l’allestimento vari architetti, quali Nicola Tagliacozzi, Desiderio de Bonis, Franco Cappello, Salvatore Fergola, Giusepppe Baldi, Raffaele Gentili, scenografo di palazzo reale e del Teatro di San Carlo.
Si ricorda infine che nel 1856 sotto re Ferdinando II Giacinto Gigante firmò una Madonna e un San Giuseppe.
I presepi settecenteschi si possono ammirare ancora oggi al palazzo reale di Napoli – con allestimento scenico del Liveri – o in collezioni private, come quelli opera del Catello, dei Perrone e del Leonetti, ma soprattutto nelle chiese napoletane.
Due si trovano a Santa Maria la Nova, di cui il primo intagliato da Angelo Fiore e il secondo scolpito in marmo da Girolamo Santacroce; il presepe in legno di Giovanni da Nola in San Giuseppe Maggiore, quello di Antonio Rossellino nella cappella Piccolomini della chiesa di Sant’Angelo dei Lombardi.
Forse il presepe più famoso è quello del Museo e Chiesa di San Martino, donato da Michele Cuciniello; la sua realizzazione si avvalse della collaborazione dell’architetto Fausto Niccolini.
Vanno ricordati anche altri: l’opera di Eduardo Ricciardi con un tabernacolo di corallo e rame; poi il Presepe del Guscio d’Uovo, quello più piccolo e racchiuso appunto in un guscio, ma anche i presepi dell’abbazia di Montevergine e i presepi di Palermo.
Va citato anche il famoso presepe della chiesa di Santa Brigida con i pastori opera di Michele Perrone, dove si dice che davanti al Bambin Gesù si fosse convertito al cattolicesimo il musulmano Mohamed Ingnet, raìs di nave barbaresca algerina fatto prigioniero di guerra dal capitano di fregata Capitan Beppe, al secolo Giuseppe Martinez. Nel 1757 Ingnet fu affrancato dalla schiavitù e comprato dal principe Raimondo de Sangro di Sansevero e divenne poi suo aiutante alchimista …
La Sacra rappresentazione napoletana era diventata una tradizione così radicata che Carlo III anche dopo che era partito nel 1759 per sedere sul trono di Spagna: continuò ad ordinare presepi alle manifatture partenopee.
Nel cuore di un buon sovrano prevale sempre la Ragion di Stato, ma dentro l’illuminato Carlo rimase sempre la nostalgia della sua amata Napoli.

Michele Di Iorio