Il mio Cam(m)ino


A quanti mi chiedevano cosa cercavo nel Camino de Santiago, spesso rispondevo in maniera elusiva che le ragioni erano tante, culturali, spirituali ma non religiose! Addirittura sportive!
In realtà non ne ero ancora sicuro del tutto.
In effetti, come in tutte le cose nuove, nel mio primo viaggio come nel secondo, ero attirato dalla voglia di conoscere, da quella sana curiosità che dovrebbe esistere in ognuno di noi per espandere le nostre conoscenze, o per lo meno non farle ristagnare davanti un pantano televisivo!
Poi però mi sono ritrovato in situazioni inaspettate.
In realtà come, ho già accennato altrove, il mio Camino, è sui generis, e del resto per chi non lo è? Ma le difficoltà e le situazioni nelle quali mi sono imbattuto, farebbero però storcere il naso anche al meno ortodosso dei pellegrini.
Infatti l’essermi messo in viaggio con la famiglia al seguito in auto, non solo è risultato oneroso e complicato, ma mi ha anche impedito quel distacco che sarebbe stato opportuno mantenere dalle vicissitudini domestiche.
In verità i brevi ma intensi contatti con gli altri pellegrini negli albergues hanno lasciato un ricordo indelebile in me e nei miei familiari e ci hanno fatto intendere quello che ci perdevamo, ma allo stesso tempo vivere, come nel precedente viaggio (León-Santiago), l’esperienza del Camino con i miei non è stata esperienza da poco.
Basta considerare il fatto che i bambini si avviavano ad essere ragazzi, e mi hanno anche accompagnato in alcune tappe del percorso, ma appunto i loro due anni in più ci hanno permesso di vedere, anche attraverso i loro occhi quest’esperienza in modo diverso.
Ho parlato di difficoltà, ebbene sì, la vita, in Spagna come in Italia, era aumentata sensibilmente e il transitare di giorno in giorno per i diversi hostales (in genere equivalenti alle nostre pensioni, ma con standard qualitativi non sempre omogenei) è risultato alquanto oneroso.
Non vi dico poi quando il nostro fido destriero ‘O Paliatone, dopo 127.000 chilometri di onorato servizio decise di darsi una pausa di riflessione e stanziare presso una “meridionalissima” officina di Malaga (ovviamente a fine Camino), per poi ripartire e completare gli 8.200 km del nostro viaggio.
Tornando a quel che si cerca in avventure come questa, perché, mai come quell’anno, la si poté definire tale. Devo ancora una volta sostenere la massima di a cada uno su Camino, che purtroppo puntualmente viene infranta.
La regola del rispetto dell’altrui libertà è disattesa sulla strada come altrove. Nei miei ottocento chilometri percorsi (350 del primo viaggio più 450 del secondo) ne ho viste di tutti i colori, ho incontrato persone che affrontavano il Camino in maniera pressoché agonistica, non accorgendosi talvolta dei tesori che li circondavano, e non mi riferisco solo alle bellezze naturali e artistiche, ma anche e soprattutto a quelle umane.
Nei confronti di questi però non si pensi che il mio accenno sia critico, bensì semplicemente enumerativo; del resto io stesso per le più svariate ragioni sono stato costretto, talvolta, a privilegiare il pragmatismo a dispetto del “bello”, al lirismo della realtà che ha circondato il mio viaggio.
Ho incontrato poi persone che affrontavano il Camino seguendo i vari gradi della religiosità, ammesso che sia opportuno, o quantomeno possibile quantificarla.
Ho incontrato persone con difficoltà fisiche, anche gravi, e che se la prendevano più allegramente di tutti!
Ho incontrato persone con zaini stracolmi e altre a passeggio con solo una semplice borraccia, tutti, nella quasi totalità, affratellati dal bene comune del Camino.
Suddetta premessa vale a distinguere dal computo una certa categoria di persone che probabilmente, dimentica della cristiana e umana virtù dell’umiltà, o semplicemente irrispettosa di chi ha di fronte, giudica!
Dal semplice abbigliamento alla critica motivazionale. Come se tutto ciò non valesse anche per la vita quotidiana. Mi riferisco a quelli che si ostinano nella ricerca assoluta di una coerenza che veniva mena proprio a loro nell’altrui critica.
Mi chiedo se queste persone non facciano più male allo spirito del Camino della tanto criticata e bandita commercializzazione dello stesso.
In verità da anni si fa un gran parlare del Camino de Santiago, vuoi per effettivo interesse e voglia di approfondimento, vuoi per sfruttare l’onda di qualche libro alla moda.
Il fatto stesso di parlarne non deve essere però fine a se stesso, non deve essere affrontato sterilmente come alcuni giornalisti hanno fatto, riportando talvolta, (mai peccato fu più grave!) di seconda mano fatti non vissuti direttamente, o ancor peggio non assimilati.
Dico questo perché se leggo o sento che ormai il Camino non è altro che un fenomeno commerciale o alla moda, dall’alto dei miei chilometri sostengo che costoro, oltre a non aver percorso un metro, non hanno letto una riga a riguardo.
Infatti, da che mondo è mondo molte delle cose umane, si reggono anche sull’economia, gran parte delle opere d’arte della nostra storia sono nate anche perché pagate.
Michelangelo e compagnia non facevano certo beneficenza, quindi, tanto del bello che s’incontra lungo il Camino è nato, sin dall’antichità, grazie ad esso e all’economia che ha mosso. Molti paesi della Castiglia, della Navarra o della Galizia e le loro bellezze, forse non esisterebbero proprio se il passaggio, anche monetario dei pellegrini non avesse alimentato la loro ragion d’essere, ieri come oggi.
Tornando alla domanda iniziale proverò a rispondere con questi un pensiero scritto di getto lungo il tragitto.
«Adesso so che quel che cercavo era la forza. Quella che ti aiuta ad affrontare la vita, che ti sostiene quando sei affranto, quella che ti spinge a rialzarti quando cadi».
Mi chiederete se l’ho trovata.
No!
No, perché la si può trovare solo nell’esperienza della vita di tutti i giorni, nell’attitudine di confrontarsi con se stesso e con gli altri nei contesti più disparati. Non come nel porto franco del Camino, meraviglioso ma limitato rispetto alla vita.
Del resto come ci si può rapportare a essa? La vita che si rinnova continuamente, dove nulla è scontato, la vita che non è un’abitudine.
(Foto gentilmente concessa daal’Autore)

Ciro Teodonno