Il libro: L' Amore rubato

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L'immagine di copertina del libro

NAPOLI – Mercoledì 31 ottobre, alle ore 16.30, presso l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Via Monte di Dio, l’associazione Eleonora Pimentel Lopez De Leon presenterà L’amore rubato, ultimo libro di Dacia Maraini.
Esther Basile,delegata dell’Istituto, intervisterà l’autrice.
 
Il libro.                                                                                                                                         
Sono tutte qui le donne raccontate da Dacia Maraini, in questo piccolo libro importante. Sono qui a mostrarci qualcosa di intimo, qualcosa di necessario e doloroso. Le donne di Dacia sono forti, hanno lottato, a volte hanno perso ma non si sono mai arrese. Le protagoniste de L’amore rubato combattono una battaglia antica e sempre attuale, contro gli uomini amati che sempre più spesso si dimostrano incapaci di ricambiarle, di confrontarsi con il rifiuto, il desiderio. Davanti a queste donne, mariti, amanti, compagni si rivelano ragazzini che stentano a crescere e confondono la passione con il possesso e, per questo, l’amore lo rubano: alle bambine che non sanno, alle donne che si donano troppo. Come Marina, che si ostina a cadere dalle scale, come Ale, che sceglie con sofferta determinazione di non far nascere il frutto di una violenza o ancora come Angela, che si addossa, aderendo alle parole della Chiesa, le colpe che una antica misoginia attribuisce alla prima disobbedienza femminile. In tutte queste storie affilate e perfette, dure e capaci di emozionare e indignare, Dacia Maraini racconta di un mondo diviso fra coloro che vedono nell’altro una persona da rispettare e coloro che, con antica testardaggine, considerano l’altro un oggetto da possedere e schiavizzare.Con la penna della grande scrittrice, nel libro pubblicato ad agosto 2012 per Rizzoli, dal titolo “L’amore rubato”, Dacia Maraini si misura con un problema sociale di attualità e troppo spesso sottaciuto: le violenze domestiche sulle donne, dalle molestie ad episodi sempre più gravi e drammatici, il ferimento e la morte di compagne, mogli, amanti sempre amatissime da uomini malati, violenti, repressi, talvolta inconsapevoli, carnefici ai quali queste donne si legano, credendo che credono di poterli salvare e redimere anche contro ogni evidenza.
Il femminicidio è una realtà alla quale non sembra che l’opinione pubblica, anche femminile, comprenda l’estrema drammaticità. Un recente ciclo televisivo, ricordo in particolare un bel film di Liliana Cavani, ha appena cercato di ovviare a questa lacuna informativa, ma, leggendo il libro della Maraini, si capisce che è stato fatto troppo poco e male, visto che anche i parenti, i medici, gli psicologi, gli assistenti sociali, i presidi che si trovano ad interagire con situazioni estreme di palese violenza appaiono distratti, increduli, incapaci di mettere insieme dati allarmanti e spesso solo quando la tragedia è stata consumata vanno a ritroso e capiscono di non aver saputo comprendere segni inequivocabili e segnali muti da parte di donne torturate, umiliate, prigioniere di sindromi di masochismo che sono una vera e propria malattia da curare.
Marina, Angela, Anna, Franci, Carmelina, Giusi e Rosaria, Venezia, Giorgia, Ale sono donne e bambine, adolescenti e mature, vittime di stupri e torture, incubi e violenze, fisiche e morali che la Maraini ci sa raccontare senza enfasi o tanto meno retorica, ma con la consapevolezza che una testimonianza del genere non può non coinvolgere donne e uomini indifferenti. Terribili, infatti, anche i ritratti degli uomini che si rendono protagonisti di simili efferatezze: c’è il bel marito della diciassettenne Marina, segregata in casa e selvaggiamente percossa, che riesce con il suo sguardo affettuoso e il bell’aspetto a rassicurare l’assistente sociale venuta a casa, su segnalazione della polizia, perché sua moglie si è ripetutamente presentata al pronto soccorso dolorante e ferita ma decisa a non denunciare l’uomo, di cui crede di essere innamorata. E ancora i genitori della piccola e desiderata Venezia, una bambina trasformata in una divetta della moda da un padre padrone incosciente, fotografata e pagata a soli nove anni come un’adulta, che sparisce da casa, vittima di un bruto che la tiene prigioniera a lungo per poi ucciderla e seppellirla in giardino.
Il racconto più atroce è l’ultimo degli otto che compongono il libro, dal titolo “Anna e il Moro”. Il narratore è il padre dell’aspirante attrice Anna, che si innamora di un cantante di successo, più vecchio di venti anni, col quale va a vivere, malgrado il dissenso del padre, che nutre per l’uomo un’istintiva repulsione. La storia ha una fine tragica, come si può immaginare, ma la cosa interessante è l’analisi a posteriori che compie il padre della vittima: come non capire, come non denunciare, come non sottrarre una giovane donna ad un carnefice i cui gesti appaiono inequivocabili, denunciati e sottolineati anche dallo psichiatra interpellato?
La scrittrice sembra voler denunciare l’inerzia causata spesso dalla paura di interferire, di entrare nelle vite altrui che il culto di una privacy spesso sopravvalutata hanno trasmesso attraverso i media. La conseguenza è la solitudine di troppe donne, consapevoli, colte, evolute, che una volta prigioniere di uomini amati ma violenti non riescono a sottrarsi alla brutalità che deriva spesso da turbe psichiatriche mai ammesse né denunciate.
Tutte le donne e anche moltissimi uomini dovrebbero leggere questo libro per affrontare con coraggio mali profondi che serpeggiano in troppi ambiti famigliari a noi vicini, per riconoscerli ed affrontarli prima che sia troppo tardi.

C.S.