Il generale Vito Nunziante

Vito NunzianteVito Nunziante, quartogenito di 11 figli nacque il 12 aprile 1775 a Campagna d’Eboli, Salerno, feudo dei duchi Pironti, da una famiglia media borghese possidente agraria.
Il padre Pasquale e la madre Teresa Notari. a 6 anni lo mandarono a studiare in seminario con suo prozio paterno il canonico Antonino, prebendario della cattedrale di Campagna, di cui divenne suddiacono nel 1771 e due anni dopo diacono.
Non portato per la vita ecclesiastica, dopo gli studi liceali nel 1794 si rivolse al parroco e al sindaco Giuseppe Ciao per offrirsi come soldato volontario di leva nel Regio esercito napoletano di linea, che lo presentarono al Governatore locale Giuseppe Cifarelli.
La sua candidatura venne accettata e fu mandato al deposito di leva in Salerno come soldato semplice di linea del reggimento di fanteria Lucania; tre anni dopo il suo colonnello comandante, constatò il livello della sua istruzione e lo promosse primo sergente furiere contabile.
Nel 1797 venne trasferito di guarnigione a Salerno e l’anno seguente prese parte alle grandi manovre militari a Sessa Aurunca che si svolsero alla presenza del re Ferdinando IV; da lì in novembre parti per il Lazio per la guerra contro i francesi, distinguendosi nella battaglia di Civita Castellana. Era il 5 dicembre 1799 e fu promosso alfiere; l’esercito poi ripiegò a Caserta e schierato sul fiume Volturno.
Rientrò a Napoli nel gennaio 1799, dove sostenne combattimenti con la popolazione locale che sosteneva i francesi;  dopo la proclamazione della Repubblica, abbandonò a cavallo la città. Dopo una lunga cavalcata attraverso Nola, Sarno, e Nocera, dove apprese che il governo repubblicano aveva dato l’ordine  ai militari regi di presentarsi alle leve del nuovo regime, non indugiò oltre e riprese il viaggio verso Campagna, attraversando Pontecagnano e Battipaglia.
Giunto a casa il 1 marzo, seppe che il Municipio aveva aderito al giacobinismo; fuggi dunque sulle vicine montagne, rifugiandosi tra una banda di undici popolani e braccianti agricoli. Prese il comando del manipolo e si unì a 200 popolani e montanari di Eboli al comando di Vincenzo Costa, aiutante di S.E. Ludovico Ludovici vescovo di Policastro e di Eboli, filoborbonico.
Il 30 marzo  combatterono nei dintorni, occupando Santa Cecilia di Pontecagno e saccheggiando sulla montagna Polveracchio una masseria del duca Pironti, sequestrando 600 tra pecore e giumente; subito dopo attaccarono il casino Starza, sempre dei Pironti, rubando arredamento,stoviglie e animali domestici.  Sapevano infatti che il duca Gennaro, giacobino, era fuggito dopo lo sbarco in Calabria del cardinale Ruffo, che avanzava vittorioso con il suo esercito.
Intanto la guardia civica di Campagna, guidata dal sindaco repubblicano Antonino Rivelli inseguì i realisti di Costa e di Nunziante, ma cadde in un’imboscata e venne sconfitta.
Venne dunque saccheggiate anche il palazzo di città dei Pironti e le case dei liberali, bruciato l’Albero della Libertà e le bandiere giacobine.
Il 4 aprile occuparono Battipaglia e 14 giorni dopo Pontecagnano, Agropoli il 25 e Paestum il 30. Il 26 maggio incontrarono ad Eboli l’avanguardia sanfedista del capo lucano Mazza e insieme sbarcano due giorni dopo a Torre Annunziata.
Vincenzo Durante, aiutante principale del cardinale Ruffo promosse Nunziante maggiore del III battaglione del I reggimento di fanteria di linea Real Calabria ulteriore.
Dopo la vittoria nella battaglia di Portici del 13 giugno, Vito Nunziante riunì al suo battaglione 550 disertori della Legione Schipani ed il giorno dopo entrò vittorioso a Napoli.
Il 15 giugno il cardinale Ruffo in persona gli diede i gradi di colonnello del nuovo reggimento di fanteria di linea Montefusco, che contava 1000 soldati.
Nunziante il 25 luglio venne poi promosso aiutante di campo generale sotto le mura di Capua dal colonnello Scipione La Marra; i combattimenti proseguirono favorevoli  alle forze realiste che, dopo la presa di Gaeta e la battaglia da Velletri, entrarono vittoriose a Napoli.
Vito Nunziante  fu riconosciuto dal re nobile di campagna d’Eboli e Messina; divenne Cavaliere di San Ferdinando e del Merito e fu nominato brigadiere generale della Sicilia; nel luglio del 1802 fu patrizio di Napoli fuori piazza per sé e per i suoi discendenti.
Stratega intelligente e fedelissimo dei Borbone, la carriera di Nunziante continuò sempre in ascesa; dopo la breve parentesi murattiana, quando la Casa Reale rientrò a Napoli,  fu nominato governatore generale militare delle Calabrie; nel 1815 fu a capo della commissione di composta da sette giudici che giudicò Gioacchino Murat e lo condannò alla fucilazione. Si comportò in modo saggio e umano col prigioniero, rispettando il suo rango elevato.
Il verdetto della commissione, ironia della sorte, fu emesso in base alla legge emanata dallo stesso ex sovrano che prevedeva la pena capitale per chi si fosse macchiato di crimini rivoluzionari. Nacque così il famoso detto «Giacchino mettette ‘a legge e Giacchino fuje acciso»,
La stella di Vito Nunziante brillò sempre più fulgidamente e lo portò a raggiungere gradi militari ed onorifici di altissimo livello, fino alla carica di Ministro della Guerra del Regno delle Due Sicilie.
Un episodio della sua sfolgorante carriera lo vide comandarr nella Santa Pasqua del 1834 la parata militare del Giovedì Santo alla presenza di re Ferdinando II e della regina Maria Cristina, con i quali si recò poi al santuario di San Gerardo e a quello di Cava de’ Tirreni. Nel giorno di Pasqua, dopo aver ascoltato la Santa Messa nel Duomo di Napoli, fu ammesso alla tavola dei sovrani, cui portò in dono argento massiccio per la statua di San Gennaro.
Il lunedì in Albis il generale Nunziante, dopo aver assistito alla partenza della popolazione festosa tra tarantelle, canzoni ubriache e carrettini infiorettati trainati da somari per il santuario della Madonna dell’Arco e di Santa Maria di Castello a Somma Vesuviana, partì con Ferdinando e Maria Cristina per il pellegrinaggio a Montevergine, ritirandosi poi nella Reggia di Caserta.
Vito Nunziante acquistò delle proprietà a Torre Annunziata, tra cui
uno stabilimento balneare per la villeggiatura e uno stabilimento per le acque termali, “scoperte” praticamente da lui.
Colto da malattia mentre si trovava in Calabria, ritornò a Torre Annunziata per curarsi con le miracolose acque del luogo.
Morì il 22 settembre 1836; fu seppellito come da suo desiderio nel cimitero del suo feudo di San Ferdinando in Calabria.

 Michele Di Iorio