Il film: Walking on sunshine

walking on sunshineT, un’inglesina romantica, ha una storia con un ragazzo. Dopo tre anni ritorna da lui: e proprio in quei posti, indovinate chi sta per sposare la sorella?…
Tra gli scampoli d’inizio stagione, in cui il pubblico è più distratto, c’è questo singolare film (INGH, ‘14). Innanzitutto chiariamo che è un musical, con numeri coreografici e canzoni, tutte cover per lo più degli anni ‘80, evidentemente free dai diritti musicali, dopo i fatidici 30 anni. L’altra sua caratteristica è che è ambientato nel Salento.
Gli inglesi ci hanno abituato a queste commistioni ambientali: già la regista Phyllida Lloyd spostò il musical inglese “Mamma mia!” (‘08) sullo scenario delle isole greche. E, anzi, l’impianto generale del presente film è debitore a quello del 2008.
Del resto gli artisti del nord europeo sono affascinati dalla solarità piena dei nostri spazi: ciò si percepisce fisicamente in quei film che sottolineano al loro interno le differenze tra le loro ambientazioni e le nostre. Come in “Allyouneedis love” (‘12) dell’altrimenti austera regista danese Susanne Bier, ambientato tra Copenaghen e Sorrento.
E la scelta del Salento non poteva essere più appropriata. Ne esce uno “spottone” per quella parte della Puglia. Ciò sottolinea anche la qualità e l’efficacia  notevole del lavoro di sponsorizzazione dei propri posti d’eccellenza dell’Apulia Film Commission, che ha portato il Salento in giro per il mondo.
Quell’area viene non solo fotografata, ma “narrata” nei suoi spazi, e “interpretata”  in relazione alle vicende sentimentali, non solo per i suoi paesaggi naturali, ma per lo stile inimitabile delle architetture urbane di scenario che definiscono quei siti.
Mi riferisco a numerosi scorci che mettono in evidenza il cosiddetto “Barocco leccese”: quelle costruzioni religiose e civili di armonica e monumentale costruzione, caratterizzate da quella tipica pietra bianca, della parte storica della città di Lecce, come di Gallipoli e altri centri, già messi in evidenza dal regista Ferzan Ozpetek.
Dai disegni arditi e originalie dagli effetti scenografici che i registi, il direttore della foto e la scenografa hanno saputo ben sfruttare, animandoli in numerosi e trascinanti numeri musicali.
Oppure dando vita a vivacissime rappresentazioni collettive, come nella “Sagra del Pomodoro”, in cui tra i vicoli della Nardò antica ci si rincorre tirandosi addosso i pomodori: è una sequenza musical-coreografica d’indubbia riuscita, che mette in evidenza la bellezza di quegli anditi, sottolineandoli in modi cinematograficamente dinamici.
I due registi, indicati come Max&Dania, rispondono ai nomi di Max Giwa e Dania Pasquini, e sono già segnalati come direttori di film musicali giovanili di buon riscontro al botteghino, dei cui stilemi caratterizzanti mostrano buona  padronanza.
La fotografia è del giovane tecnico inglese Philipp Blaubach: la sua luce inonda edifici, ambienti e panorami. Coloratissima, mette in evidenza il fascino  cromatico dell’antico e il suo profondo interagire col mare, tipico del Salento, come nel ritrarre la città di Otranto.
La scenografia  è della navigata Sophie Becher, la cui esperienza mette il film in grado di usare felicemente e molto armoniosamente le diverse location, nell’ambito dell’assetto narrativo identificato fortemente quanto a genere d’appartenenza.
Le tre protagoniste hanno grinta e mezzi espressivi: la più simpatica, di stazza e con la voce più caratterizzata è Leona Lewis, che ha vinto in UK un Talent Show molto seguito. Giulio Berruti è il protagonista italiano, noto per le fiction televisive, che non sfigura affatto in quel contesto.
Nell’insieme, nell’ambito del suo genere, è un film gradevole, molto professionale e in qualche momento assai vivace.

Francesco “Ciccio” Capozzi