Il film: Nessuno si salva da solo

nessuno si salva da soloGaetano e Delia, trentacinquenni bellocci e immersi nella contemporaneità, separati con prole, si vedono a cena per stabilire i “turni” di vacanze coi figli. In realtà l’incontro è il pretesto di un bilancio del loro rapporto, che si svolge in flashback durante la cena.
Questo è il terzo dei suoi cinque film da regista che Sergio Castellitto ha tratto da un romanzo della  moglie, Margaret Mazzantini: lei l’ha anche sceneggiato. Una collaborazione intrafamiliare che il regista ha difeso mettendo in evidenza, giustamente, che lo sceneggiatore di riferimento, che tutti i registi hanno, lo è talmente che se l’è sposato …
Tuttavia il pericolo può essere un eccesso di chiusa autoreferenzialità, che si rileva in taluni interventi “definitivi” di etica ed estetica che il regista si attribuisce con troppa e disinvolta sicurezza. Fermo restando che Castellitto è uno dei più bravi attori del nostro panorama, che i suoi film da regista rivelano talento e personalità e in particolare questo film (ITA, ‘15) riesce a gestire una materia abbondante e contraddittoria con un senso unitario forte e coinvolgente.
Gaetano e Delia si sono amati con trasporto passionale: pensavano che non avrebbero fatto gli stessi errori dei loro genitori. Lei che non avrebbe avuto la famiglia sfasciata dalla personalità sensualissima della madre, una stupenda, rediviva Anna Galiena. Lui che non avrebbe condotto la sua vita tra memorie velleitarie, politiche e pseudo artistiche di movimentismi sessantotteschi dei suoi genitori, gli attori Massimo Bonetti e Marina Rocco.
Invece i fatti della vita con le loro asperità li hanno costretti fare i conti con le loro reali attitudini: di ciò che sono realmente e di come le loro aspettative abbiano cozzato con la realtà.
Non c’è alcun giudizio moralistico: solo sofferte consapevolezze. Come quella di Gaetano che ora fa lo scribacchino di soap o di reality, mentre sarebbe voluto essere il novello Pasolini; ma ormai si è reso conto da tempo che il suo “tenere famiglia” comporta che non può più fare l’intellettuale free e hippy. Non solo: il lavoro di sceneggiatore è sottoposto agli umilianti riti di sottomissione ai sedicenti geni del cinema che, da una concezione iperlibertaria di sé e del proprio lavoro creativo, sono passati ad una pratica di oppressione dei propri collaboratori in nome della (propria) assoluta libertà creativa.
La famiglia diventa lo sfogatoio delle proprie delusioni e sconfitte. Lei è totalmente assorbita dai suoi due figli e dalla gestione dell’ordinario. La passione iniziale, non si è affievolita, ma fa i conti con le mediocrità e le ripetute assenze del compagno di vita. Resta comunque sottotraccia, ben presente e incisa.
Il film gestisce questi elementi, che sono dirompenti e contraddittori, con un senso narrativo che assicura, in ogni suo passaggio, la compresenza di più elementi. Come se egli attori facessero e rinfacciassero arrabbiati e inviperiti contro l’altro le peggio cose ma senza mai dimenticare flussi più profondi di sentimenti e di emozioni che hanno convissuto con intenso trasporto. E che non sono riusciti a dimenticare.
A parte la bravura di Riccardo Scamarcio, che rivela talenti sempre più sofisticati di attore, e Jasmine Trinca, è la scelta degli autori a individuare felicemente il taglio narrativo. Che è il mélò.
L’intensità dei sentimenti viene rappresentata con forza e credibilità strutturale. Non è semplicemente – ma anche – il micidiale meccanismo hollywoodiano che ad un x momento del film devono sgorgare infallibilmente lagrime ma è una vera e propria tensione stilistica che accompagna la vita dei due. E che si trova a confrontarsi nel sottofinale, in maniera sintetica, con l’esistenza dei due anziani coniugi, ancora palesemente innamorati, a fianco dei nostri nel ristorante.
Dal confronto delle doppie esistenze scaturiscono sia le parole del titolo, che il finale. Il regista l’ha definito un finale aperto. E difatti non è importante se i due ritornino insieme: l’importante è che i due abbiano maturato scelte di consapevolezza e di autonomia, che passano anche per una profonda considerazione, o riconsiderazione, di ciò che c’è stato tra loro. Che è e resta un patrimonio ricchissimo di amore e affettività. È un finale “laico”.

Francesco “Ciccio” Capozzi