Il film: In un posto bellissimo

Inunpostobellissimo_posterufficiale - CopiaLucia è sensibile, giovane madre, benestante, sposa di un masculo fascinoso,: insomma, vive int’e tranquilli: apparentemente. Scopre qualche magagna erotica del marito, incontra un giovane immigrato: cambia tutto…
« Mi inchiodano allo schermo i racconti con un intrigo interiore, la magniloquenza delle immagini mi distrae…Il cinema deve entrare nel luogo più segreto: l’anima. Analizzo così il problema dell’incomunicabilità, che crea distanze irraggiungibili, (…) fatto di silenzi, parole non dette e lasciate aleggiare nell’aria, provocando incomprensioni e tradimenti». Queste sono le parole con cui Giorgia Cecere, regista e sceneggiatrice insieme a Pierpaolo Pirone del film (ITA, ‘15) ha presentato il suo lavoro.
Ebbene: è così. Voglio dire, e sarò sincero: il film, a prima battuta di visione, mi è parso lento, lambiccato, compiaciuto visivamente cioè con quei vezzi, quegli ormai canonici tagli ipersoggettivisti del cinema giovane-povero italiano: primi piani, macchina d. p. ravvicinata e in moto, ecc. Inoltre un po’, per dire, all’Antonioni, fuori tempo: ‘na pippa
Poi … pPoi, come da spettatore bisognerebbe sempre fare, l’ho lasciato “riposare” tutto intero entro la memoria visiva, “senza disturbarlo”, in silenzio per qualche ora. E l’ho “intervistato” di nuovo, valuntandolo, ovvero ri-guardandolo attentamente nel suo insieme. Ed ecco … Come per magia è riapparso “parlandomi”, cioè  – non sono diventato folle – manifestandosi come un qualcosa di coerente e compiuto, con cui intrattenere un confronto complessivo. E “rispondeva” ad ogni specifica obiezione sul suo sviluppo, sui suoi personaggi: eludeva ogni possibile “trabocchetto” che, come guardone scafato, ponevo sulla  sua tenuta, i suoi attori.
Mi sono soffermato su queste specifiche di metodo di lettura – ispirate ad antiche, ma ancora valide, suggestioni di Valerio Caprara – per mettere in evidenza la complessità dell’approccio da tenere rispetto ad un qualunque film. E, in particolare, vi ho trovato piena corrispondenza con le parole della sua autrice.
Isabella Ragonese, l’attrice che sostiene il ruolo della protagonista, apporta una grande sincerità al suo navigare. Che, apparentemente, copre le banalità e le trappole del vivere in coppia, con una ansia di ricerca in una modalità che sembra nascondere le verità ovvie circa l’evidente doppia vita del marito. Il suo non volerlo affrontare, anche quando la donna da lui temporaneamente preferita glielo dice apertamente, non è affatto un’ipocrisia da struzzo ma qualcosa di più complesso.
Il domandarsi intorno a loro due, e più in generale sulla funzione della famiglia, è un interrogarsi più intenso e rivolto a lei stessa: «Ma io chi sono?»
I suoi silenzi non sono sul nulla, ma su quelle parti che lei ricerca in se stessa. Perciò è assente ogni moralismo, come anche ogni facile scorciatoia emotiva.
Così il suo rapporto col ragazzo maghrebino è molto complesso: non c’è nulla di facilmente etichettabile, come l’erotismo. Bensì la generosa ricerca col diverso, tale da rompere – siamo ad Asti – quell’uniformità di vita, esibita come status sociale, della provincia profonda in cui è ambientata la vicenda.
Epperò non è un’incomunicabilità “assoluta”, alla Michelangelo Antonioni, cui per certi versi si richiama. Nel maestro ferrarese si declinava, in forme tematicamente e stilisticamente originali, una riflessione sulla spaventevole mancanza di valori umani, un vero  e proprio “deserto”, alla vigilia della trasformazione epocale della società italiana, nei primi anni ‘60.
Nel cinema della Cecere prevale invece la ricerca. È un costante porsi in discussione, da parte di lei, che in definitiva costruisce in sottotraccia un percorso che la porterà ellitticamenente al finale, in cui prevale la dimensione di una libertà conseguita. Il suo avere finalmente conseguito la patente di guida ha un’evidente valenza metaforica.
In questa scansione, il montaggio di Annalisa Forgione, una “decana”, brava e affidabile, ha grande valore, perché assicura un ritmo quasi da suspense, che è incalzante senza essere esteriormente veloce; che aiuta a creare e mantenere un’atmosfera narrativa di concentrata attenzione sulla protagonista.

Francesco “Ciccio” Capozzi