Il film: French connection

french_connectionAnni ‘70: Pierre è un integerrimo magistrato che da Metz va a Marsiglia. Qui s’imbatte in Gaetan Zampa, all’epoca il più grande trafficante d’eroina del mondo, che dall’Europa inondava gli USA con la droga. La battaglia di Pierre è senza quartiere.
Basato sulla storia vera di questo famigerato capo della mala marsigliese , è il “controcanto” di un altro film famoso: “Il braccio violento della legge” del ‘71 di William Friedkin, che affrontava lo stesso argomento, però dal punto di vista americano, e con lo stile  hollywoodiano classico dell’action movie. Anzi: ne è un modello. Tra l’altro ebbe 5 premi Oscar tra cui quello come  Miglior Film e miglior attore protagonista (Gene Hackman).
Invece “La French”, così suona il titolo originale del film (FRA-BEL, ‘14), adotta uno stile che, nel mentre non scimmiotta l’adrenalinico film usa, ne esalta il senso profondo. Non semplicemente un riuscito film d’azione, coi suoi ritmi giusti, con le sue pause ironiche e perfino sentimentali, come ad esempio nel difficile rapporto tra il giudice e la moglie, ma un interessante ricerca sulle ragioni che portarono questo astuto bandito a dominare apparentemente incontrastato la scena della criminalità.
Sono date delle note che inquadrano chiaramente  il contesto di corruzione e di complicità che pervadeva le istituzioni. Si parla dei rapporti che la mafia corsa, che  lanciò e aveva rapporti stretti con Zampa, coltivava con la “Brigata Corsa” una struttura clandestina semicriminale di poliziotti provenienti dall’isola che “copriva” , attenuava, se non insabbiava, le indagini su Zampa. E questa struttura aveva un rapporto con la politica, in particolare con il potente sindaco di Marsiglia, grande elettore di Mitterand, poi suo Ministro dell’Interno, Gaston Deferre. Il cui comportamento, ambiguo fino all’omertosità, fu all’origine della crisi che costrinse Pierre a mollare l’indagine.
E noi ne troveremo gli stessi figuri attorno al Ministro degli Interni nel finale: vuol dire che la corruttela continuava…  Ma furono gli americani della DEA che lo riportarono su, costringendo i suoi superiori ad riaffidargli l’indagine.
Il regista Cédric Jimenez, anche coautore della sceneggiatura, insieme a Audrey Diwan, in altre parole, tara un meccanismo narrativo ineccepibile che ti cattura per la risolutezza e vigore delle scene d’azione. Per la forza dei suoi personaggi, in un’atmosfera di ricerca, non solo psicologica ma che riguarda anche un importante aspetto della società.
Jimenez riprende la grande lezione del cinema “Polar” francese (dal titolo di una popolare collana di libri di Gallimard), cioè il poliziesco d’Oltralpe, che, nato negli anni ‘30 con una forte sottolineatura umana, di tipo romantico, crepuscolare ed eroica, si era evoluto negli anni ‘70 in un perfetto meccanismo d’azione dai contorni umani, per realismo e forza.
Genere che ha espresso un maestro del cinema: Jean-Pierre Melville. Si vede chiaramente il tributo a quel tipo di cinema: ma senza subirlo passivamente, ne approfondisce e “aggiorna” gli aspetti di ricerca. Ne  ripercorre gli aspetti stilistici, soprattutto sul montaggio – di Sophie Reine, alla sua prima importante opera – sempre asciutto, incalzante, ma attento alle gradazioni.
Anche la direzione della fotografia di Laurent Tangy coglie l’inconfondibile cromaticità di quegli anni, non solo negli interni ma negli esterni. Ad esempio: la città di Marsiglia è fotografata senza quegli pseudo abbellimenti del degrado dei suoi vicoli, ma come era allora, un’ampia metropoli col suo sguardo e voglia di futuro aperte sul mare.
Il film è molto caratterizzato dall’energia dei suoi protagonisti: Jean Dujardin, ormai star internazionale e pluripremiato Oscar, è un giudice un po’ cow-boy, ma lo era veramente; però pervaso anche di umane incertezze e sensi di colpa nei confronti della moglie, anch’essa molto energica – una CélineSallette dal volto molto intenso – e il suo antagonista, l’attore Gilles Lellouche.
Lellouche imprime al criminale un’angolatura che, pur non facendolo per niente diventare positivo, gli dà ampiezza e spessore di sfumature. È un attore completo, ma da noi apprezzato di più per le parti comiche.
Vorrei concludere esprimendo la mia invidia per il complesso del cinema francese che senza spocchie e miopi valutazioni produttive sperimenta a tutti i livelli: dalla commedia al film d’autore “pesantone”,  a quello d’azione: magari rischiano – il film è costato c.ca 28mln di euro – ma “quagliano” opere di qualità che possono tranquillamente essere esportate e resistere nel tempo.

Francesco “Ciccio” Capozzi