Il culto della dea Audience


La cultura dell’audience, a mio avviso, è il vero male da combattere.
In tutti i campi della sfera sociale è presente ormai il culto per la Dea Audience;  tutto sembra essere governato da questa nuova divinità: dalla televisione alla vita reale, dalla politica allo sport.
Finanche i rapporti personali, di amicizia e quelli intimi, sembrano dar conto a quanta visibilità si ottiene; pensiamo al proliferare di locali e luoghi per scambi di coppia dove i rapporti intimi diventano sempre di più rapporti pubblici, o a quelle trasmissioni televisive dove lo diventano i sentimenti tra due persone. Tutti sembrano cercare conferma della propria esistenza esponendosi al  grande pubblico.
Come pure nella politica:  ormai da tanti anni più che ai contenuti veri ci si affida alla Dea dell’ascolto per la ricera di un leader in un partito, di qualsiasi schieramento esso sia: vedi la scelta del nuovo candidato del centro sinistra, o quello più classico che sembra essere l’incarnazione di un grande sacerdote della dea dell’Ascolto, che si è imposto sulla scena politica italiana da venti anni a questa parte, sfruttando le grazie che la dea Audience fornisce al politico che le è più devota: il voto.
Audience, tutto si misura con l’audience,  qualsiasi cosa si fa sembra essere diventato un rito propiziatorio alla dea Audience.
Tutto è diventato spettacolarizzazione selvaggia,  il cinema, la letteratura, le arti, lo sport ormai non sono altro che riti propiziatori alla Dea dell’ascolto, con tanto di sacerdoti, fedeli, martiri e santi.
Questo è il contesto culturale nel quale si impongono scelte come quelle di affidare la pagina della cultura di grandi giornali nazionali, che nei decenni di storia del nostro Paese sono stati laboratori fervidi e creativi di idee, dove hanno scritto le migliori firme della letteratura e della poesia, della scienza del teatro e della politica italiana, fino ad arrivare all’ultimo personaggio costruito apposta dal tempio dell’ascolto come un feticcio  da osannare, a prescindere dalla qualità del suo pensiero. Meglio se è banale e sempliciotto, così è comprensibile per tutti – ovvero i potenziali acquirenti.
Mi diranno sicuramente: «Ma questa è cultura di massa, questa è democrazia!»
Ma che ci posso fare, io  ho la puzza sotto al naso. Sono contro la falsa cultura che tende ad omologare tutto. Sono elitario, sono snob.
Sono tanto snob che la mattina non mi riconosco allo specchio e mi guardo storto da solo, e mi trovo banale.  Come trovo banale e vuoto, e espressione del momento storico che stiamo vivendo, banalizzato e svuotato, quel nuovo scrittore alla moda, Volo, mi pare si chiami, che viene incaricato di gestire la pagina della cultura di un importante giornale. Che tristezza.
In Italia il livello culturale è ormai caduto in basso, si ha come obiettivo ultimo solo l’audience, e quindi la vendita, il profitto. Il personaggio costruito che “vende” fa vendere, soprattutto in un periodo in cui i giornali non vendono.
Sono finite – o quasi – anche tutte le puntate della telenovela “Anche i ricchi come B. piangono” , che ha tenuto l’ascolto per diversi anni. È la falsa cultura che viene usata, contribuendo ad abbassare sempre di più il livello della cultura.
In tanti miei scritti ho usato spesso il termine malata per definire il livello della cultura oggi in Italia.
Il culto per la Dea Audience, questa cultura che si è imposta in Italia da un ventennio e che ormai ci fa vivere in una illusione continua, come tutti in un grande spettacolo televisivo, dove si è solo se si è visti, è un aspetto di ciò che io intendo per  cultura malata, ed è uno di quei tanti che va combattuto, piuttosto che osannato.

Mario Scippa