Il Cristo velato, patrimonio del Mondo

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Raimondo de Sangro, settimo principe di Sansevero,vissuto dal 1710 al 1771, aveva fatto dal 1 dicembre del 1747 della piccola chiesa di Santa Maria della Pietà, costruita nel 1590, la propria cappella gentilizia, sepolcreto dei suoi avi e massimo sacrario iniziatico simbolico della muratoria rosacruciana napoletana, attraverso la sua gilda, Rosa d’Ordine Magno – anagramma del suo nome.
Raimondo risiedeva nel vicino palazzo Sansevero di piazza San Domenico Maggiore di  Napoli, costruito nel 1580 e da lui abbellito nel 1738.
Nei sotterranei della cappella il de Sangro collocò il suo laboratorio alchemico e nel 1746 anche la tipografia privata, la Morelli e Salzano, che stampava le sue opere filosofiche e storiche e nel 1750 anche gli Statuti massonici.
Le sue ricerche erano condivise dal geniale barone svizzero Tschudy e dall’ingegnere Felice Piccinini, massone, direttore del laboratorio alchemico e maestro di matematica dei principini Sansevero.
Raimondo, memore della tradizione cristiana gnostica e cattolica dei cavalieri templari, iniziato lui stesso da suo cugino don Gennaro Carafa il 24 giugno 1745 a Posillipo, a sua volta iniziato a Marsiglia nel 1737, si appassionò alla vita e al simbolismo rosacruciano del Dio vivente cosmico Gesù, il Maestro divino immortale.
Chiese dunque allo scultore veneto Antonio Corradini, massone, direttore dei lavori architettonici della casa e della cappella Sansevero, ospitato a Palazzo con la sua numerosa famiglia, di realizzare il bozzetto del Cristo velato. I lavori però non iniziarono per l’improvvisa morte dell’architetto veneto nel 1752.
Nel 1753, insieme alla nomina del nuovo architetto di casa, lo scultore genovese Francesco Celebrano, si diede dunque l’incarico di realizzare la statua al giovane scultore napoletano Giuseppe Sammartino, famoso per i suoi bellissimi pastori natalizi e per tante sculture.
Sammartino aveva una modesta bottega d’arte tra i vicini e antichi vicoli del centro; era povero, ridotto quasi al lumicino e quindi accettò subito di scolpire l’opera commissionata dal Sansevero.
Per realizzarla usò marmo e caolino delle Reali Cave di Fuscaldo in Calabria, adoperato anche per la produzione della fine porcellana di Capodimonte; trasferì provvisoriamente la sua bottega nelle cantine del palazzo Sansevero stesso, proprio in quei locali dove dal 1737al 1763 si trovava il primo laboratorio alchemico desangriano, con Atanor, due fornaci piccole e una grande fornace che arrivava a 1200° di calore.
Sammartino aveva a disposizione tre aiutanti stuccatori, oltre all’ingegnere Piccinini, il maggiordomo di casa Sansevero monsieur Lambert e il servo algerino Mohamed Ingnet.
Il prezzo dell’opera commissionata da Raimondo de Sangro fu contrattato dal giudice Domenico Cavallo, amministratore privato di casa Sansevero sia a Napoli che in Puglia; si stabilì la cifra di 500 ducati d’oro napoletani con deposito al banco napoletano del San Salvatore; fu inoltre stabilito di dare al Sammartino un primo acconto di 81 ducati.
Fu messo a disposizione dello scultore il bozzetto originale dell’opera del defunto Corradini; posò come modella la giovane e bellissima Iris, berbera tunisina al servizio a casa Sansevero dal 1747, femme de chambre della principessa Carlotta Caetani d’Aragona la bella, bionda e virtuossima consorte di Raimondo.
Durante la realizzazione del Cristo velato lo scultore venne accolto a Palazzo: nei primi giorni di contrattazione fu assalito di sera dall’uscita di una taverna da tre giovani mascherati armati di randelli e di pugnale, decisi ad accecarlo o addirittura ucciderlo per impedirgli di compiere l’opera. Fu salvato dall’intervento dai famigli di casa Sansevero.
Sotto la stretta sorveglianza di valletti e lacché del principe la statua fu portata felicemente a termine in tre mesi dal giovane Giusepe Sammartino; venne poi depositata in visione pubblica nella cripta La Fenice della sagrestia della cappella gentilizia; all’epoca vi si accedeva solo attraverso la scala in pietra, non essendovi fino al ‘90 l’attuale scaletta d’accesso in ferro.
L’opera del Cristo velato diede grande notorietà a Giuseppe Sammartino: tutti venivano a guardare la mirabile statua, sia dal Regno delle Due Sicilie che dall’estero.
Il Sammartino passò poi a lavorare per le chiese pontificie a Roma fino alla sua morte, che avvenne nel 1793, 22 anni dopo di Raimondo de Sangro.
Nell’anno 1889 si verificò l’allagamento della Cappella Sansevero e il crollo del ponticello desangriano che la collegava al Palazzo; i danni furono causati dall’acquedotto napoletano.
Per ordine del principe Michele de Sangro, morto nel 1891 e seppellito a Torremaggiore in Puglia, la Cappella venne risistemata e il Cristo velato con l’aiuto di carrucole, funi e scivoli venne issato dalla cripta e posto dove si trova attualmente.
L’opera del Sammartino simboleggia i gradi di alta muratoria di un tempio supremo alchemico, la vita e la morte in Cristo e per Cristo dei Templari, cui la famiglia de Sangro era stata devota e militante in fulmen ordo … quando si stabilì dall’850 in territorio italico, per poi trasferirsi in Puglia tra il 1200 e il 1308, discendente dai re carolingi e merovingi di Francia …
La grande storia della famiglia de Sangro principi di Sansevero tra pochi giorni, verso la fine del mese di novembre, sarà approfondita da un cortometraggio cinematografico, opera dell’incredibile, geniale e giovane regista porticese Francesco Afro De Falco.
Verrà ricordata in prima visione la realizzazione dell’opera del 1753, creata nella Napoli desangriana dalla mano di don Giuseppe Sammartino, il Cristo velato.
Il Cristo velato, simbolo del Santo Graal, è perciò un’opera unica al mondo, non solo per la trasparenza del velo e per i particolari incredibili e meravigliosi, ma soprattutto perché è una statua che tutti possono vedere sì con gli occhi, ma anche con la mente, col tatto, col cuore …

Michele Di Iorio