Il Canalone dei morti

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Levico e CaldonazzoGiorgio e Piero, due compagni d’avventure montane, con gli sci muniti da pelli di foca, si accingono a risalire Cima Larici. La loro destinazione oggi sarà il Canalone dei morti che da Cima X scende per dirupi difficoltosi alla Valle di Sella, in Valsugana.
Salgono senza sforzo i nostri due sciatori alpinisti, incrociano quasi in vetta la struttura metallica d’arrivo della vecchia sciovia, in disuso oramai da molti anni. È quasi del tutto coperta dalla neve caduta abbondante nel mese di febbraio.
S’imbattono nelle tracce che segnano il passaggio nella zona di cervi e caprioli, abituali abitanti selvatici dei nostri monti.
In breve tempo, superata la cima, scendono a Bocchetta Renzola, salendo poi la ripida costa che porta a Lumetto di Portule. Si soffermano ai margini del dirupo qualche istante a riempire gli occhi dello splendido scenario offerto dalle montagne e dalle valli circostanti. Sullo sfondo è ben visibile il gruppo dell’Adamello, i suoi scintillanti ghiacciai illuminati dal sole risplendono in un cielo limpido e sereno nella giornata oramai primaverile.
Il gruppo del Brenta, il panettone del Grostè, per la limpidezza del cielo, sembrano a portata di mano. I monti della catena del Lagorai sovrastano la Valsugana, già verde in una primavera precoce, ed i suoi due laghi di Levico e Caldonazzo riflettono i raggi del sole abbagliando la vista.
Poi volgono lo sguardo verso il paese natio, verso l’Altopiano d’Asiago, situato a 1000 metri s.l.m. quasi senza più neve. Le piste da sci del kaberlaba conservano ancora la neve sufficiente a soddisfare qualche appassionato sciatore. Il monte Verena, proprio di fronte a loro, con i suoi duemila e più metri, giace sotto una coltre spessa di neve.
La foresta d’abeti che si svolge nella Valdassa fa brillare gli occhi a Giorgio, perfetto ed abile tagliaboschi, appassionato di legno fin dall’infanzia.
Avanti, la risalita continua. In breve superano la cresta di Lumetto di Portule, scendono il breve pendio che li porta ai piedi di Cima Trentin.
Giorgio precede Piero di parecchi metri; sta salendo nel silenzio assoluto che solo la montagna sa creare, quando si sente osservato. Alza la testa e si trova a tu per tu con una pernice bianca che dal suo giaciglio scavato nella neve per trascorrere la notte, lo osserva con curiosità, come a dirgli «Cosa ci fai qui tu nel mio regno?» Giorgio, sorpreso, felice, pian piano, con movimenti lenti cerca in tasca il telefonino per fotografarla. La pernice, sentendosi scoperta, spaventata da occhi umani, s’invola.
I due sciatori riprendono la marcia verso la cima, poi scendono verso Bocchetta di Cima XII, arrivando sul ciglio dello scosceso pendio che guarda la Valsugana. Continuano la marcia attraversando Cima XI arrivano poi a Cima X,  meta della discesa di quel giorno.
Il vento ha modellato la neve del ciglio della montagna sopra il canalone, creandone un’onda sinuosa ed elegante con un’altezza di circa sette metri.
Piero si porta con gli sci al limite dello stesso ed osserva preoccupato.Considerato il salto cui deve far fronte per scendere, si tira indietro e dice all’amico: «Io non vengo».
Giorgio, andando in avanscoperta, guarda il pendio volto a nord che porta a Campivello, molto più ripido del canalone, con una pendenza di circa 55-60 gradi.  Determinato, parte senza indugio e continua la discesa per un centinaio di metri. Si accingono ad affrontare una pendenza talmente proibitiva che non si possono permettere alcun errore.
Piero rimasto solo, ormai obbligato si decide. Scende anch’egli con successo e arriva da Giorgio che l’aspetta. Sciano insieme fino a metà del canalone, nel punto in cui si restringe con una larghezza massima di tre metri. Devono fermarsi. Il ghiaccio in quel punto ha formato una lastra spessa, è duro come il vetro, dovranno usare metodi d’alpinismo. Niente li ferma.
I nostri amici estraggono dallo zaino, sempre fornito d’ogni occorrenza, un chiodo da ghiaccio   a forma di vite, un moschettone e la corda, che a doppia mandata è utilizzata per la perigliosa discesa.
Sceso per primo Giorgio, sempre attento ai rumori anche se la montagna di solito è silente, ode un tuono sordo provenire dall’alto. Subito all’erta guarda all’insù e vede due grossi blocchi di ghiaccio che stanno rotolando sulla neve nella loro direzione.
Avverte l’amico che fa appena in tempo a addossarsi alla roccia. Lui, altrettanto prontamente, si toglie dalla traiettoria, lasciando nella fretta una racchetta piantata nella neve: sarà travolta un attimo dopo dalla bianca furia devastatrice che la distrugge.
Passato il momento di tensione, Piero si predispone prontamente per scendere a corda doppia. Raggiunge la meta, lascia la corda, infila gli sci e se la da a gambe, incitando Giorgio a mollare tutto e togliersi da quella zona pericolosa.
Recuperata solo la corda, i due audaci scendono nella neve valangata sottostante. Con maestria sciano a slalom breve fino a dove la montagna incontra la vegetazione. Si sentono finalmente al sicuro.
Le grandi piante d’abete ormai fitte impediscono la sciata, sono in basso. Devono procedere a piedi sprofondando nella neve primaverile della Val di Sella.
Alla fine arrivano stremati alla strada sottostante. Il figlio di Giorgio è ad attenderli con l’auto.
Assieme rivolgono lo sguardo alla corona dei monti che coronano l’Altopiano dal versante di Sella di Valsugana. La difficile impresa appena effettuata si è dimostrata molto più temeraria di tutte le altre che nel corso degli anni li hanno visti protagonisti.
Comprendono in quel momento quale pericolosa sfida hanno affrontato con successo. Sono soddisfatti e felici di essere riusciti a scendere vivi fino a valle.
Al bar del paese si fermano per rifocillarsi. Il proprietario li osserva e vedendoli provati e stanchi per la fatica, chiede da dove vengono. Al sentire che sono scesi dal Canalone dei morti rimane sorpreso: «Nessuno mai è sceso vivo d’inverno da quella via. Lo abbiamo soprannominato così noi valligiani, perché molti sono coloro che vi hanno lasciato la vita a causa della caduta improvvisa di sassi nei mesi estivi e per le valanghe d’inverno».
I due amici si guardano in viso e confermano: «Ne sappiamo qualcosa».
Avventura vissuta da Giorgio e Piero pochi giorni fa, nel pieno del mese di marzo.

 Gilberto Frigo, l’uomo del nord