Il boom industriale del Sud – seconda parte

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L’industria siderurgica del Regno delle Due Sicilie fino al 1860 era talmente sviluppata che merita una panoramica a parte, sebbene anche così siamo costretti a sintetizzarla.
L’intento è quello di dimostrare quanto fosse produttivamente valida l’economia del Sud Italia e di come decadde perché il nuovo stato unitario puntò solo sulle industrie settentrionali.
Il centro siderurgico più avanzato si trovava in Calabria sulle montagne della Sila: il paese di Mongiana, oggi in provincia di Vibo Valentia.
Nel 1771 fu costruito il primo complesso dall’architetto napoletano Mario Gioffredo; attorno polo siderurgico, che poi diventò primo in Europa, man mano si sviluppò il centro abitato, praticamente abitato dai circa 1.500 operai e le loro famiglie.
In seguito fu dotato di due altiforni, 6 raffinerie e due forni Wilkinson per la produzione della ghisa; nella produzione si avvaleva delle ferriere di San Bruno, San Carlo, Ferdinandea e Real Principe, centri ormai scomparsi.
Veniva utilizzata la limonite, contenente ferro, proveniente da Stilo e si sfruttavano il legno dei boschi cirostanti per ricavare carbone per i forni; il prodotto finito veniva spedito dal porto di Pizzo all’Opificio di Pietrarsa.
Mongiana cessò definitivamente le proprie attività nel 1881.
C’erano ancora altri complessi siderurgici, tra cui lo stabilimento di Atina,la ferriera di D’Agiout a San Sebastiano, il grande opificio di San Donato a sora, quello all’opificio meccanico di Oomens, alle fabbriche Macry ed Henry di via Maddalena e Guppy e Pattisonsulla di via Marina a Napoli.
Oltre naturalmente agli stabilimenti e opifici militari, tutto l’indotto creava innumerevoli posti di lavoro.
In particolare Pietrarsa, sorta su un antica batteria a mare posta tra Portici e San Giovanni a Teduccio in posizione strategica, occupava oltre mille operai; comprendeva una fonderia e costruiva pezzi di artiglieria terrestri e navali, locomotive, macchine a vapore, ponti di ferro, rotaie, bombe, granate e altri materiai industriali.
Dopo il 1860 fu presa a modello dall’opificio piemontese di Sampierdarena.
Nella vicina Castellamare di Stabia nel1782 era stato costruito il grande e glorioso cantiere navale; nella sua produzione annoverò vascelli a vapore veramente avveniristici per l’epoca.
L’arsenale e il bacino di carenaggio per le navi e del porto di Napoli, il modernissimo faro lenticolare completavano un complesso industriale, favorito dalla costruzione di strade regie rinnovate e migliorate con ponti rinnovate in molte zone del regno dal 1839, oltre ponti in pietra o in ferro, alcuni sospesi come quello sul Garigliano, canali, argini, porti, fari.
Un sistema stradale efficiente illuminato in gran parte da lampioni a gas, dunque,  oltre a quello ferroviario in continuo sviluppo.
Un Regno felice e ricco, quello delle Due Sicilie.
Dal 1860 nelle casse di un Piemonte che sarebbe diventato l’Italia unita affluirono ingenti somme di denaro dei vecchi stati preunitari; di questo capitale i due terzi erano costituiti dai ducati d’argento delle Due Sicilie.
Da allora in poi, l’economia di tutto il Sud cominciò a deteriorasi: troppe tasse e imposte applicate dalla politica di protezionismo favorevole al nord sia nel commercio che nell’industria.
Man mano chiusero tutti i centri di produzione e cominciò il fenomeno dell’emigrazione.
Nel Sud la disoccupazione e la miseria arrivarono a vette degne della crisi economica di oggi.

Michele Di Iorio

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