II film: In ordine di sparizione

in ordine di sparizioneIn un paesotto sperduto tra le nevi dell’alta Norvegia lo spazzaneve è annichilito dalla notizia della morte per presunta overdose del figlio.
Superato il primo devastante dolore, viene a sapere che in realtà è stato ucciso per motivi di droga, perché testimone innocente.
Da qui la sua vendetta. Dal freddo scandinavo, un film (NORV-SVEZ-DANIM, ‘14) veramente … fresco. Perché tale è, per inventiva, intelligenza narrativa e humour nero.
Il regista, il norvegese Hans Petter Moland, molto attivo in tutto  lo spettacolo scandinavo, ha saputo coniugare la scansione del giallo alla rappresentazione ambientale un po’ atipica: ha letto e interpretato in chiave di sanguinaria violenza i paesaggi innevati  e invernali, e per di più nella civilissima Norvegia, del tutto inusuali nel film d’azione.
Così facendo ha reinventato – un po’ come in “30 giorni al buio”, 07, su scenari simili, ma in Alaska, è stato per il film di vampiri – lo stile alla Tarantino e alla Fratelli Coen, come è stato detto.
Qui perfino sotto le spesse e gelide nevi, covano vulcani di violenza incandescente: e proprio nelle persone che solidamente all’apparenza sono degli esempi civili: è questo il caso del nostro protagonista, nominato all’inizio del film “Cittadino Modello dell’anno”.
E difatti prima si sentiva colpevole della morte del figlio a causa dell’overdose e della disperazione che aveva invaso la moglie, allontanandola da lui.
E stava compiendo l’irreparabile su se stesso, ma venuto casualmente a sapere della verità, ecco che si trasforma completamente.
Tuttavia la sceneggiatura sottilmente ci fornisce alcuni illuminanti dettagli: suo fratello essendo un criminale, vuol dire che a casa sua si respirava l’aria della brutalità e della sopravvivenza alla violenza; e il lavoro che fa richiede coraggio e forza fisica, e un forte senso della concretezza.
Quindi la trasformazione non nasce dal nulla: ha un sostrato psicologico. La sceneggiatura è del danese Kim Fuzz Aakeson, ed è di eccellente qualità, perché inanella situazioni in un crescendo di parossismo di violenza, che non hanno nulla di meccanico: risultano ben congegnate, quanto a motivazioni d’accadimento.
Soprattutto, sono intervallate da siparietti e squarci ironici veramente divertenti. Come quel dialogo impagabile sulla civiltà e la qualità umana delle carceri norvegesi «… dove ti curano gratis anche i denti», battuta detta tra due dei killer serbi coinvolti nella mattanza.
Oppure quell’altra strampalata riflessione pseudo-sociologica sul fatto che è il «… freddo, l’atmosfera geografica dove si sviluppano le democrazie del welfare», anch’essa detta da due killer.
Il più originale è lo stacco che viene dopo ogni decesso: a schermo bianco intero, in silenzio, la croce luterana, che diventa – correttamente… – ortodossa coi serbi, col nome dei morti… Dei quali, alla fine, perdiamo il conto. E a cui è ispirato l’intelligente titolo italiano, diverso dall’originale.
Eppure, anche dietro a questo inarrestabile rosario di tipo noir, chiaramente grottesco, c’è una visione critica coerente sulla società iperprotetta del benessere scandinavo: e infatti sono molteplici i legami col cinema danese del Dogma, quello delle spietate e irriverenti analisi e denunce sociali. Non solo lo sceneggiatore vi ha lavorato, ma uno dei produttori del film è il suo fondatore Lars Von Trier.
E anche il protagonista, il grande Stellan Skarsgaard, anche qui come sempre attore di potenza e finezza, addirittura deve il suo lancio a lui, e ha continuato a lavorarci.
Anche di qualità è la fotografia: Philip Ogard è un professionista di livello, attivo da oltre un trentennio. Ha saputo amalgamare in chiave fluida e drammatica i bianchi intensi delle nevi, con le altre tinte degli interni, ottenendo un’illuminazione nello stesso tempo distorcente e surreale: ma anche concreta e finto-realistica.
Del tutto spiazzante l’ultima sequenza del sottofinale: i due vecchi sopravvissuti (l’altro è Bruno Ganz), tutti e due avendo perso i figli, criminali, perché anche il nostro lo è diventato, procedono persi nella nebbia nel silenzio a togliere la neve.
Annullati e riappacificati con se stessi.

Francesco “Ciccio” Capozzi