Hervé Télémaque al Centre Pompidou

Hervé Télémaque al Centre PompidouPARIGI – Il museo di Arte Moderna del Centre Georges Pompidou in rue Beaubourg 19, dal 25 febbraio ospita una retrospettiva dedicata all’artista Hervé Télémaque, a cura di Christian Briend, che conta più di 79 opere tra dipinti, disegni e collages.
Vale la pena spendere qualche parola sulla struttura architettonica del Centre Pompidou, per chi non avesse mai avuto occasione di visitarla. Il centro si presenta come un mastodontico parallelepipedo alto 42 metri, lungo 166 metri e largo 60, sorretto da travi d’acciaio e da pareti di vetro. Realizzato da Renzo Piano e da Richard Rogers come opera di riqualificazione urbana, ha suscitato non poche discussioni a causa dell’evidente e ardita sperimentazione strutturale, insita nelle sue forme metalliche e cuboidali, che la rende simile ad un’opera surrealista, il che può incontrare o meno il gusto del visitatore.
Nella galleria d’arte moderna, l’esposizione, consacrata al genio artistico di Télémaque, si snoda come un effluvio di colori decisi, di visioni esoteriche esplicate in accostamenti bizzarri ed inediti, che accompagnano il visitatore in un avvolgente viaggio sul mar dei Caraibi, dal quale si sente ritmicamente cullare.
Nato nel 1937 à Port-au-Prince, Haïti, vive a lavora a Parigi dal 1961. La sua vena artistica ha risentito delle più influenti correnti senza tuttavia entrare a farne parte formalmente.
Sebbene abbia vissuto perlopiù in Francia, Télémaque non sembra aver dimenticato le spiagge di sabbia bianca di Port-au-Prince, le increspature sinuose del mare, così come le curve sensuali delle sue donne, che si intravedono, rielabororate ed astratte, nelle linee complesse dei suoi pennelli. Dirà infatti di sè: «Sono venuto al mondo cullato da grandi donne, all’ombre di palme da cocco».
Si avverte, inoltre, nelle sue opere l’influsso del surrealismo parigino, così come l’incontrastabile poliedricità dei suoi spunti sembra rivelare l’attenzione particolare verso i precetti della Pop Art, che utilizza come strumento di una critica sociale non disposta ad accettare compromessi.
Da alcune sue creazioni si evince un intento di sublimazione di oggetti tratti dalla vita quotidiana, come persone o cose desumibili dalla realtà, molto spesso attribuibili alla sua giovinezza ad Haïti, e che si elevano dunque a simboli, non facili da decifrare, che in alcuni casi ricorrono costanti e si ritrovano in dettagli di altri suoi dipinti.
Tra il 1968 e il 1969 sceglie di astenersi per un po’ dalla pratica pittorica sperimentando un genere di scultura in stile dadaista, in molti tratti riferibile all’interesse nei confronti delle opere di Duchamp. Ritorna, in seguito al suo periodo dada, al suo primo amore, segnato da una svolta più marcatamente minimalista.
Gli anni 2000 sono quelli in cui, anche a seguito di un viaggio di ritorno nella sua Haïti, il suo stile sembra rifarsi di più alla “negritudine”, che unirà ben presto alla riscrittura parodica di alcune delle vicende politiche che si verificano in Francia in quel periodo. Si esaspera la sua vena polemica e satirica, che riesce ad incanalare in altre forme, servendosi di un ulteriore modo di espressione: l’illustrazione di libri, attraverso disegni e litografie.
Proprio per la versatilità delle sue ispirazioni, è difficile ascrivere Telemaque ad una precisa corrente artistica. La sua instancabile peregrinazione nel mondo dell’arte, in simbiosi con l’imprescindibile vicenda biografica, potrebbe essere meglio descritta con un titolo bizzarro, preso in prestito da una sua opera: «Un po’ celibe, un po’ negro e abbastanza allegro».
Sarà possibile visitare la mostra fino al prossimo 18 maggio.
Per una panoramica completa sull’autore e la sua opera, è consigliabile la lettura della monografia “Telemaco, l’artista francese più pop” (lavoro collettivo) edita da Flammarion.
Hervé Télémaque
(Foto: opere di Hervé Télémaque by Francesca Mancini)
 

Francesca Mancini