Giuseppe Godono, il tenore della Polyphon

Agli albori degli anni ‘10, la canzone napoletana  e in special modo i suoi autori attraversavano un periodo poco remunerativo e scarno di soddisfazioni; gli editori partenopei pagavano poco e pretendevano dai loro contrattualizzati una cospicua produzione …
Ecco arrivare in loro soccorso i tedeschi rappresentati dalla Casa editrice musicale Polyphon Musikwerke  a. g.  Wharen, Lipsia, con il suo “inviato speciale”, il giovane e coraggioso Massimo Weber.
Il racconto parte da un simpatico aneddoto: « … Massimo Weber, un intraprendente tedesco, pensò di creare a Napoli un’organizzazione per il lancio delle canzoni,  quella che poi fu definita da Saverio Procida “Trust della canzonetta napoletana”. Egli offriva agli autori un compenso mensile che andava dalle 150 alle  300 lire, pari cioè, allo stipendio di un magistrato. Inutile dire che l’entusiasmo dei poeti e musicisti a tale proposta.
Una sera Weber convocò gli artisti in un caffè del centro, Ernesto Murolo, come sempre, arrivò tardi. Trovò Don Giovanni Capurro che si era fermato ad aspettarlo.
–         Caro don Giuvanne – esclamò Murolo scendendo dalla carrozzella, elegante e  profumatissimo –  Scusatemi se ho fatto tardi. Mi ha trattenuto un amico a casa sua.
–         Un amico… biondo? – chiese con fare volutamente ingenuo Capurro, conoscendo la debolezza del poeta di “Tarantelluccia” per il sesso gentile.
–         Eh, volete scherzare caro Capurro, – rispose Murolo – ditemi, piuttosto, che cosa avete concluso stasera con Weber.
–         Sentite, don Ernè, – esclamò infervorato Capurro – questo tedesco è un signorone! Figuratevi che ha offerto a tutti, a tutti, capite? Ed eravamo in molti: Russo, Galdieri, i DeCurtis, Bovio, Cinquegrana, Nardella ed altri, paste a profusione, liquori e vermouth! Sentite a me: La Polyphon si farà!
Poche sere dopo, altra riunione; pioveva a dirotto, e Murolo, trattenuto anche questa volta da un amico, tardò parecchio.
Capurro lo attese pazientemente sotto un portone con il bavero del pastrano alzato. Ernesto notò subito che il poeta delle “Carduccianelle” era un po’ scuro in volto.
–         Ched’è, don Giuvà? Nun saccio comme ve veco stasera!
–         Don Ernè…nun è ghiuta bona! – sospirò Capurro – Weber ci ha offerto solamente un caffè!…Io credo che la Polyphon non si farà!»
Capurro non azzeccò la previsione, l’operazione Polyphon si concretizzò e nel 1911 i maggiori poeti e musicisti della canzone napoletana, ad eccezione di E.A.Mario, rimasto fedele a Ferdinando Bideri e Giuseppe Capaldo che continuò a produrre per “La Canzonetta”.
Le qualità manageriali di Massimo Weber lo indussero, inoltre, a contrattualizzare ciò che vi era di meglio anche sul mercato delle grandi ugole napoletane; vennero dunque arruolati i grandi nomi del variegato e affascinante mondo canoro napoletano: Gennaro Pasquariello, Elvira Donnarumma, Nicola Maldacea, Peppino Villani, Olimpia d’Avigny, Nina de Charny, Raimondo De Angelis, Diego Giannini  e tanti altri.
Un nome in particolare, all’epoca al culmine della sua popolarità, purtroppo oggi quasi dimenticato, Giuseppe Godono (foto) che con altri due meravigliosi tenori, Diego Giannini e Mario Massa, aveva suscitato l’entusiastico interesse dei dirigenti della Casa tedesca.
Giuseppe Godono nacque a Napoli, nella zona di Sant’Anna alle Paludi il  4 settembre 1876; destino volle che da giovane ebbe la ventura di conoscere e cantare con Enrico Caruso.
Avevano entrambi voci non comuni e tonalità simili; il papà del più grande tenore di tutti i tempi, Marcellino Caruso, era infatti custode presso le allora famose Officine Meccaniche Godono, di proprietà del papà di Giuseppe.
Certamente, questo, un segno del destino, visto che il giovane Godono, dopo aver studiato al Conservatorio di S.Pietro a Majella diverrà uno dei più acclamati tenori lirici  dell’epoca; si contraddistinse dagli altri incidendo finanche  Bandiera rossa, l’Internazionale e il Canto degli italiani.
Il suo debutto avvenne nel 1902. Si esibiva solo nelle opere liriche e questo gli consentì di girare il mondo; chiudeva le sue prestazioni come d’uso all’epoca con l’esecuzione di alcune canzoni napoletane.
Godono lasciò la lirica dopo un decennio dedicandosi esclusivamente al repertorio dialettale e canzoni in lingua (almeno 500 titoli).
La quasi totalità dei suoi dischi furono  prodotti dalla storica casa discografica partenopea Phonotype Record; sporadiche le incisioni su etichetta Okeh, l’Odeon, la Columbia e Victor.
La sua prima canzone, incisa nel 1910, fu Mamma mia che vo’ sape’?!?.
Venne invitato ed eseguire Marechiare del Di Giacomo quando, a spese del Comune di Napoli, venne inaugurata la targa con i famosi versi della canzone, collocata sotto la celebre “Finestrella di Marechiaro”.
Era anche presente nei vari fascicoli (1911-1914) piedigrotteschi pubblicati dai fratelli  Eugenio ed Emilio Gennarelli, già licenziatari delle migliori marche di dischi e grammofoni, con negozio in via Monteoliveto 44.
Le testimonianze di stima verso questo grande interprete furono molteplici, alcuni esempi: « … Inchiniamo l’altissimo cantore e tributiamogli gli onori dovuti ai grandi … Godono è Godono. La definizione, la lode, l’aggettivo sciuperebbe la fama del divino tenore … Godono canta, gli autori della canzone s’inebriano alla voce, al gesto,all’arte di un grande maestro del canto e pensano con legittimo orgoglio che gran ventura è per essi che un così grande insigne artista , cedendo all’insistenza di migliaia di napoletani, abbia abbandonato il teatro lirico…per dedicare tutti i tesori della sua voce, tutta la squisitezza della sua intelligenza, tutta la sensibilità della sua anima, alla bella, alla grande, alla dolce canzone napoletana (dalla “Piedigrotta Polyphon”, 1914) … Il Cav. Giuseppe Godono è un artista lirico insigne e perfetto; e nessuno ignora dei segreti dell’arte. La sua voce tenera e suadente ha dolcezze che trovano subito la via più breve e più diritta per giungere al cuore … ma la canzone napoletana è una gran tiranna, e il Cav. Godono, come il Caruso, il De Lucia e tanti altri, non ha saputo resistere al fascino di essa. Così che quest’anno quando la Polyphon che ha il monopolio della canzone napoletana e l’infaticabile Ditta Gennarelli che la rappresenta, hanno invitato il Cav. Godono  per l’incisione delle canzoni sui dischi, egli non ha saputo e potuto rifiutarsi e le ha cantate da par suo, con regale e prodiga signorilità”. (dalla “Piedigrotta Polyphon”, 1912) …Godono ha interpretato  con passione e con arte ogni canzone che ha cantato; ha strappato grida d’ammirazione e applausi scroscianti ad ogni pubblico; ed ora è fra gli artisti di teatro che hanno nel loro repertorio anche le canzoni della Polyphon. Delizioso cantante,, ricercatissimo artista: e questa sua scelta, questa predilezione sua di napoletano che non vuole staccarsi dalla vera melodia di Napoli, gli fan molto onore; e danno alla bella canzone napoletana il suo vero valore di cosa d’arte, ricercata e interpretata da ogni artista più delicato e più grande” (Ferdinando Russo in “Piedigrotta Polyphon “ 1913) ».
Erano trascorsi quattro anni da quell’incontro al caffè, ma era anche iniziata la grande carneficina della Prima Guerra mondiale e la Casa tedesca fu costretta a chiudere i battenti; i suoi fascicoli di Piedigrotta, ben curati e firmati da grandi nomi, gli spettacoli organizzati nelle maggiori città italiane, le audizioni …
Tutto svanì in un battito d’ali.
Giuseppe Godono, negli ultimi anni di vita, trasferitosi a Roma, aprì una scuola di canto, che sebbene chiudesse poco dopo non gli impedì d’aver fatto da maestro a due grandi nomi della canzone moderna: Amedeo Pariante e Nunzio Gallo.
Il grande artista si spese nella Capitale il 22 dicembre 1963.
(Foto: web)

Ciro Daniele

 

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